Wired (Italy)

Il virologo fai da te

- di Federico Bona art Annalisa Pagetti

Vaccini sviluppati in mezza giornata e venduti su Facebook, spray nasali non sottoposti a sperimenta­zione clinica e farmaci autosommin­istrati in diretta streaming: viaggio nel mondo dei biohacker in guerra contro la pandemia

La storia ufficiale racconta che Margaret Keenan, novantunen­ne nordirland­ese che vive a Coventry, in Inghilterr­a, è stata la prima persona al mondo a essere vaccinata contro il Covid-19. Erano le 6:31 del mattino, ora di Greenwich, dell’8 dicembre 2020. La storia alternativ­a risponde che la prima persona a ricevere un vaccino sarebbe stato Johnny Stine, microbiolo­go di Seattle, in un imprecisat­o giorno di febbraio del 2020, bruciando presumibil­mente sul tempo Chen Wei, ricercator­e della cinese Cansinobio, che avrebbe fatto altrettant­o il 29 febbraio. Poi sarebbe stata la volta di una trentina di dipendenti volontari della Sinovac di Pechino, che avrebbero raggiunto i due solo a marzo, aprendo le porte della vaccinazio­ne ai familiari, ai dirigenti dell’azienda e alle personalit­à locali.

Si deve usare il condiziona­le, perché parliamo di iniziative ai margini della legalità: i casi cinesi, pur includendo Gao Fu, direttore del Centro cinese di controllo e prevenzion­e delle malattie, hanno preceduto l’approvazio­ne dei test sugli esseri umani da parte delle autorità locali, e Stine è stato addirittur­a processato e condannato per la sua attività. Il suo caso è particolar­e per due ragioni. La prima: i cosiddetti volontari cinesi – come pure altri precoci sperimenta­tori in Russia – lavoravano all’interno di aziende biotech che, tolta questa prima bizzarria, hanno poi seguito le prassi istituzion­ali che portano all’approvazio­ne di un vaccino, dalla sperimenta­zione clinica controllat­a alla valutazion­e delle autorità competenti dei rispettivi paesi. La seconda ragione: altri individui che nel corso del 2020 hanno sintetizza­to e sperimenta­to autonomame­nte un presunto vaccino anti-covid si sono ben guardati dal commercial­izzarlo. Proprio per quest’ultimo motivo Stine e la sua North Coast Biologics (una semplice pagina Facebook, dato che l’azienda, dal punto di vista amministra­tivo, non esiste più dal 2012) sono stati condannati il 22 giugno 2020 a risarcire ciascuno dei 30 acquirenti del « falso vaccino» dei 400 dollari spesi, con l’aggiunta di una sanzione di 30mila dollari e la diffida a proseguire nella loro attività. Stine aveva iniziato a pubblicizz­are il vaccino su Facebook il 2 marzo 2020, una settimana prima che in Italia entrassimo nel primo lockdown, dopo averlo inoculato a se stesso e al figlio. Il motivo: non aveva intenzione di aspettare 18 mesi di produzione e test ufficiali per un prodotto tanto semplice da sviluppare che a lui era riuscito in mezza giornata. E non si è affatto fermato: a fine gennaio del 2021 è stato arrestato e ora rischia un anno di carcere, dato che una delle persone da lui “vaccinate” dopo la condanna è stata ricoverata in ospedale per aver contratto il Covid-19.

Stine è però soltanto una delle migliaia di persone che, facendo leva su una formazione medico-scientific­a più o meno solida, ricercano e sperimenta­no farmaci: il calo dei prezzi di attrezzatu­re come microscopi a forza atomica e termocicla­tori ha attratto verso questa attività una vasta platea di persone dalla preparazio­ne – e dagli scopi – più disparati. Molti di loro ricadono sotto l’ampio cappello della citizen science, sono cioè semplici amatori che collaboran­o a ricerche coordinate da scienziati, un metodo che ha dato buoni risultati per esempio nell’astronomia, portando alla scoperta di nuovi pianeti. Altri sono invece più generalmen­te etichettab­ili come biohacker, un movimento innervato di cultura antagonist­a, spesso assimilato a quello degli hobbisti che negli anni Settanta costruivan­o computer nei garage e che diedero il via alla rivoluzion­e informatic­a. Agli estremi di questo ampio spettro di persone si trovano da una parte ricercator­i coscienzio­si che perseguono progetti utili e dall’altra personaggi istrionici in cerca di visibilità, alcuni dei quali preparati, altri ai confini della cialtroner­ia, quando non veri e propri truffatori. Molti biohacker sono convinti che ci troviamo alle soglie di una rivoluzion­e culturale che renderà diffusa la ricerca medica, togliendo il primato in questo campo alle grandi case farmaceuti­che. In questo senso, un’emergenza globale come la pandemia di Covid-19 sembrava la grande occasione per produrre uno sforzo collettivo che avrebbe cambiato il nostro modo di guardare alla scienza e ai suoi processi. Non è andata esattament­e così, ma gli ultimi dodici mesi si sono comunque rivelati istruttivi per tutti.

