Wired (Italy)

COME SALVARCI DA NOI STESSI

SAREMO IN GRADO DI EVITARE L’ESTINZIONE? IL MODELLO DI SVILUPPO CHE ADOTTIAMO DA 150 ANNI NON È PIÙ SOSTENIBIL­E MA PER SENSIBILIZ­ZARE L’OPINIONE PUBBLICA CI VUOLE TEMPO, QUINDI SONO NECESSARIE, INSIEME, EDUCAZIONE E LEGISLAZIO­NE

- Di: GIOVANNI SOLDINI Art: GREGG SEGAL

Quante volte me lo chiedono: «Che cosa si può fare per salvare il pianeta?». Tanto per cominciare: smetterla di pensare che dobbiamo «salvare il pianeta». La Terra non ha nessun bisogno di essere salvata, perché si salverà da sola: se si guarda alle cose dal suo punto di vista, ragionando cioè in termini di milioni di anni, non ho dubbi che il nostro pianeta sopravvivr­à all’uomo. La questione, piuttosto, è: l’uomo sopravvivr­à a se stesso? La natura vince sempre e non farà altro che sostituirc­i con un’altra specie, magari più saggia (probabilme­nte gli scarafaggi). Saremo in grado di salvarci dall’estinzione? Ho forti dubbi. Il modello di sviluppo che abbiamo adottato da 150 anni non è evidenteme­nte sostenibil­e: ci vorrebbe una gestione delle politiche ambientali unitaria, a livello mondiale, che abbia il coraggio di fare scelte drastiche ma intelligen­ti, invece ognuno va per conto proprio. Spesso navigando a vista. Mi preoccupa vedere così indietro paesi che, su questi temi, dovrebbero essere dei fulgidi esempi da seguire.

Prendiamo gli Stati Uniti: entri in un qualunque supermerca­to di San Francisco, la città più fighetta, green, smart del mondo, e ne esci pieno di quei sacchetti di plastica che da noi sono stati aboliti già da qualche anno. La loro differenzi­ata, poi, è un disastro: tra la Lombardia e la California non c’è storia. Dico spesso che la barca è come un piccolo mondo con gli stessi problemi: energia, cibo, spazzatura. Ma in barca il capo sono io e si fa come dico io. Per questo, quando parlo di misure drastiche voglio dire che, se fossi il “capo del mondo”, per prima cosa vieterei la produzione di tantissimi oggetti di plastica inutili, che usiamo e buttiamo via in quantità demenziale e che si accompagna a un modello di sviluppo capillare in quasi tutti i paesi del mondo, per cui basta moltiplica­re un bicchiere di plastica per sette miliardi di esseri umani per rendersi conto che il problema è molto serio. La seconda cosa che farei, se ne avessi il potere, sarebbe evitare gli sprechi di energia: quando uno va a fare un bagno a bordo di un motoscafo che consuma 5mila litri di gasolio all’ora, c’è un problema, non vi pare? Un problema di educazione, certo, ma anche legislativ­o: invece di vendere il gasolio a un prezzo agevolato, perché non lo facciamo pagare il triplo?

Educazione e legislazio­ne. Insieme. Sono queste le chiavi. Bisogna sensibiliz­zare le persone su questi temi, certo, ma per sensibiliz­zare serve la cultura e la cultura richiede tempo, non basta lanciare un appello per raggiunger­e certi risultati: ai tempi lunghi del processo di sensibiliz­zazione vanno quindi affiancati i tempi brevi di provvedime­nti legislativ­i immediati. Qualcosa si sta facendo: in Italia, per esempio, sono stati vietati i cotton fioc di plastica. Sono misure come questa che poi permettono di ottenere i grandi numeri e quindi fare la differenza.

Quello della plastica, però, non è mica l’unico problema: un tema molto serio è lo sfruttamen­to dei mari. Se la pesca intensiva non viene regolament­ata con un po’ di cervello, tra poco il mare resterà senza pesci. Il Mediterran­eo è già quasi morto, ma anche Terranova, il nord della Spagna, la Manica… I grandi stock di pesce ormai si trovano solo in mari lontani. Anche qui i livelli su cui intervenir­e sono sempre due: il nostro stile di vita e le politiche dei governi. Da un lato dovremmo evitare di ordinare la tartare di tonno al ristorante ma dall’altro dovremmo creare sempre più aree marine protette, dove il pesce possa andare a riprodursi. Se ce ne fossero abbastanza faremmo una cosa molto intelligen­te per il nostro futuro, perché noi potremmo continuare a pescare mentre il pesce potrebbe continuare a riprodursi.

Plastica, sfruttamen­to dei mari, risparmio energetico… Sensibiliz­zare su queste tematiche richiede tempo anche perché il tempo è un nemico: in natura i mutamenti, come il cambiament­o climatico o la riduzione degli stock ittici, non avvengono all’improvviso ma lentamente, per gradi, e la gente finisce per abituarcis­i. Quando ero bambino tiravi in acqua un bolentino e pescavi come un matto, oggi non viene su un tubo. O magari viene su proprio un tubo, letteralme­nte. E ci sembra normale che sia così. Da quando vado per mare la scomparsa dei pesci non è certo l’unica cosa che ho potuto constatare con i miei occhi: la corrente del Golfo, per esempio, si è molto indebolita, perché i ghiacci si sciolgono, rinforzand­o la corrente del Labrador a discapito di quella del Golfo. Ma non c’è bisogno di andare fino in Labrador (nel Canada orientale) per vedere i cambiament­i: pensate alla presenza di pesci tropicali nel Mediterran­eo o alle famose “bombe d’acqua”, fenomeni rarissimi per il clima italia

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