MACCHINE VS. CORRUZIONE
L'INNOVAZIONE PUÒ RAPPRESENTARE UN FORMIDABILE AIUTO PER IL RISPETTO DELLA LEGALITÀ E LA REALIZZAZIONE DI UNA SOCIETÀ MIGLIORE. MA NON DIMENTICHIAMO CHE CHI LA PROGRAMMA E LA GUIDA È L’UOMO, CON I SUOI VIZI E LE SUE VIRTÙ
Tra la fine della Seconda guerra mondiale e la metà degli anni Settanta, osserva lo storico inglese Eric J. Hobsbawm nel suo celebre saggio Il secolo breve, il mondo ha compiuto uno sviluppo paragonabile a quello che l’uomo aveva compiuto dalla sua comparsa sulla terra fino ad allora. In pratica, in appena tre decenni, le conquiste in ambito medico, scientifico e tecnologico (per non parlare della vertiginosa crescita economica e dei suoi effetti sulla vita quotidiana) hanno avuto conseguenze simili all’invenzione della ruota o della scrittura, che però per dispiegarsi appieno hanno richiesto secoli. Se ci guardiamo indietro e volgiamo la testa al nostro passato recente, ci rendiamo conto che la constatazione di Hobsbawm, risalente ai primi anni Novanta, è replicabile oggi. Soltanto a considerare i mutamenti avvenuti nel nuovo millennio, la rivoluzione digitale ha impresso sulle nostre vite sconvolgimenti altrettanto radicali. Pensiamo a come avremmo reagito, appena venticinque anni fa, se ci avessero detto che in futuro avremmo potuto fare cose che adesso ci appaiono del tutto normali: scattare una fotografia con un telefono senza fili e trasferirla a chilometri di distanza, vedere un programma televisivo quando ci è più comodo, filmare quel che ci avviene intorno e mostrarlo in tempo reale a chiunque, avere (quasi) tutto lo scibile a portata di clic, ottenere e immagazzinare miliardi di informazioni in un batter d’occhio. Questo cambiamento non ha inciso solo sulla nostra autorappresentazione ma anche sul comportamento: pensiamo a quanto i selfie, in pochissimo tempo, hanno influito su un aspetto all’apparenza secondario come il modo di mettersi in posa.
Perfino gli automatismi della mente sono cambiati rispetto al significato di determinate parole di uso corrente: il verbo salvare non suscita immediatamente, come fino a poco fa, l’idea dell’aiuto a una persona in pericolo di vita, così come in prima battuta nessuno pensa più alle acque reflue quando parla di scaricare. Faccio questa breve premessa, che qualcuno troverà forse un po’ polverosa, per significare come davvero l’homo digitalis odierno è tutt’altra persona rispetto ad appena pochi decenni fa. Come ogni rivoluzione, però, ciò non implica affatto che il processo sia incruento, né che si affermino quelle che Giacomo Leopardi definiva le «magnifiche sorti e progressive dell’umana gente», ovvero la convinzione che la storia dell’uomo sia una linea retta ascendente. Credo infatti che la tecnologia non sia di per sé né buona né cattiva. È neutra, come quasi ogni mezzo: un po’ come una bottiglia di vetro trasparente, dipende dal liquido che ci si mette dentro. Chi è appassionato di romanzi gialli o film polizieschi sa bene che una delle nozioni fondamentali per un detective è cercare le impronte sul luogo del delitto. Oggi appare difficile usare i guanti di lattice per non lasciare indizi, perché anche partendo da un piccolo brandello è possibile recuperarne molte informazioni.
Partiamo dalla notizia, diffusa recentemente, con cui si è appurato che grazie alla fatturazione elettronica, obbligatoria da inizio anno, in poco più di due mesi è stato smascherato un complesso sistema di frodi Iva da 700 milioni di euro. È la dimostrazione evidente di quanto la tracciabilità informatica possa rappresentare un formidabile aiuto per il rispetto della legalità e la realizzazione di una società forse non più equa, ma se non altro meno ingiusta. In molte circostanze non servirebbe neppure uno sforzo: basterebbe rendere pubbliche alcune informazioni che finora non lo sono. Per esempio, se le liste d’attesa fossero rese note sul web, sarebbe molto più semplice verificare se qualcuno salta la fila e viene operato prima, magari perché ha pagato una tangente. Idem in un ambito cruciale come i crediti dei fornitori: attualmente un pubblico funzionario infedele può decidere della vita o della morte di un’azienda (visto che i ritardi a volte hanno perfino costretto imprenditori al fallimento), ma se il pagamento delle fatture viene tracciato e reso pubblico, è più difficile giustificare il mancato rispetto del criterio cronologico.
