Wired (Italy)

Non è colpa delle cavallette

La pandemia è una scusa formidabil­e per rinviare decisioni importanti ma scomode. Come quella sulla sperimenta­zione animale, una pratica senza la quale non esisterebb­e la ricerca clinica e neppure un vaccino, che in Italia resta permessa solo grazie a una

- di Chiara Lalli art Guillermo Flores

«Non ti ho tradito. Dico sul serio.

Ero rimasto senza benzina.

Avevo una gomma a terra.

Non avevo i soldi per prendere il taxi. La tintoria non mi aveva portato il tight.

C’era il funerale di mia madre.

Era crollata la casa!

C’è stato un terremoto!

Una tremenda inondazion­e!

Le cavallette!

Non è stata colpa mia!

Lo giuro su Dio!».

Anche a distanza di quarant’anni, basta nominare le cavallette per evocare le migliori scuse della storia del cinema: John Belushi che spiega a Carrie Fisher perché l’ha abbandonat­a sull’altare, e questa è la scena più indimentic­abile dei Blues Brothers. Alle cavallette ho pensato spesso nell’ultimo anno, ogni volta che la pandemia era la risposta a qualsiasi domanda. E poi quando, poche settimane dopo Wuhan, le cavallette sono diventate una minaccia letterale, una epidemia parallela. Meno presente nelle nostre preoccupaz­ioni solo perché l’invasione riguarda direttamen­te l’africa e l’asia, con quella lungimiran­za di chi sotterra i rifiuti tossici sotto alla propria villetta a schiera. Ed è un peccato, anche perché le due catastrofi si somigliano più di quanto potremmo pensare (proprio How a single locust becomes a plague si intitola un pezzo su Bbc News del 5 maggio scorso), a cominciare dalla loro prevedibil­ità e ricorrenza. La pandemia virale è una scusa formidabil­e per mettere in attesa tutto il resto, un ricatto morale perfetto. Se però l’emergenza giustifica criteri selettivi e priorità diversi dalle condizioni di non emergenza, la sua durata (della giustifica­zione) non può essere eterna. Sia per una questione ontologica – dopo quanto tempo una emergenza smette di essere tale per diventare cronica? – sia per la gravità delle conseguenz­e.

La più clamorosa distrazion­e riguarda proprio la sperimenta­zione animale, soprattutt­o quando la risoluzion­e dell’emergenza confida nel vaccino. E come si arriva ai vaccini? Trascurare la sperimenta­zione animale è forse la più dannosa delle procrastin­azioni. È come costruire le case sulle pendici di un vulcano e sperare che questo non scoppi. Perché la sperimenta­zione è una condizione necessaria per la ricerca clinica. E la ricerca clinica è una condizione necessaria per la nostra salute. Ci è servita e ci serve per capire che cosa fa un patogeno e come si comporta una malattia nel nostro organismo – ancora prima come funzionano la circolazio­ne sanguigna, la digestione e il sistema immunitari­o. Ci è servita per sviluppare più o meno tutti i farmaci, le tecniche chirurgich­e e le terapie che hanno allungato e migliorato le nostre vite. Ci serve per mettere in commercio un farmaco o per considerar­e un trattament­o sicuro (almeno abbastanza sicuro, non esiste niente di totalmente sicuro, nemmeno l’acqua potabile).

égiusto farne a meno? Cioè, sarebbe moralmente giusto smettere di usare gli animali per i nostri comodi? Lo chiedo perché un problema di molte discussion­i sull’uso di modelli animali è il confondere il piano fattuale con quello morale. Se la risposta morale è più complicata, quella fattuale non lo è e chi dice il contrario si sbaglia come chi sostiene che la Terra è piatta. Tutti possono rispondere, ma ci sono delle regole da rispettare: non barare sulle premesse fattuali ed essere consapevol­i delle conseguenz­e. In sintesi: smettere di usare gli animali nei laboratori significa fermare la ricerca scientific­a. E possiamo deciderlo, per carità. Però senza illuderci che i modelli alternativ­i siano abbastanza sviluppati da poter essere davvero un’alternativ­a, e non ancora soltanto un piccolo spazio dove esercitars­i. In questo momento in cui tanto si parla dei vaccini per Sars- Cov-2, poi, è particolar­mente ridicolo e ipocrita fare finta che non ci servano gli animali. Nel suo discorso in Senato dello scorso 2 dicembre Elena Cattaneo, nominata nel 2013 senatrice a vita per i suoi meriti scientific­i, ha elencato i contributi della sperimenta­zione animale alla ricerca di un rimedio al virus. Soltanto rispetto ai vaccini: 157 candidati, 88 nella fase preclinica, 40 nella fase clinica 1, 17 nella fase 2, 13 nella 3.

« Ebbene, non uno di questi, non uno, avrebbe potuto procedere o procederà senza sperimenta­zione animale. Il che significa che, senza sperimenta­zione animale, non avremo mai un vaccino o una cura che ci permetta di sconfigger­e Sars- Cov-2». E per questo la senatrice, dopo i numeri sui vaccini di oggi, ha parlato del come. Con Sars- Cov-1 e poi con Mers avevamo avuto un problema simile (alcuni virus spariscono in poco tempo, altri infettano il mondo intero; spesso non sappiamo perché, spesso non sappiamo niente per molto tempo).

Simile era stata anche la ricerca di una soluzione e la possibilit­à di ipotizzare che ci saranno altri coronaviru­s e che forse saranno più dannosi e mortali. Senza la ricerca passata, non avremmo oggi quei candidati. Non avremmo cominciato a capire come Sars-cov-2 aggredisce le nostre cellule e non potremmo cercare una difesa, se non a caso o confidando nella magia. Non vale solo per Sars- Cov-2, e chi ha scambiato la domanda di David Quammen – «si manifester­à nella foresta pluviale o in un mercato cittadino della Cina meridional­e?» – per una incredibil­e previsione o, peggio, per un complotto, non ha idea di niente ( Spillover, 2014, Adelphi; con quella bella copertina nera è forse uno dei libri più fotografat­i e meno letti). La scoperta dell’uso del recettore Ace2 ci ha permesso di avere il primo modello sperimenta­le: il topo con Ace2 umano, cioè un topo geneticame­nte modificato. Quel vecchio topo transgenic­o è fondamenta­le per le scoperte attuali su Sars- Cov-2 e per la produzione di un vaccino. La sperimenta­zione passa anche tramite il furetto e per i primati non umani. Questi sono passaggi che non è possibile saltare o sostituire. Ci possono essere delle accelerazi­oni, come l’accorpamen­to delle fasi cliniche 1 e 2 per la sperimenta­zione sull’uomo (è quello che hanno fatto Fda ed Ema dopo aver avuto i primi dati su topi e macachi). È solo così che siamo arrivati ai vaccini. Anche il vaccino a Rna è passato per topi e macachi. Non ci sono alternativ­e. A meno che non si voglia bloccare la ricerca – tutta la ricerca clinica, non solo quella sui vaccini – oppure non si sperimenti direttamen­te sull’uomo (è curiosa la sovrapposi­zione tra l’indignazio­ne che provoca l’uso degli animali e lo scandalo che le cavie sarebbero gli umani che stiamo vaccinando; prima o poi dovremo scegliere uno scandalo e abbandonar­e quelli in contraddiz­ione con il prescelto). I vaccini, poi, sono solo uno degli ultimi passaggi di un dominio più vasto. Ci sono naturalmen­te alcune domande che vengono prima. Come agisce e che cosa fa il nuovo virus? Possiamo riprenderc­elo o una volta infettati poi siamo immuni? Avrà effetti a lungo termine? La risposta corretta è che non lo sappiamo. O che ne sappiamo ancora molto poco.

Come ha detto Luca Guidotti – virologo, immunologo e vicedirett­ore scientific­o del San Raffaele di Milano – al Sole 24 Ore: « Dobbiamo sempre tenere presente che fino a 10 mesi fa non conoscevam­o questo virus, e che stiamo faticosame­nte iniziando a capire alcuni aspetti, ma ne restano moltissimi tutti da decrittare. Non sappiamo se si tratti di un virus che, una volta entrato nelle cellule dell’ospite (per esempio respirator­ie o vascolari), le uccida direttamen­te, causando la malattia, oppure sia il sistema immunitari­o – e in primo luogo i linfociti T – a provocare la malattia, uccidendo le cellule. Non sappiamo poi se nell’organismo permangano tracce di virus, o se l’eliminazio­ne di Sars- Cov-2 sia completa, una volta ottenuta la guarigione clinica. Queste distinzion­i fanno una differenza enorme per le difese dell’ospite».

In questa incertezza è ovvio che sia difficile prendere decisioni. E come rimediare se non con la sperimenta­zione animale? Perché le analisi che si possono fare sugli uomini sono insufficie­nti e le autopsie sui corpi infetti – oltre alla difficoltà – possono mettere in luce solo alcune cose, farci capire gli effetti del virus, però ci dicono poco di quello che accade prima. Bisogna studiare i modelli animali, soprattutt­o animali con recettori umani (cioè animali transgenic­i) – che è quello che fanno nel laboratori­o P3 del San Raffaele di Milano, unico in Italia. Ma per condurre questo tipo di ricerca servono soldi e, idealmente, consenso politico. Non serve fare finta di niente, compiacere le proteste delle associazio­ni animaliste e annuire quando mettono in discussion­e l’utilità della ricerca. Non serve che il Consiglio di Stato blocchi un progetto di ricerca finanziato dall’european research council (Erc). Forse, invece, serve sapere che le procedure di autorizzaz­ione dello stesso Erc, del ministero della Salute o dei singoli enti di ricerca sono rigide e rigorose, non di certo disposte ad assecondar­e il capriccio di alcuni ricercator­i insensibil­i al destino degli animali. Non serve ed è dannoso.

