Cosa bolle in pentola
Bistecche coltivate in vitro, salsicce vegetali, polpette di pesce artificiale, snack e pasta con farine d’insetti: viaggio nei laboratori delle startup che vogliono riscrivere il futuro del cibo per salvare il pianeta
Nella Silicon Valley, la rivoluzione tecnologica non si fa più nei garage, ma in cucina. Sebbene parliamo di cucine che somigliano più a un laboratorio di biotecnologie che a un angolo cottura. Nell’ultimo decennio, un manipolo di startup ha deciso di cambiare per sempre il nostro modo di nutrirci. L’intento è nobile: offrire alternative più sostenibili al consumo di carne, pesce e altri prodotti di origine animale che hanno un ruolo importante nei guai ecologici mondiali. Secondo la Fao, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, gli allevamenti animali sono infatti responsabili del 14% delle emissioni globali di gas serra, più o meno al pari dei trasporti. E, come se non bastasse, il 70% della deforestazione serve a fare spazio ai pascoli e alle coltivazioni di mangimi. Trovare un modo più sostenibile per sfamare la popolazione è perciò urgente. La buona notizia è che a breve sugli scaffali dei supermercati potrebbe arrivare più di una valida alternativa alle proteine di origine animale.
L’hamburger impossibile
L’aspetto è succulento. Ma anche quando lo addenti, lo mastichi e ne assapori il gusto e la consistenza, è difficile credere che non sia vera carne. Invece l’hamburger dell’azienda californiana Impossible Foods, fondata nel 2011 dal biologo molecolare Patrick O. Brown, è prodotto interamente con ingredienti vegetali. Il segreto sta nella molecola eme, che conferisce a questa simil-carne il tipico gusto ferroso della vera carne. Negli animali l’eme si trova nelle emoglobine, le proteine che trasportano l’ossigeno nel sangue e lo colorano di rosso, però è presente anche in molte piante. Impossible Foods impiega l’eme della soia, ma per produrne in grandi quantità sfrutta un lievito geneticamente modificato. L’hamburger “impossibile” è insomma un vero concentrato di tecnologia per trarre in inganno anche chi alla carne non vuole proprio rinunciare. «È il risultato di quasi un decennio di ricerca e sviluppo per svelare ogni segreto della carne: come si forma il sapore durante la cottura, come sfrigola sulla griglia e come odora», racconta Rachel Konrad, direttrice della comunicazione di Impossible Foods.
La filosofia è semplice: piuttosto che chiedere alle persone di rinunciare agli hamburger, perché non offrire loro un’alternativa altrettanto gustosa ma sostenibile? « Non riusciremo a liberare i consumatori dalla dipendenza dai prodotti di origine animale incolpandoli », continua Konrad. « La carne è deliziosa e spesso non basta essere consapevoli dei danni ambientali che provoca per smettere di mangiarla e preferire le verdure. Così ci siamo detti: troviamo un’alternativa vegetale altrettanto buona e conveniente, ma prodotta senza bisogno di allevamenti, e le persone finiranno per preferirla ».
Impossible Foods ha già attirato un miliardo e mezzo di investimenti, e negli Stati Uniti gli hamburger e le salsicce ricavati dalle piante hanno avuto un enorme successo, spianando la strada ad altri prodotti che imitano quasi alla perfezione gli omologhi di origine animale. Non c’è solo la concorrenza di Beyond Meat, che ha lanciato il primo fake-burger vegetale nel 2015. In Europa, la startup svizzera Planted, nata nei laboratori dell’università di Zurigo, trasforma una farina di piselli in “carne di pollo” vegetariana che ricrea il gusto e l’aspetto della vera carne di pollo. E mentre già oggi i sostituti vegetali del latte non sono più di nicchia, diverse startup sono impegnate a trovare alternative ad altri alimenti di origine animale, come le “uova vegetali” create da Clara Foods.
Bistecche in provetta
C’è tuttavia chi si spinge oltre e, nel tentativo di sbarazzarsi degli allevamenti senza però rinunciare alla vera carne, progetta di crearla in laboratorio. Il primo hamburger artificiale, coltivato in provetta a partire da alcune cellule estratte da un bovino, è stato presentato al mondo nel 2013 da Mark Post, direttore del dipartimento di Fisiologia dell’università di Maastricht. Sapore e consistenza erano migliorabili, per usare un eufemismo, ma grazie ai progressi fatti, oggi Post assicura che il giorno in cui la carne artificiale arriverà sul mercato non è lontano: potrebbe accadere già quest’anno. Sono almeno una quarantina le aziende coinvolte nell’impresa. Nei bioreattori della californiana Eat Just si coltivano bocconcini di pollo, mentre la Memphis Meats di Berkeley, vicino San Francisco, vanta nel suo menu anche polpette di manzo e anatra all’arancia. Carne vera e pronta al consumo, però senza ossa né creature da macellare.