Quando ero sostituto procuratore alla Procura di Napoli, ovvero fino al 2007, per acquisire documenti utili a un’inchiesta era necessario disporre una perquisizione, che impiegava per svariate ore numerosi ufficiali di polizia giudiziaria, col rischio peraltro di non trovare le carte che si cercavano. Adesso un pubblico ministero può condurre parte delle indagini da remoto, seduto nel suo ufficio, perché grazie alla normativa sulla trasparenza, che impone agli enti di rendere note e disponibili determinate informazioni, gli atti sono reperibili direttamente sul web. È un passo avanti fondamentale, che siamo riusciti a compiere in pochissimi anni.
Mettendo a sistema una serie di informazioni, già oggi l’Autorità anticorruzione è in grado di disporre controlli e ispezioni negli uffici pubblici quasi a colpo sicuro, soltanto sulla base di alcuni alert. Proprio per questo, col sostegno economico dell’Unione europea, stiamo lavorando assieme all’Istat e a vari ministeri per realizzare un set di indicatori di corruzione in grado di individuare “scientificamente” le situazioni anomale passibili di sconfinare nella patologia. Occorre dunque lungimiranza e investire con fiducia, soprattutto per ridurre il digital divide, che in
quest’ottica non rappresenta più solo un sinonimo di arretramento culturale ma anche un ostacolo alla legalità. Difatti se, come detto, la trasparenza e la tracciabilità possono essere un antidoto eccezionale per combattere i reati, è evidente che una amministrazione pubblica che ha un basso livello di informatizzazione o di competenze in tal senso (come purtroppo accade in varie parti del nostro paese) sarà anche molto più permeabile alle infiltrazioni del malaffare.
Naturalmente i riflessi negativi non mancano, perché è noto che i malviventi, oltre a disporre degli stessi strumenti di chi li contrasta, possono contare sul vantaggio costituito dal fattore tempo: prima che ci si accorga che è stato commesso un reato (che sia una rapina in banca o una truffa informatica) se gli autori organizzano una buona fuga hanno ottime speranze di riuscire a rendersi irreperibili. Che cosa accadrebbe, quindi, se nella bottiglia di vetro ci mettessimo un veleno inodore e incolore, proprio come l’acqua ma altamente tossico? È quello che è accaduto in una società modello come la Svezia, dove c’è un basso livello di corruzione, istituzioni pubbliche perfettamente funzionanti e principi di trasparenza riconosciuti fin dal 1766 (noi ci siamo arrivati solo nel 1990 e il nostro Freedom of information act è del 2016!). Ebbene, approfittando della legislazione molto avanzata, negli anni scorsi un’azienda privata, anche attraverso notizie d’archivio, ha chiesto e ottenuto (in modo del tutto legittimo) i dati relativi ai procedimenti giudiziari di moltissimi cittadini, realizzando così un gigantesco database, perfino più completo di quello dell’autorità giudiziaria. Le informazioni raccolte sono state poi messe a disposizione (a pagamento) delle aziende in cerca di personale, così da rendere possibile sapere se un determinato candidato avesse carichi pendenti o precedenti penali. Altro caso, ancora più inquietante: lo scandalo Cambridge Analytica, la società di consulenza britannica che è riuscita a ottenere i dati personali di circa 50 milioni di utenti di Facebook (una cifra pari a quella di tutti gli italiani maggiorenni!) e perfino a influenzare il voto per le presidenziali americane del 2016. Quella vicenda ha dimostrato che anche i dati non sensibili possono essere utilizzati con pericolose logiche pervasive, quanto meno commerciali. Chi può escludere, in linea di principio, che in futuro tali possibilità non saranno sfruttate con logiche di vero e proprio controllo, come nel celebre 1984 di George Orwell?
