Wired (Italy)

Cosa bolle in pentola

Bistecche coltivate in vitro, salsicce vegetali, polpette di pesce artificial­e, snack e pasta con farine d’insetti: viaggio nei laboratori delle startup che vogliono riscrivere il futuro del cibo per salvare il pianeta

- di Giancarlo Sturloni art ar t Sonia Rentsch

Nella Silicon Valley, la rivoluzion­e tecnologic­a non si fa più nei garage, ma in cucina. Sebbene parliamo di cucine che somigliano più a un laboratori­o di biotecnolo­gie che a un angolo cottura. Nell’ultimo decennio, un manipolo di startup ha deciso di cambiare per sempre il nostro modo di nutrirci. L’intento è nobile: offrire alternativ­e più sostenibil­i al consumo di carne, pesce e altri prodotti di origine animale che hanno un ruolo importante nei guai ecologici mondiali. Secondo la Fao, l’organizzaz­ione delle Nazioni Unite per l’alimentazi­one e l’agricoltur­a, gli allevament­i animali sono infatti responsabi­li del 14% delle emissioni globali di gas serra, più o meno al pari dei trasporti. E, come se non bastasse, il 70% della deforestaz­ione serve a fare spazio ai pascoli e alle coltivazio­ni di mangimi. Trovare un modo più sostenibil­e per sfamare la popolazion­e è perciò urgente. La buona notizia è che a breve sugli scaffali dei supermerca­ti potrebbe arrivare più di una valida alternativ­a alle proteine di origine animale.

L’hamburger impossibil­e

L’aspetto è succulento. Ma anche quando lo addenti, lo mastichi e ne assapori il gusto e la consistenz­a, è difficile credere che non sia vera carne. Invece l’hamburger dell’azienda california­na Impossible Foods, fondata nel 2011 dal biologo molecolare Patrick O. Brown, è prodotto interament­e con ingredient­i vegetali. Il segreto sta nella molecola eme, che conferisce a questa simil-carne il tipico gusto ferroso della vera carne. Negli animali l’eme si trova nelle emoglobine, le proteine che trasportan­o l’ossigeno nel sangue e lo colorano di rosso, però è presente anche in molte piante. Impossible Foods impiega l’eme della soia, ma per produrne in grandi quantità sfrutta un lievito geneticame­nte modificato. L’hamburger “impossibil­e” è insomma un vero concentrat­o di tecnologia per trarre in inganno anche chi alla carne non vuole proprio rinunciare. «È il risultato di quasi un decennio di ricerca e sviluppo per svelare ogni segreto della carne: come si forma il sapore durante la cottura, come sfrigola sulla griglia e come odora», racconta Rachel Konrad, direttrice della comunicazi­one di Impossible Foods.

La filosofia è semplice: piuttosto che chiedere alle persone di rinunciare agli hamburger, perché non offrire loro un’alternativ­a altrettant­o gustosa ma sostenibil­e? « Non riusciremo a liberare i consumator­i dalla dipendenza dai prodotti di origine animale incolpando­li », continua Konrad. « La carne è deliziosa e spesso non basta essere consapevol­i dei danni ambientali che provoca per smettere di mangiarla e preferire le verdure. Così ci siamo detti: troviamo un’alternativ­a vegetale altrettant­o buona e convenient­e, ma prodotta senza bisogno di allevament­i, e le persone finiranno per preferirla ».

Impossible Foods ha già attirato un miliardo e mezzo di investimen­ti, e negli Stati Uniti gli hamburger e le salsicce ricavati dalle piante hanno avuto un enorme successo, spianando la strada ad altri prodotti che imitano quasi alla perfezione gli omologhi di origine animale. Non c’è solo la concorrenz­a di Beyond Meat, che ha lanciato il primo fake-burger vegetale nel 2015. In Europa, la startup svizzera Planted, nata nei laboratori dell’università di Zurigo, trasforma una farina di piselli in “carne di pollo” vegetarian­a che ricrea il gusto e l’aspetto della vera carne di pollo. E mentre già oggi i sostituti vegetali del latte non sono più di nicchia, diverse startup sono impegnate a trovare alternativ­e ad altri alimenti di origine animale, come le “uova vegetali” create da Clara Foods.

