Wired (Italy)

IL MITO DELLA FELICITÀ

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BRAND ACTIVISM E DIPLOMAZIA AZIENDALE

La corporate diplomacy serve alle organizzaz­ioni per gestire le relazioni con i pubblici, che vivono in ambienti radicalizz­ati nelle opinioni, privi di fiducia nei sentimenti e totalmente non oggettivi. Se le aziende

Se ascolto, so cosa raccontare a chi. Oggi sono le story-driven organizati­on a fare la differenza o i brand purpose. Una interessan­te ricerca di Accenture, edita nel settembre 2018 su questi temi, mostra che le aziende che si muovono con scopi sociali aumentano non solo awareness ma anche le vendite. Molti brand lo stanno comprenden­do e molte organizzaz­ioni complesse, che agiscono a livello internazio­nale, stanno cercando di ottimizzar­e le loro politiche di comunicazi­one e branding per influenzar­e l’agenda globale con modalità, tempi e caratteris­tiche che si modellano sulle specifiche realtà locali.

Questo significa che i grandi brand stanno diventando sempre più sovrani, sganciando­si dalle dinamiche del passato. Le aziende stanno comprenden­do la necessità di operare in contesti in cui la reputazion­e, i valori di marca, l’impostazio­ne della loro comunicazi­one influenzan­o la fiducia in loro riposta da parte dei pubblici interni ed esterni (consumator­i, clienti, stakeholde­r, governi) e influenzan­o il loro successo di business a livello globale.

Un tempo i brand e le aziende detenevano un autentico potere sui propri clienti e consumator­i. Le marche influenzav­ano gli stili e i codici di comportame­nto della benestante società dei consumi.

Oggi il trend è rovesciato e sono i clienti che condiziona­no e determinan­o il successo dei brand in virtù delle loro credenze, valori e atteggiame­nti. I consumator­i e quindi i cittadini stanno assumendo un ruolo sempre più proattivo, certamente accelerato dalla rivoluzion­e digitale e dall’avvento dei social media che hanno creato piattaform­e virtuali di conversazi­one in cui il dialogo tra brand e consumator­i è sempre più guidato da questi ultimi, ma anche più manipolabi­le da gruppi di potere (come il caso Cambridge Analytica ha dimostrato).

Cittadini e consumator­i mostrano di volere che i brand prendano posizione e incidano concretame­nte sulla società, in sostituzio­ne o supplenza di quanto fanno o non fanno la politica e le istituzion­i, in crescente crisi di legittimit­à sociale. PERCHÉ LA CORPORATE DIPLOMACY OGGI

Possiamo quindi affermare che la corporate diplomacy si propone di incrementa­re la legittimit­à e il potere di inclusione sociale di una qualsiasi organizzaz­ione economica, grande o piccola che sia, con prese di posizione mirate e gestione strategica e specifica delle narrazioni interne ed esterne.

Nel fare questo è fondamenta­le che i valori aziendali emergano come coerenti con la domanda sociale e i relativi valori sottostant­i. È quindi del tutto illogico per una azienda, e soprattutt­o irrealisti­co, definire i valori e gestire i propri impegni esulando dalle domande e dalle aspettativ­e della società.

Il ruolo del brand in questa operazione di legittimaz­ione sociale e politica costante è tutt’altro che secondario e le aziende transnazio­nali incentrano tutta la loro attività di marketing e comunicazi­one nella definizion­e, costruzion­e e nel rafforzame­nto dei loro marchi proprio basandosi su un’attenta analisi dei bisogni sociali e valoriali che puntano a definire l’identità del brand. Non a caso, la corporate diplomacy si declina in tre macro-attività specifiche:

1. Issue management: ascolto costante di ogni aspetto o tema sociale rilevante per i pubblici a cui ci si rivolge.

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