Una proteina da Nobel
intervista a Jennifer Doudna
Niente è più stato come prima dopo la scoperta di Crispr/cas9, una sequenza utilizzabile come un coltellino svizzero per intervenire sul dna di qualsiasi essere vivente. Che lo scorso ottobre ha garantito alle sue scopritrici, Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier, il massimo riconoscimento in campo scientifico
Anno di nascita: 2012. Nome: Crispr. Certificato di battesimo: le pagine della rivista Science. Genitori: Jennifer Doudna, biochimica all’università della California a Berkeley, ed Emmanuelle Charpentier, microbiologa all’istituto Max Planck di Berlino. Titoli: premio Nobel per la Chimica nel 2020. Sono bastati otto anni a questa tecnologia, che ci ha consegnato uno strumento potente e versatile per fare editing genomico – ritoccando un mattoncino per volta, o in diversi punti allo stesso tempo, i tratti che compongono il dna degli esseri viventi – per stravolgere il nostro modo di fare ricerca. I risultati più promettenti stanno arrivando nella lotta contro il cancro, ma ci sono diverse altre strade aperte e il limite a quello che Crispr può fare sembra essere solo la fantasia (e l’etica). Per capirne di più, ne abbiamo parlato con la stessa Jennifer Doudna. Cominciando da una rivendicazione di genere.
«Mi era stato detto che le ragazze non fanno scienza e, fortunatamente, l’ho ignorato», ha dichiarato una volta. Quanto è stato difficile farsi strada?
« Ho avuto la fortuna di crescere professionalmente in ambienti che mi hanno sempre supportato e che allo stesso tempo facevano ricerca di alto livello. Se mai ti capitasse di dover scegliere, opta per le persone migliori piuttosto che per il prestigio. Se ti circondi di compagni che condividono i tuoi interessi e il tuo entusiasmo, non solo abbatti le barriere verso il successo, ma diventi anche uno scienziato migliore. Diamo molta attenzione ai singoli, ma la scienza è uno sport di squadra, e per farla bene ti serve una squadra vincente».
Quando è iniziato tutto?
« La mia passione per la scienza è sbocciata da bambina, dopo che mi sono trasferita con la mia famiglia alle Hawaii. Se sei minimamente interessato a piante e animali, vulcani e oceani, le Hawaii sono il posto ideale. Al liceo ho avuto la possibilità di lavorare in un vero laboratorio scientifico e di vedere come funzionava. Vorrei che tutti potessero avere la stessa opportunità. A quel tempo, non era ancora comune per le donne entrare nel mondo della scienza, ma quando qualcuno mi dice che non posso fare una cosa, il mio primo istinto è rispondere: “Ah sì? Stai a vedere”».
Veniamo a Crispr. Che cos’ha provato nel momento chiave di questa invenzione, quello in cui ha compreso che la sua idea stava prendendo forma?
«Ricordo molto chiaramente un momento in cui l’impatto di ciò che poteva fare Crispr iniziò davvero a farsi sentire. Ero a casa e, mentre preparavo la cena, all’improvviso scoppiai a ridere. Mio figlio, che all’epoca aveva forse otto o nove anni, alzò lo sguardo e mi chiese perché stessi ridendo. Gli dissi: “Stiamo lavorando su questa pazza proteina che può trovare virus e farli a pezzi”. Gli ho disegnato un piccolo schizzo per spiegare. Era una piccola auto da corsa che sfrecciava intorno a una cellula, afferrava i virus e li tagliuzzava. Ha iniziato a ridere anche lui. È stato un momento di pura felicità».
In che modo Crispr sta rivoluzionando la ricerca scientifica?
«Per chi sta fuori dal mondo della scienza, probabilmente non è così ovvio che il più grande impatto che Crispr ha avuto finora sia il modo in cui ha rivoluzionato la ricerca di base nelle scienze della vita. Fin dal nostro articolo del 2012, sono rimasta stupita dalla rapidità con cui i laboratori di tutto il mondo hanno iniziato ad applicare Crispr a diverse aree di ricerca. Uno dei motivi è che Crispr è tutto sommato semplice da usare e da adattare a diversi scopi, sia che tu stia lavorando nel campo della medicina umana sia che tu stia studiando la fotosintesi delle piante o persino la colorazione delle ali delle farfalle. Anche il tempismo è stato importante: arrivando dopo la nascita del Progetto genoma umano e il conseguente sviluppo di enormi quantità di dati genomici pubblicamente disponibili, gli scienziati avevano già molto materiale su cui lavorare. Crispr è uno strumento che ci consente di esplorare le funzioni di ogni singola parte del genoma, aumentando la nostra comprensione di come funzionano i geni e di come vengono attivati e disattivati, e permettendoci di testare ipotesi in ambito genetico che prima d’ora non era facile approfondire».
Il 2020 ci ha spiazzati con una terribile pandemia. Covid-19 ci ha insegnato qualcosa anche su come utilizzare Crispr per combattere in modo più efficace le epidemie?