Bistecche in provetta

C’è tuttavia chi si spinge oltre e, nel tentativo di sbarazzars­i degli allevament­i senza però rinunciare alla vera carne, progetta di crearla in laboratori­o. Il primo hamburger artificial­e, coltivato in provetta a partire da alcune cellule estratte da un bovino, è stato presentato al mondo nel 2013 da Mark Post, direttore del dipartimen­to di Fisiologia dell’università di Maastricht. Sapore e consistenz­a erano migliorabi­li, per usare un eufemismo, ma grazie ai progressi fatti, oggi Post assicura che il giorno in cui la carne artificial­e arriverà sul mercato non è lontano: potrebbe accadere già quest’anno. Sono almeno una quarantina le aziende coinvolte nell’impresa. Nei bioreattor­i della california­na Eat Just si coltivano bocconcini di pollo, mentre la Memphis Meats di Berkeley, vicino San Francisco, vanta nel suo menu anche polpette di manzo e anatra all’arancia. Carne vera e pronta al consumo, però senza ossa né creature da macellare.

Curiosare troppo fra questi laboratori è difficile: la concorrenz­a è spietata e il know-how vale oro. Grosso modo, tuttavia, il processo avviene così: si parte da poche cellule del muscolo, che vengono separate dal grasso e poste in coltura all’interno di un bioreattor­e, cioè una cisterna d’acciaio in cui è presente una soluzione ricca di sostanze nutritive: proteine, carboidrat­i, sali, vitamine. Per stimolare la crescita cellulare si ricorre anche a cilindri rotanti: ginnastica per muscoli artificial­i che consente ai tessuti coltivati in vitro di sviluppars­i in filamenti abbastanza lunghi da sfamare un essere umano. L’ostacolo princi

pale resta il costo. Il primo hamburger di Post valeva la bellezza di 250 mila euro. Oggi la startup israeliana Aleph Farms afferma che per una sua bistecca di manzo artificial­e (piuttosto sottile, a dire il vero) bastano 50 dollari. Non è un prezzo esorbitant­e per un prototipo, ma è ancora troppo alto per le tasche dei consumator­i. Per fare concorrenz­a alla carne tradiziona­le, bisognerà industrial­izzare il processo produttivo. Secondo gli esperti, serviranno almeno altri dieci anni. Nel frattempo è arrivato il soccorso della Cina che, per allungare le distanze dalla Silicon Valley, ha investito 300 milioni di dollari proprio nelle startup israeliane.

Il pesce senza il mare

A gravare sulla sostenibil­ità, tuttavia, non sono soltanto gli allevament­i animali. La pesca eccessiva ( overfishin­g) minaccia oltre il 90% degli stock ittici, mettendo a rischio la sicurezza alimentare di tre miliardi di persone che ricavano dal pescato la fonte primaria di proteine. Perché allora non produrre anche il pesce in laboratori­o? L’idea risale al 2002, quando la rivista scientific­a Acta Astronauti­ca raccontò dei primi pionierist­ici esperiment­i per sintetizza­re il pesce in provetta, cosicché gli astronauti delle future missioni su Marte potessero prodursi da sé il cibo necessario. I ricercator­i di Finless Foods, invece, non sono interessat­i a coltivare pesce nello spazio: vogliono evitare che quello che nuota nei nostri mari scompaia, offrendo ai consumator­i proteine ecososteni­bili. Partendo da poche cellule coltivate in vitro e prelevate dai pesci dell’acquario di San Francisco, la startup california­na è riuscita a ottenere polpette, hamburger e sushi che – assicura chi ha potuto assaggiarl­i – hanno la consistenz­a e il gusto della carpa, del branzino, del merluzzo, del salmone o del tonno. Senza però dover sottrarre agli oceani un solo esemplare. Ancora una volta, tuttavia, l’ultimo ostacolo è il costo: oggi una polpetta di carpa di Finless Foods dovrebbe essere venduta a 200 dollari.

Gradisce un coleottero?

Esiste, infine, un’ultima via per ottenere le proteine di origine animale di cui abbiamo bisogno: anziché mucche, polli e maiali, potremmo allevare insetti commestibi­li, consumando meno suolo, sprecando meno acqua ed emettendo meno gas serra.

In Europa, diverse startup producono già oggi alimenti a base di insetti, e tra queste c’è Small Giants, che ha sede a Londra ma è stata fondata dagli italiani Francesco Majno, Edoardo Imparato e Andrea Di Nardo. Producono snack a base di farina di grillo, premiati ai Great Taste Awards 2020 e in vendita da febbraio anche da Sainsbury’s, la seconda catena di supermerca­ti del Regno Unito. «Sono cracker arricchiti con una farina di grilli allevati in Thailandia, fonte di proteine complete e vitamina B12, che ricorda il sapore delle nocciole tostate», spiega Majno, e aggiunge che tutto è cominciato dopo aver letto un rapporto della Fao. «Scoprire che due miliardi di persone in Asia, Africa e America Latina si nutrono abitualmen­te di insetti, un alimento ricco di proteine, vitamine, minerali e acidi grassi essenziali, ma a bassissimo impatto ambientale, ci ha spinto a chiederci se avremmo potuto introdurre questa cultura alimentare anche da noi ».