Le sfide che ci aspettano, ma anche le grandi questioni irrisolte e le incognite che un simile sviluppo pone sul tappeto, impongono insomma una seria riflessione. Tutto questo, infatti, chiama in causa lo stesso assetto delle società in cui viviamo e sarebbe superficiale non ravvisarvi profonde implicazioni politiche. Lo scenario che attualmente abbiamo di fronte è quello di istituzioni messe in grande difficoltà da un contesto in evoluzione rapidissima. La necessità di confrontarsi con problemi nuovi (un aumento della complessità sociale, crescenti potenzialità utilizzabili anche per fini illegali o quanto meno discutibili) richiede velocità nei tempi di decisione e una particolare preparazione. Due elementi che al momento sono merce rara. L’effetto è che i parlamenti dei vari paesi, nati con l’obiettivo di legiferare sulla base della volontà popolare, sono sempre più spesso svuotati delle loro funzioni, proprio perché non sono in grado di reggere il passo o sono privi delle necessarie competenze. Ciò comporta innanzitutto che nel breve periodo diventa perfino difficile stabi
Oggi un pubblico ministero può condurre parte delle indagini da remoto, seduto nel suo ufficio, perché grazie alla normativa sulla trasparenza, che impone agli enti di rendere note
lire cosa è lecito e cosa no. A pensarci, è un po’ quello che avviene con le cosiddette smart drug, realizzate assemblando alcune molecole in strutture chimiche di tipo sempre diverso: finché non sono inserite nelle tabelle delle sostanze illegali, non possono essere messe fuori legge e chi le smercia non può essere perseguito. Un’altra conseguenza è che, se i parlamenti annaspano, si stanno imponendo nuove forme di legislazione: da un lato le autorità indipendenti cercano di regolare questo magma difficile da ordinare; dall’altro, nel vuoto normativo, sono le sentenze a fare giurisprudenza creando un precedente. Pur essendo un magistrato, trovo tutto ciò pericoloso, perché così il compito di determinare cosa sia giusto rischia di essere affidato sempre più a chi è privo della legittimazione popolare. E questo spiega anche l’avversione che di solito suscita un termine come tecnocrazia: i tecnici (come i giudici) possono anche essere i più illuminati del mondo, ma non sono stati scelti da nessuno. Se dunque le loro decisioni influiscono in maniera diretta sulle nostre vite, si pone un interrogativo sul futuro delle nostre democrazie, che non solo stanno già cambiando, ma domani potrebbero somigliare sempre meno a come le conosciamo oggi. C
ome si vede, davanti a problemi tanto complessi, più che dare risposte mi pare opportuno porsi delle domande. Del resto, nemmeno sull’intelligenza artificiale i giudizi sono univoci: c’è chi la ritiene un pericolo, chi un’opportunità. A mio modo di vedere, come su tanti aspetti delle nostre esistenze, non esiste il bianco o nero ma solo una infinita sfumatura di grigi. Di certo, essere facili ottimisti senza problematizzare rischia di farci sottovalutare la complessità delle sfide che ci attendono e i rischi connessi. Pensiamo al mito dell’intelligenza collettiva, che con la diffusione di internet avrebbe dovuto spontaneamente portare al trionfo della democrazia e dei valori di libertà. In molti paesi autoritari la rete subisce ancora pesanti limitazioni e i colossi del web, in nome del profitto, non hanno affatto ingaggiato quella battaglia di principio che molti vaticinavano. Lo sviluppo e la diffusione della tecnologia, insomma, non necessariamente equivalgono alla diffusione del progresso. Non mi riferisco solo alle tante bufale che corrono in rete. Pensiamo a quelle tesi che mettono in discussione verità scientifiche riconosciute da secoli, come il fatto che la terra sia rotonda. O che i vaccini non servano, laddove è dimostrato che hanno consentito di sconfiggere malattie come il vaiolo che nel corso dei secoli ha provocato un numero incredibile di vittime in tutto il mondo.
Non sono in grado di dire se il futuro che ci attende sarà roseo, se avremo più o meno problemi di quanti ne abbiamo adesso, né soprattutto se le macchine saranno in grado di evitare comportamenti scorretti. Ma non dimentichiamo che chi le programma e le guida (almeno per ora) è l’uomo, coi suoi vizi e anche, per fortuna, con le sue virtù. Abbiamo la bottiglia, con quale liquido riempirla sta solo a noi.
e disponibili determinate informazioni, gli atti sono reperibili direttamente sul web. È un passo avanti fondamentale, che siamo riusciti a compiere in pochissimi anni.