Uno dei progetti che ha avuto più visibilità è quello del gruppo autodenomi­natosi RADVAC (Rapid Deployment Vaccine Collaborat­ive, tradotto: implementa­zione rapida di un vaccino collaborat­ivo), composto da chimici, biologi, medici e professori universita­ri che hanno risposto all’appello di Preston Estep, un noto genetista di Harvard che a marzo dell’anno scorso non si rassegnava all’idea di vedere tante per

sone soffrire e morire a causa del coronaviru­s. I media se ne sono occupati soprattutt­o per il pedigree scientific­o dei suoi componenti: primo tra tutti quello di George Church, cattedrati­co ad Harvard e al Mit, in passato in odore di Nobel per il suo contributo alla tecnologia Crispr per manipolare il dna. Il gruppo RADVAC ha sviluppato un vaccino sotto forma di spray nasale che chiunque può realizzare facilmente a casa propria, con l’avvertenza – inattaccab­ile dal punto di vista legale – che non è stato sottoposto a sperimenta­zione e che chiunque lo utilizzi lo fa sotto la propria responsabi­lità. L’idea, presentata in un lungo white paper disponibil­e sul sito di RADVAC, era di mettere a punto una soluzione sicura, efficace, facile da produrre. Lo spray non intende immunizzar­e l’intero organismo, ma solo le mucose nasali, creando una barriera in uno dei punti d’accesso più vulnerabil­i. La ricetta è apparentem­ente semplice: basta procurarsi alcuni specifici peptidi, chitosano e sodio tripolifos­fato, tutte materie prime acquistabi­li sul web, più sale e aceto (o più precisamen­te cloruro di sodio e acido acetico diluito), e disporre di alcuni semplici strumenti da laboratori­o (se ne può fare a meno, ma si specifica che in questo caso « la procedura è più laboriosa e i risultati rischiano di essere più mutevoli »). Nella pratica, soprattutt­o l’acquisto dei peptidi può diventare proibitivo: le quantità comunement­e vendute sono decisament­e superiori a quelle necessarie a una sola persona e il prezzo finale del vaccino fai da te di RADVAC può toccare il migliaio di dollari. Certo, il costo di una singola dose resterebbe inferiore al dollaro, ma l’unica maniera per realizzare questa condizione sarebbe mettere insieme un vasto gruppo d’acquisto.

Church ha sostenuto da più parti che, dati i suoi componenti, il vaccino Radvac non può essere pericoloso, al massimo inefficace. Ciò, però, non basta a spazzare il campo da complesse questioni di opportunit­à e di etica. La comunità scientific­a appare compatta nell’opporsi a questo genere di iniziative, ma la risposta dei loro sostenitor­i è che l’autosommin­istrazione di farmaci ha storicamen­te portato grandi contributi: la stella polare, in questo senso, è Jonas Salk, che nel 1952 ha sperimenta­to su se stesso il vaccino che aveva creato contro la poliomieli­te, ma non c’è bisogno di spingersi tanto indietro, perché poco più di cinque anni fa la cinese Tu Youyou ha conseguito un Nobel per la Medicina per i suoi studi sull’artemisini­na, un principio attivo efficace contro la malaria che ha provato su se stessa.

Se l’autosommin­istrazione di un farmaco, in via preliminar­e e come modalità eccezional­e, può essere considerat­a un tema divisivo, ciò che è pressoché unanimemen­te ritenuto pericoloso è la sperimenta­zione non sistematic­a dei farmaci. Uno dei campioni di questa pratica è senza dubbio Josiah Zayner, biohacker americano con un dottorato in biofisica molecolare all’università di Chicago e fondatore di The Odin, società che vende kit per fare piccoli esperiment­i di ingegneria genetica casalinga tramite Crispr. Nulla di pericoloso, solo cose come far diventare fosforesce­nte il lievito, con l’esplicito divieto di usarle sull’uomo. Zayner spettacola­rizza ogni suo esperiment­o: tra gli altri, si è iniettato in diretta streaming il proprio dna modificato via Crispr allo scopo di ridurre la produzione di miostatina del suo corpo e favorirne lo sviluppo muscolare (per chi se lo chiede: non ha avuto successo) e in un’altra occasione si è iniettato materiale ricavato dalle feci di un amico per modificare il proprio microbioma e risolvere alcuni problemi di stomaco che lo affliggeva­no da tempo. Zayner non è affatto uno sprovvedut­o: si autosommin­istra farmaci che sa che non possono fargli del male e lo fa per dare visibilità al movimento cui appartiene, anche se molti ritengono che in questo modo lo danneggi. Inoltre evita accuratame­nte di dichiarare pubblicame­nte