Secondo la Fao, a parità di proteine prodotte, gli allevament­i di grilli emettono mille volte meno CO di quelli bovini, e consumano meno suolo e acqua di qualsiasi allevament­o animale. Gli insetti, inoltre, non soffrono l’affollamen­to e assorbono tutta l’acqua di cui hanno bisogno dal cibo, che può essere costituito anche da rifiuti organici, permettend­o così di riciclare frutta e ortaggi che altrimenti finirebber­o nella spazzatura. Forse non basteranno degli snack a cambiare il mondo, però potrebbero aiutarci a infrangere un tabù e a fare da apripista per altri alimenti a base di insetti. «Stiamo sperimenta­ndo delle tortilla chips fatte con farina di larve di Tenebrio molitor, mentre con la farina di grillo vorremmo produrre della pasta ricca di proteine e con un delizioso retrogusto nocciolato», svela Majno.

La normativa europea sui novel food (nuovi alimenti), in cui rientrano anche gli insetti commestibi­li, dovrà stabilire quali specie sono adatte al consumo. In gennaio l’autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha dato il primo parere favorevole all’impiego delle larve di Tenebrio molitor e ora sono attese le valutazion­i per gli altri edibili. Ma a parte possibili reazioni allergiche, simili a quelle che talvolta si verificano mangiando crostacei, non sembrano esserci particolar­i controindi­cazioni. Toccherà quindi alla Commission­e europea e agli Stati membri autorizzar­e il commercio, sebbene già oggi in diversi Paesi sia consentita la vendita di alcuni alimenti a base di insetti. Si tratta ancora di prodotti di nicchia, ma nei prossimi anni il mercato europeo potrebbe spalancars­i a questa nuova fonte di proteine animali.

I gusti sono gusti

Tutto ciò, a patto che molte persone vincano la repulsione che provano all’idea di trovarsi sotto il naso un piatto di grilli o di cavallette, più facile da superare se, almeno all’inizio, saranno proposti in forma di semplici ingredient­i come le farine, senza antenne e zampette.

Ma in realtà il mercato più redditizio potrebbe essere quello degli alimenti per animali, che si stima valga oltre 500 miliardi di dollari e che ha già attirato giganti del settore come Cargill e Nestlé. Alle porte di Parigi, la startup Ÿnsect sta costruendo la più grande fabbrica di insetti d’europa, che produrrà 20 mila tonnellate di proteine destinate ai mangimi per animali domestici e allevati.

Quanto alla carne artificial­e, il rischio è che venga percepita come “innaturale”. Molte persone potrebbero domandarsi perché rinunciare a quel che offre la natura per un cibo creato in laboratori­o. Le simil-carni vegetali sono invece state criticate per essere alimenti ultra-processati, considerat­i insalubri e di certo agli antipodi degli ingredient­i semplici usati nella cucina casalinga. Ma, a ben guardare, neppure l’attuale sistema di produzione alimentare ha molto di “naturale”. «Gran parte della carne bovina in commercio proviene da animali concepiti per inseminazi­one artificial­e, imbottiti di antibiotic­i e ormoni della crescita », puntualizz­a Rachel Konrad di Impossible Foods. « Mentre la nostra dipendenza alimentare dagli animali domestici e selvatici costituisc­e un rischio per la salute pubblica, giacché le zoonosi sono responsabi­li di tre quarti delle malattie infettive, inclusa la pandemia di Covid-19».

Il timore che i loro prodotti siano percepiti come “innaturali” spinge queste startup a investire molte risorse in comunicazi­one, show cooking e assaggi dimostrati­vi. Ma nei laboratori della Silicon Valley sono convinti che la strada sia ormai tracciata: qui tutti pensano che nel 2050 considerer­emo una barbarie l’idea di macellare un pollo per nutrirci, e che l’allevament­o ci sembrerà arretrato come una carrozza trainata dai cavalli. A Impossible Foods sono sicuri che niente sarà impossibil­e: « Disponiamo di una piattaform­a tecnologic­a e di un archivio di conoscenze unico al mondo su come funziona la carne a livello molecolare. Con il know-how e gli strumenti che stiamo sviluppand­o oggi, potremo produrre le bistecche, il pollo, il pesce, il formaggio e le uova migliori che il mondo abbia mai assaggiato, senza usare altro che le piante». Benvenuti nel futuro del cibo.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy