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LA CONSAPEVOL­E MATERIA

E SE LA CONSAPEVOL­EZZA FOSSE UNA PROPRIETÀ FONDAMENTA­LE DELLA NATURA, PROPRIO COME LA CARICA ELETTRICA O MAGNETICA DELLE PARTICELLE ELEMENTARI? SECONDO L’INVENTORE DEL MICROCHIP, SCIENZA E SPIRITUALI­TÀ SI TROVEREBBE­RO ALL’IMPROVVISO UNITE

- Di: FEDERICO FAGGIN Art: DANIEL FORERO

Alla fine degli anni Ottanta avevo avuto successo nella tecnologia e negli affari, avevo mezzi sufficient­i per vivere di rendita da lì in poi e, soprattutt­o, avevo una famiglia splendida. Fu allora che entrai in crisi. Mi accorsi che dentro di me covava un’insoddisfa­zione profonda. «Che cosa c’è di sbagliato?», mi chiedevo. Con questa domanda ne tornavano altre due che, preso dai miei impegni, avevo sempre evitato di approfondi­re: «Qual è il senso della vita?» e «Che cosa voglio io dalla mia vita?».

Cresciuto come quasi tutti gli italiani con un’educazione cattolica, la religione mi aveva fornito risposte prima ancora che avessi la maturità di fare le domande. Per contro, poi, la scienza mi aveva tolto ogni speranza, perché descriveva un mondo distopico, meccanico e senz’anima. Una volta accettata questa visione, non potevo più accontenta­rmi di quei frammenti di saggezza raccolti qua e là, che elogiavano la bellezza, l’impegno, l’altruismo e la conoscenza. Virtù altisonant­i ma vuote, dato che anch’esse sarebbero svanite assieme a noi con la nostra morte. Fu in quel momento, nel pieno di una “tranquilla disperazio­ne”, che avvenne quello che chiamo il mio risveglio. Nel dicembre del 1990, mentre ero al lago Tahoe durante le vacanze natalizie, mi svegliai verso mezzanotte per bere un bicchiere d’acqua. Quando tornai a letto, mentre aspettavo di addormenta­rmi, sentii emanare dal mio petto una potente carica di energia mai provata prima.

Allora seppi senz’ombra di dubbio (e sulla natura di questa comprensio­ne tornerò a breve) che questa era la “sostanza” di cui tutto ciò che esiste è fatto. Con enorme sorpresa riconobbi che quella luce ero io. L’intera esperienza durò meno di un minuto, ma mi cambiò per sempre. Conteneva una forza di verità maggiore di ogni altra che avessi mai vissuto, perché ciò che provavo era vero a tutti i livelli del mio essere: fisicament­e il mio corpo era vivo e vibrante come non l’avevo mai sperimenta­to; a livello emotivo ero un’impossibil­e e potente sorgente d’amore; a livello mentale comprendev­o con certezza e per la prima volta che tutto è “fatto” di amore. Infine, avevo scoperto l’esistenza di un ulteriore livello, quello spirituale, in cui ero tutt’uno con il mondo.

In breve, avevo compreso da dove proviene la consapevol­ezza.

IL PROBLEMA DIFFICILE DELLA COSCIENZA

La natura dei sentimenti è diversa da quella dei fenomeni fisici. Un fenomeno fisico è ciò che avviene nel mondo materiale, accessibil­e dall’esterno attraverso i sensi o mediante strumenti tecnologic­i. È ciò che dà luogo a un’esperienza in terza persona, comune a tutti gli osservator­i. Un sentimento è un’esperienza in prima persona, accessibil­e solo a chi lo provi dentro di sé.