«La pandemia è stata tragica sotto molti aspetti, ma ha anche accelerato ricerche altrettanto importanti, comprese quelle su Crispr. All’innovative Genomics Institute, che ho fondato all’università della California a Berkeley e a quella di San Francisco, stiamo portando avanti diversi progetti su Covid-19 dove Crispr trova applicazione. Per esempio utilizzando l’editing genomico come metodo più veloce e accurato per creare vaccini vivi attenuati, ma anche sperimentando un promettente approccio a un possibile trattamento preventivo che disattivi temporaneamente i geni necessari ai coronavirus per produrre la loro proteina spike o per fare il loro ingresso nella cellula. Stiamo lavorando a Crispr come strumento diagnostico, una cosa che vorrei che fosse stata già pronta all’inizio della pandemia. Si tratta di una tecnologia facile da adattare a nuovi agenti patogeni, e non serve un vero e proprio laboratorio per essere eseguita, perciò sarebbe stata utilissima per fare test in quei posti che ne avevano un disperato bisogno durante la prima fase. La buona notizia è che l’energia spesa oggi in quest’area di ricerca ci permetterà di essere più preparati per la prossima eventuale pandemia, e di avere comunque nuove applicazioni diagnostiche in condizioni normali».
«Mio figlio, che all’epoca aveva otto anni, alzò lo sguardo e mi chiese perché stessi ridendo. Gli dissi: “Stiamo lavorando su questa pazza proteina che può trovare i virus e farli a pezzi” »
In quale campo prevede che Crispr avrà un impatto maggiore?
«Sicuramente in quello della salute, inteso in un senso più ampio, che comprende l’accesso a una dieta sana in un ambiente sano, non soltanto la possibilità di realizzare terapie e diagnosi migliori. Se riusciremo a utilizzare un approccio olistico nei confronti delle coltivazioni resistenti ai cambiamenti climatici, riducendo la necessità di pesticidi e fertilizzanti, e a sviluppare allo stesso tempo nuovi approcci per affrontare le malattie genetiche, allora avremo effetti molto più complessi e duraturi sulla nostra salute. Ho pensato che sarebbe stata l’agricoltura ad avere un impatto maggiore, perché ha ricadute su più persone, ma i progressi della medicina saranno più rapidi, e in fondo entrambi questi aspetti contribuiscono in pari misura alla nostra salute».
Che cosa possiamo dire sul futuro della ricerca sul cancro e sulle malattie genetiche?
« È un’area molto promettente e so che tante persone sono particolarmente attive su questo fronte. Esistono diversi approcci che i ricercatori stanno già utilizzando per realizzare terapie contro il cancro attraverso strumenti di editing genomico. Quello che forse ha ricevuto più attenzione punta a impiegare in modo nuovo un’arma che già possediamo: il nostro sistema immunitario. Modificando i globuli bianchi, o cellule T, di un paziente in modo che possano riconoscere e attaccare le cellule tumorali. Si tratta dell’immunoterapia, e sembra piuttosto incoraggiante. Ci sono studi preliminari sull’utilizzo di Crispr per modificare le cellule T per alcuni tipi di tumori del polmone, del sangue e delle ossa. È un ambito ancora piuttosto nuovo, ma i profili di sicurezza finora sono stati buoni ed è sicuramente un’area da tenere d’occhio».
Nessuno ha una sfera di cristallo, ma riesce a immaginare quale impatto potrà avere Crispr in campo medico nei prossimi anni?
« La prima ondata di sperimentazioni cliniche sulle terapie basate su Crispr è già in corso. Riguardano per la maggior parte malattie genetiche che hanno cause semplici e note, per esempio la mutazione di una singola lettera nel codice genetico, come nel caso dell’anemia falciforme. In questi test, le cellule vengono solitamente prelevate dal corpo per essere modificate, il che non è una condizione ideale. Nei prossimi cinque o dieci anni aumenteranno le terapie sperimentali sviluppate per malattie genetiche sempre più complesse, e ci saranno nuovi approcci ingegnerizzati per l’editing in vivo anche dentro cellule e tessuti difficili da raggiungere».
Quali sfide la attendono, come scienziata, dopo Crispr?
« Lavorare a Crispr è stata una delle esperienze più gratificanti della mia carriera, ma non è ancora finita: ci stiamo impegnando duramente perché diventi una realtà. Come riusciremo a portare la promessa dell’editing genomico dai banchi dei laboratori alle cliniche – o sul campo – e a farlo in un modo etico ed equo? È meraviglioso vedere i primi successi della terapia basata su Crispr per l’anemia falciforme, ma finché non saremo in grado di garantire che tutti coloro che possono trarre beneficio dalla terapia vi abbiano accesso, non avremo finito».
C’è un messaggio che vorrebbe mandare a chi lavora nella scienza e nell’innovazione o, più in generale, ai giovani?
«Nel mondo accademico, ma anche nel mondo degli affari, vi diranno spesso che dovete scegliere tra il successo e una vita famigliare felice. Per quella che è la mia esperienza, è esattamente l’opposto di così. Scegliete entrambi. La mia famiglia è la parte più salda e appagante della mia vita, mi dà l’energia per lavorare ed è il posto in cui rifugiarmi quando finisco la benzina. Tutti ne abbiamo bisogno. Circondatevi di persone che valgano e lanciatevi!».
Jennifer Doudna
Premio Nobel per la Chimica nel 2020, insieme a Emmanuelle Charpentier, per aver sviluppato la tecnologia genetica basata sul sistema Crispr/ Cas9, insegna Chimica molecolare all’università della California a Berkeley. Ha fondato la startup di editing genomico Mammoth Biosciences e, più recentemente, l’innovative Genomics Institute, centro di riferimento per la diagnosi di Covid-19.