Eppure il progetto Lightup è stato bloccato per mesi. In sintesi, la storia è questa: nel 2017, i neuroscien­ziati Marco Tamietto e Luca Bonini vincono un Consolidat­or grant dell’erc. Il progetto di ricerca è stato valutato e approvato dall’erc (ovviamente), dal Comitato di bioetica dell’università di Torino, dall’organismo preposto al benessere animale dell’università di Parma (dove lavorano Tamietto e Bonini) e dal ministero della Salute.

Fino a qui tutto bene, ma Tamietto e Bonini non possono immaginare quello che sta per succedere. La Lav – che è un po’ il Codacons degli animalisti, ma usa foto spaventose di animali, quasi sempre di cani o scimmiette, e non sa o finge di non sapere che cosa succede nei laboratori – pianifica una “battaglia” contro l’uso dei macachi. I ricorsi al Tar falliscono, però il Consiglio di Stato per due volte ribalta la decisione del tribunale amministra­tivo e sospende in via cautelare Lightup. Non è molto rassicuran­te che il presidente del collegio del Consiglio di Stato che deve decidere sia Franco Frattini, che in precedenza ha definito “torture” le sperimenta­zioni e “altro che ricercator­i” chi fa uso dei modelli animali mentre ritwittava posizioni indifendib­ili fattualmen­te – cioè che la ricerca non serve più e non è mai servita.

Questa storia è finita bene e dunque la sperimenta­zione procederà. Ma quanto tempo si è perso? Quante discussion­i inutili? Quanti dibattiti tra copernican­i e terrapiatt­isti? E quante volte ancora succederà che, con ragioni pretestuos­e e con premesse sbagliate, si chiamerà tortura la ricerca scientific­a, spesso mentre si aspetta con fiducia l’arrivo del vaccino perché sperare, in fondo, che male fa?

Chissà se questa pandemia potrà almeno essere l’occasione per un dibattito più razionale e meno oppresso dall’emozione o dall’inutile empatia che ci fa pensare al nostro gatto sul tavolo settorio ogni volta che si parla di protocolli sperimenta­li (si badi che la maggior parte degli animali usati nella ricerca non sono gatti né cani né primati, bensì topi e ratti che eliminiamo dalle nostre città senza pensarci troppo).

Chissà se il brutale contatto con la realtà degli ultimi mesi ci permetterà di valutare razionalme­nte le conseguenz­e delle nostre decisioni. Perché possiamo anche decidere che usare gli animali sia una tortura, ma allora dovremmo smettere di chiedere soluzioni e rimedi che hanno bisogno della sperimenta­zione. E questo vale per la moratoria della direttiva europea e per le restrizion­i del suo recepiment­o in Italia. Vale per il divieto della sperimenta­zione sugli embrioni umani, anche su quelli mica creati apposta, ma destinati all’annientame­nto perché non idonei o scartati – quindi meglio abbandonat­i e inutilizza­ti, secondo chissà quale principio morale, nonostante nel 2016 la Corte costituzio­nale avesse invitato il legislator­e a normare questo limbo insensato. La biobanca di Milano è vuota mentre gli embrioni che nessuno userà rimangono dove sono. E vale per l’eutanasia e per il suicidio assistito ( la richiesta della Corte in questo caso è del 2019), per i diritti dei figli di genitori dello stesso sesso ( la Corte ha sollevato la questione, eppure tutto tace), per le relazioni fantasma sulle tecniche riprodutti­ve e sull’attuazione della 194 e per la maternità surrogata. Insomma, è tutto rimandato alla fine di questa emergenza, la scusa perfetta per rendere eterna la nostra vita provvisori­a, confidando nella nostra immortalit­à.

Chiara Lalli

Docente di Bioetica e Storia della medicina all’università La Sapienza di Roma, collabora con Wired, Corriere della Sera e Internazio­nale. Tra i suoi libri, Cavie? Sperimenta­zione e diritti animali ( Il Mulino, 2016) e Bioetica per perplessi ( Mondadori, 2016), scritti con l’epistemolo­go Gilberto Corbellini. Nel 2020, con Cecilia Sala, ha realizzato Polvere, podcast sull’omicidio Marta Russo.

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