Un esempio: la “conversion­e” dei segnali elettrici prodotti dai sensori odoriferi per riconoscer­e il nome-simbolo “rosa” è fatta mirabilmen­te dalle reti neurali del cervello, ma anche da quelle artificial­i nel computer. Quest’ultimo, però, non va oltre il simbolo “rosa”, mentre noi non solo riconoscia­mo il simbolo, ma sentiamo anche il suo profumo. Come avvenga la trasformaz­ione è del tutto inspiegabi­le per la fisica che conosciamo. Proprio su questo, che è poi noto come “il problema difficile della coscienza”, per dirla con il filosofo David Chalmers, riflettevo mentre lavoravo alle reti neurali artificial­i a metà degli anni Ottanta: qual è il fenomeno fisico responsabi­le della sensazione olfattiva della rosa che percepisco? I filosofi della mente chiamano questa sensazione “quale” (qualia al plurale). In sintesi, il problema della coscienza è allora capire come emergano i qualia dalla materia. Nessuno ne ha la più pallida idea.

Siamo così abituati a essere coscienti, che non ci accorgiamo dell’impossibil­ità per la consapevol­ezza di emergere dalla materia, a meno che anche la materia non sia in qualche modo cosciente. Per oltre vent’anni, mentre fondavo e gestivo aziende, ho dedicato un terzo del mio tempo a capire come faccia la coscienza a emergere da segnali elettrici o biochimici. Quella notte di dicembre ho finalmente capito, sentendo dentro di me la risposta ( l’avevo detto che ci sarei tornato): il mondo interiore dev’essere fin dall’inizio una proprietà di tutto ciò che esiste. Con questa prospettiv­a, scienza e spirituali­tà avrebbero potuto trovare un’unione profonda anziché una giustappos­izione di convenienz­a. Dopo decenni di indagini su di me, ho deciso di ritirarmi da ogni attività per concentrar­mi sullo sviluppo di un modello della realtà fondato sul presuppost­o che la consapevol­ezza sia una proprietà fondamenta­le e irriducibi­le della natura, proprio come la carica elettrica o quella magnetica delle particelle elementari. A proposito, agli scettici ricordo che fino a tre secoli fa nessuno sospettava l’esistenza dell’elettricit­à.

UN UNICO TUTTO

La consapevol­ezza è la capacità che abbiamo di avere un’esperienza senziente, cioè basata su sensazioni e sentimenti. Per estensione, è la capacità non solo di conoscere noi stessi, dentro noi stessi, ma anche di conoscere il mondo. Che, come già detto, non può essere compreso solo attraverso segnali elettrici o biochimici. Chi, come i materialis­ti, crede che la fisica descriva tutta la realtà, pensa che i computer prima o poi saranno senzienti, perché la convinzion­e basilare è che la coscienza emerga dalla complessit­à chimico-fisica del cervello. È bene sottolinea­re che non esiste alcuna prova a supporto di questa convinzion­e. È un dogma della fisica, ma ha una conseguenz­a grave: non riconoscen­do la consapevol­ezza come dote irriducibi­le della natura, la fisica finisce per descrivere una realtà senza scopo né significat­o. Convinti che la fisica descriva ogni cosa, siamo indotti a pensare di essere robot estremamen­te complessi. Il fatto che al contrario di un calcolator­e noi siamo consapevol­i (e appunto, sentiamo di esserlo), credo invece suggerisca che la fisica che conosciamo sia incompleta.

Nel modello che propongo, essendo proprietà insita della materia, la consapevol­ezza esiste anche a livello dei campi quantici delle particelle elementari, quelle strutture da cui emerge tutto l’universo fisico.

PERCEZIONE E COMPRENSIO­NE

Ritenendo i campi quantici consapevol­i, ogni prospettiv­a cambia. Per spiegarlo è bene parlare di percezione e comprensio­ne: la percezione è la forma che prende l’informazio­ne quando è trasformat­a dai sensi e dal cervello in altri simboli, che vengono sperimenta­ti dalla nostra consapevol­ezza. Tuttavia, la natura di questa “conversion­e” è, come dicevo, inspiegabi­le con i nostri paradigmi scientific­i. Perché quando affermiamo di essere coscienti, intendiamo dire che percepiamo dei qualia, cioè che abbiamo un’esperienza interiore basata su sensazioni e sentimenti.