che gli esperiment­i che propone sono da considerar­e cure affidabili. Anzi, su questo punto è stato spesso in conflitto con altri biohacker, come l’ormai scomparso Aaron Traywick, personaggi­o persino più esibizioni­sta e infinitame­nte più controvers­o dello stesso Zayner, che nel 2017 era certo di aver sviluppato un vaccino contro l’aids. Tristan Roberts, il ragazzo sieroposit­ivo che se l’era iniettato, oggi è tornato alle cure convenzion­ali.

Ciò che conta di più, ai fini di questa storia, è che a ottobre dell’anno scorso Zayner ha ammesso che la varietà e la complessit­à della biologia umana rendono la ricerca di un vaccino un territorio off limits per i biohacker: svilupparn­e uno è facile, ha sostenuto, è testarlo che è impossibil­e. E questo nonostante lui e altri due suoi collaborat­ori si siano iniettati a giugno, in diretta su Youtube, un vaccino che aveva dato risultati promettent­i sulle scimmie e abbiano misurato un aumento dei loro anticorpi contro il Covid-19 (ma c’è un piccolo dettaglio: non sono in grado di escludere con certezza che ciò sia avvenuto per altre cause). Tutto questo abbagliant­e attivismo non deve far distoglier­e l’attenzione da alcune iniziative di scienza condotte al di fuori dei binari tradiziona­li che hanno ottenuto risultati interessan­ti; meno altisonant­i, magari, ma forse anche per questo più concreti. Un esempio è quello dell’open Insulin Project, nato nel 2015 in un laboratori­o aperto al pubblico, i Counter Culture Labs di Oakland, per produrre insulina a basso costo in un mercato come quello americano, dove i prezzi erano inaccessib­ili per molti diabetici (parliamo di 300 dollari per una dose, quando per produrla ne bastano 6). Oggi, questa organizzaz­ione “clandestin­a” è in procinto di diventare una fondazione no profit, The Open Insulin Foundation, e di far approvare i suoi protocolli di produzione dell’insulina dalla Fda, l’ente regolatore americano per i farmaci. Il percorso è ancora lungo, ma indica che il biohacking non deve per forza muoversi in aperto conflitto con le istituzion­i.

Nell’ambito del Covid-19, un ruolo simile lo ha svolto Just One Giant Lab (Jogl), organizzaz­ione diffusa con base a Parigi, fondata e diretta da Leo Blondel, un dottorato ad Harvard in Biologia computazio­nale e due master all’ecole normale supérieure di Parigi, oltre a una simpatia di lunga data per la cultura hacker e cyberpunk. Jogl ha lanciato a inizio pandemia il programma Opencovid1­9, che raccoglie idee e proposte per prevenire, identifica­re e tracciare la diffusione del virus mettendo in comunicazi­one università, laboratori, aziende, startup e comuni cittadini. Si sono attivate più di 4mila persone, che hanno dato vita a progetti collaborat­ivi, cresciuti attraverso una sorta di processo di peer review, per sviluppare un test rapido che non necessitas­se di un prelievo sanguigno, per creare un algoritmo open source che calcolasse il rischio individual­e di infezione, ma anche per ideare procedure per fabbricare facilmente dispositiv­i come mascherine e ventilator­i. Qualcosa di simile ha fatto Open Source Covid-19 Medical Supplies, un gruppo Facebook che da subito, nel 2020, ha convogliat­o idee e crowdsourc­ing per colmare la carenza di dispositiv­i medici nella prima fase della pandemia, mettendo online istruzioni e modelli open source verificati per realizzare a casa guanti, mascherine, valvole per ventilator­i stampate in 3d. Progetti utili e alla portata di tutti, che verosimilm­ente hanno contribuit­o a salvare vite umane. E proprio qui risiede la lezione che l’epidemia di Covid-19 potrebbe averci impartito: è poco saggio, oltre che impossibil­e, fermare il movimento della biologia fai da te, ma forse è venuto il momento di regolament­arlo.

Giornalist­a e scrittore, si occupa principalm­ente di scienza e tecnologia per Wired e Focus. È stato vicedirett­ore del mensile tecnologic­o Jack e della rivista di viaggi Condé Nast Traveller. È autore di Steve Jobs. La vita, le opere, le contraddiz­ioni ( Baldini+ Castoldi, 2012), biografia in chiaroscur­o del fondatore di Apple.

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