Curiosare troppo fra questi laboratori è difficile: la concorrenza è spietata e il know-how vale oro. Grosso modo, tuttavia, il processo avviene così: si parte da poche cellule del muscolo, che vengono separate dal grasso e poste in coltura all’interno di un bioreattore, cioè una cisterna d’acciaio in cui è presente una soluzione ricca di sostanze nutritive: proteine, carboidrati, sali, vitamine. Per stimolare la crescita cellulare si ricorre anche a cilindri rotanti: ginnastica per muscoli artificiali che consente ai tessuti coltivati in vitro di svilupparsi in filamenti abbastanza lunghi da sfamare un essere umano. L’ostacolo princi
pale resta il costo. Il primo hamburger di Post valeva la bellezza di 250 mila euro. Oggi la startup israeliana Aleph Farms afferma che per una sua bistecca di manzo artificiale (piuttosto sottile, a dire il vero) bastano 50 dollari. Non è un prezzo esorbitante per un prototipo, ma è ancora troppo alto per le tasche dei consumatori. Per fare concorrenza alla carne tradizionale, bisognerà industrializzare il processo produttivo. Secondo gli esperti, serviranno almeno altri dieci anni. Nel frattempo è arrivato il soccorso della Cina che, per allungare le distanze dalla Silicon Valley, ha investito 300 milioni di dollari proprio nelle startup israeliane.
Il pesce senza il mare
A gravare sulla sostenibilità, tuttavia, non sono soltanto gli allevamenti animali. La pesca eccessiva ( overfishing) minaccia oltre il 90% degli stock ittici, mettendo a rischio la sicurezza alimentare di tre miliardi di persone che ricavano dal pescato la fonte primaria di proteine. Perché allora non produrre anche il pesce in laboratorio? L’idea risale al 2002, quando la rivista scientifica Acta Astronautica raccontò dei primi pionieristici esperimenti per sintetizzare il pesce in provetta, cosicché gli astronauti delle future missioni su Marte potessero prodursi da sé il cibo necessario. I ricercatori di Finless Foods, invece, non sono interessati a coltivare pesce nello spazio: vogliono evitare che quello che nuota nei nostri mari scompaia, offrendo ai consumatori proteine ecosostenibili. Partendo da poche cellule coltivate in vitro e prelevate dai pesci dell’acquario di San Francisco, la startup californiana è riuscita a ottenere polpette, hamburger e sushi che – assicura chi ha potuto assaggiarli – hanno la consistenza e il gusto della carpa, del branzino, del merluzzo, del salmone o del tonno. Senza però dover sottrarre agli oceani un solo esemplare. Ancora una volta, tuttavia, l’ultimo ostacolo è il costo: oggi una polpetta di carpa di Finless Foods dovrebbe essere venduta a 200 dollari.
Gradisce un coleottero?
Esiste, infine, un’ultima via per ottenere le proteine di origine animale di cui abbiamo bisogno: anziché mucche, polli e maiali, potremmo allevare insetti commestibili, consumando meno suolo, sprecando meno acqua ed emettendo meno gas serra.
In Europa, diverse startup producono già oggi alimenti a base di insetti, e tra queste c’è Small Giants, che ha sede a Londra ma è stata fondata dagli italiani Francesco Majno, Edoardo Imparato e Andrea Di Nardo. Producono snack a base di farina di grillo, premiati ai Great Taste Awards 2020 e in vendita da febbraio anche da Sainsbury’s, la seconda catena di supermercati del Regno Unito. «Sono cracker arricchiti con una farina di grilli allevati in Thailandia, fonte di proteine complete e vitamina B12, che ricorda il sapore delle nocciole tostate», spiega Majno, e aggiunge che tutto è cominciato dopo aver letto un rapporto della Fao. «Scoprire che due miliardi di persone in Asia, Africa e America Latina si nutrono abitualmente di insetti, un alimento ricco di proteine, vitamine, minerali e acidi grassi essenziali, ma a bassissimo impatto ambientale, ci ha spinto a chiederci se avremmo potuto introdurre questa cultura alimentare anche da noi ».