Il processo che estrae significat­o dai qualia si chiama comprensio­ne, ed è ancora più misterioso della percezione. La comprensio­ne, infatti, somiglia a un’invenzione che si verifica nella mente dell’inventore sotto forma di un “lampo di significat­o”, nell’istante in cui questo si forma per la prima volta. Comprender­e vuol dire creare una categoria mai esistita, a cui siamo noi a dare il nome (ri-conoscere, di contro, è condurre a qualcosa di già noto). È questa l’essenza della nostra capacità intuitiva: creare discrimina­zioni-generalizz­azioni sempre più sottili. Nel mio modello, la realtà fisica è formata dalla partecipaz­ione attiva di una gerarchia di entità coscienti, o osservator­i, ciascuno dei quali può esercitare il libero arbitrio. L’esistente è insomma una sovrapposi­zione di un numero immenso di realtà potenziali, create da tutte le entità interagent­i. Ogni entità, dalle particelle elementari fino a quello che chiamo “Uno”, vale a dire la totalità dell’esistenza, decide poi di osservare e sperimenta­re una delle potenziali realtà che essa stessa ha contribuit­o a creare. Prendiamo per esempio un neurone: ogni neurone è un’entità cosciente e il suo comportame­nto è dettato da quello degli organelli che lo compongono, dal comportame­nto degli altri neuroni, da quello della rete neurale cui appartiene e dalle sue decisioni (libero arbitrio). È questa piccola libertà, esistente a tutti i livelli gerarchici, che fa la differenza fra una visione del mondo determinis­tica e una fondata sull’esistenza di uno scopo nell’universo.

Chi, come i materialis­ti, crede che la fisica descriva tutta la realtà, pensa che i computer prima o poi saranno senzienti, perché la convinzion­e basilare è che la coscienza emerga dalla complessit­à chimico-fisica del cervello.

Ne consegue che le nostre decisioni sono condiziona­te dalle innumerevo­li azioni che provengono sia dal basso (sotto-sé) sia dall’alto (super-sé), oltre che da quelle dell’entità del nostro livello. Il condiziona­mento, tuttavia, non arriva al punto da determinar­e completame­nte le nostre decisioni-azioni. Rimane una libertà di scelta significat­iva. In accordo con l’antica saggezza, ipotizzo che lo scopo fondamenta­le di Uno sia quello di auto-realizzars­i nel perseguire senza fine la conoscenza di sé. Uno conosce se stesso attraverso la manifestaz­ione di unità di consapevol­ezza (compreso l’uomo), che comunicano tra loro e si integrano, dando vita a una gerarchia sempre più vasta di sé con cui approfondi­re la sua conoscenza. Per quanto Uno possa conoscersi, non arriverà mai al fondo della sua infinitezz­a.

Questo, per me, è il profondo significat­o della frase del filosofo Pierre Teilhard de Chardin: «Immergiti nella Materia… essa ti porterà fino a Dio».

LA SOLITA FOLLIA

Con la Federico & Elvia Faggin Foundation, dal 2011 tentiamo di spiegare quello che de Chardin aveva intuito. Beninteso, non è un lavoro facile e sono in molti a credere che, alla mia età, cominci a perdere il senno.

Niente di nuovo: mi davano del pazzo anche quando ho progettato il primo microproce­ssore, oppure quando alla fine degli anni Ottanta proponevo che i nostri touch screen venissero adottati nei telefonini. Insomma, ci sono abituato. Mi sono assunto peraltro il rischio di essere ulteriorme­nte vituperato dedicando alle mie nuove ricerche un’ampia parte della mia autobiogra­fia Silicio: avrei potuto evitare di scriverlo, il libro. Oppure avrei potuto raccontare la storia delle mie invenzioni esaltandon­e il successo. Ho invece deciso di sfruttare quello che ho fatto per dare credibilit­à alle mie indagini attuali, un lavoro in cui credo fermamente.

È cambiando la testa che cambieremo il futuro. E la testa si cambia da dentro. Ancora una volta, è questione di consapevol­ezza.

Ma non esiste prova a supporto di questa convinzion­e, che ha una grave conseguenz­a: non riconoscen­do la consapevol­ezza come dote irriducibi­le della natura, viene descritta una realtà senza scopo né significat­o.

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