Secondo la Fao, a parità di proteine prodotte, gli allevamenti di grilli emettono mille volte meno CO di quelli bovini, e consumano meno suolo e acqua di qualsiasi allevamento animale. Gli insetti, inoltre, non soffrono l’affollamento e assorbono tutta l’acqua di cui hanno bisogno dal cibo, che può essere costituito anche da rifiuti organici, permettendo così di riciclare frutta e ortaggi che altrimenti finirebbero nella spazzatura. Forse non basteranno degli snack a cambiare il mondo, però potrebbero aiutarci a infrangere un tabù e a fare da apripista per altri alimenti a base di insetti. «Stiamo sperimentando delle tortilla chips fatte con farina di larve di Tenebrio molitor, mentre con la farina di grillo vorremmo produrre della pasta ricca di proteine e con un delizioso retrogusto nocciolato», svela Majno.
La normativa europea sui novel food (nuovi alimenti), in cui rientrano anche gli insetti commestibili, dovrà stabilire quali specie sono adatte al consumo. In gennaio l’autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha dato il primo parere favorevole all’impiego delle larve di Tenebrio molitor e ora sono attese le valutazioni per gli altri edibili. Ma a parte possibili reazioni allergiche, simili a quelle che talvolta si verificano mangiando crostacei, non sembrano esserci particolari controindicazioni. Toccherà quindi alla Commissione europea e agli Stati membri autorizzare il commercio, sebbene già oggi in diversi Paesi sia consentita la vendita di alcuni alimenti a base di insetti. Si tratta ancora di prodotti di nicchia, ma nei prossimi anni il mercato europeo potrebbe spalancarsi a questa nuova fonte di proteine animali.
I gusti sono gusti
Tutto ciò, a patto che molte persone vincano la repulsione che provano all’idea di trovarsi sotto il naso un piatto di grilli o di cavallette, più facile da superare se, almeno all’inizio, saranno proposti in forma di semplici ingredienti come le farine, senza antenne e zampette.
Ma in realtà il mercato più redditizio potrebbe essere quello degli alimenti per animali, che si stima valga oltre 500 miliardi di dollari e che ha già attirato giganti del settore come Cargill e Nestlé. Alle porte di Parigi, la startup Ÿnsect sta costruendo la più grande fabbrica di insetti d’europa, che produrrà 20 mila tonnellate di proteine destinate ai mangimi per animali domestici e allevati.
Quanto alla carne artificiale, il rischio è che venga percepita come “innaturale”. Molte persone potrebbero domandarsi perché rinunciare a quel che offre la natura per un cibo creato in laboratorio. Le simil-carni vegetali sono invece state criticate per essere alimenti ultra-processati, considerati insalubri e di certo agli antipodi degli ingredienti semplici usati nella cucina casalinga. Ma, a ben guardare, neppure l’attuale sistema di produzione alimentare ha molto di “naturale”. «Gran parte della carne bovina in commercio proviene da animali concepiti per inseminazione artificiale, imbottiti di antibiotici e ormoni della crescita », puntualizza Rachel Konrad di Impossible Foods. « Mentre la nostra dipendenza alimentare dagli animali domestici e selvatici costituisce un rischio per la salute pubblica, giacché le zoonosi sono responsabili di tre quarti delle malattie infettive, inclusa la pandemia di Covid-19».
Il timore che i loro prodotti siano percepiti come “innaturali” spinge queste startup a investire molte risorse in comunicazione, show cooking e assaggi dimostrativi. Ma nei laboratori della Silicon Valley sono convinti che la strada sia ormai tracciata: qui tutti pensano che nel 2050 considereremo una barbarie l’idea di macellare un pollo per nutrirci, e che l’allevamento ci sembrerà arretrato come una carrozza trainata dai cavalli. A Impossible Foods sono sicuri che niente sarà impossibile: « Disponiamo di una piattaforma tecnologica e di un archivio di conoscenze unico al mondo su come funziona la carne a livello molecolare. Con il know-how e gli strumenti che stiamo sviluppando oggi, potremo produrre le bistecche, il pollo, il pesce, il formaggio e le uova migliori che il mondo abbia mai assaggiato, senza usare altro che le piante». Benvenuti nel futuro del cibo.