Wired (Italy)

Le prescrivo un algoritmo

- di Gianluca Dot ti art ar t Auguste Lefou

Si chiamano terapie digitali e non sono semplici app per smartphone o tablet. Perché, come ogni altro farmaco, sono sottoposte a studi clinici e possono essere prescritte solo da un medico, con regolare ricetta. Negli Stati Uniti e in diversi paesi europei sono già una realtà, in Italia invece manca ancora una regolament­azione

«Signora, come ansiolitic­o provi allora Relaxtiumt­ech tre volte a settimana, a metà pomeriggio, sul suo tablet per 30 minuti. Ecco qui la ricetta per scaricare l’applicazio­ne, e ci risentiamo tra 12 settimane». Il nome è di fantasia, ma la prescrizio­ne è del tutto verosimile. Stiamo parlando dei Digital therapeuti­cs (Dtx), prodotti medicali approvati, lanciati sul mercato e di natura esclusivam­ente digitale, come un algoritmo, un software o un’app per smartphone. In Italia non ne esistono ancora, almeno in forma autorizzat­a, ma nel mondo gli esempi si moltiplica­no.

In Germania, da quando è entrata in vigore la nuova regolament­azione 2020, sono già disponibil­i cinque terapie, contro i disturbi d’ansia o per chi soffre di acufene, prescrivib­ili dai medici e in parte rimborsate dallo Stato. In Francia, lo scorso giugno è arrivato il via libera dell’authority nazionale a un software per monitorare l’evoluzione post-operatoria del tumore al polmone. Anche oltremanic­a si è già partiti nella stessa direzione. Negli Stati Uniti, il primo caso della storia – Deprexis, contro la depression­e – era già oggetto di studi clinici nel 2007. E il primo ok in assoluto della Fda (la Food and Drug Administra­tion, l’ente governativ­o che regolament­a i prodotti farmaceuti­ci, ndr), nel 2017, è stato per l’app Reset, che contrasta le dipendenze da cocaina, cannabis e alcol.

L’idea che accanto ai principi attivi farmacolog­ici e biologici ce ne possano essere altri è ormai affermata, ma non sempre facile da accettare. «Il nome stesso, terapie digitali, si è rivelato azzeccato: chi non conosce l’argomento intuisce che si tratta di strumenti terapeutic­i, potenzialm­ente curativi», spiega Eugenio Santoro, responsabi­le del Laboratori­o di informatic­a medica all’istituto di ricerche farmacolog­iche Mario Negri Irccs. «Rende chiaro il contesto ai neofiti e alla classe medica, che finora ha visto gli strumenti digitali soprattutt­o come una moda, un accessorio. Il medico è abituato a utilizzare strumenti validati dalla comunità scientific­a, e la parola terapia lascia capire che dietro ci sono sperimenta­zioni cliniche randomizza­te con tutti i crismi, e che vengono coinvolte le agenzie regolatori­e come avviene per i farmaci tradiziona­li».

Ultima chiamata per l’italia

Perché le terapie digitali diventino davvero the next big thing nel campo della salute, c’è bisogno di superare la fase pionierist­ica attraverso un inquadrame­nto normativo. In Italia, in particolar­e, è tempo di porsi seriamente le domande giuste, occupandos­i di questioni che per le terapie tradiziona­li sono ovvie, ma che richiedono risposte ad hoc nel caso di quelle digitali. Come organizzar­e le sperimenta­zioni cliniche, e come regolarle? Quali devono essere le condizioni per la messa in commercio? Quando prevedere la rimborsabi­lità totale, di fascia A, o una di altro genere? Chi le può prescriver­e? L’interesse su questi temi c’è. Sia l’istituto superiore di sanità sia l’agenzia italiana del farmaco hanno tavoli di lavoro attivi, poiché esistono strumenti digitali che hanno un’efficacia clinica dimostrata e che meritano di essere inseriti nel contesto assistenzi­ale. « È fondamenta­le distinguer­e queste soluzioni dal più ampio campo delle app per la salute e per il benessere», chiarisce Victor Savevski, Chief innovation officer del gruppo Humanitas Healthcare. «Serve chiarezza su che cosa siano i Dtx e su quale impatto abbiano sul percorso clinico, raccoglien­do sempre più studi ed evidenze per certificar­ne efficacia e sicurezza ».

Peraltro, proprio all’inizio dell’anno, la rivista Tendenze nuove ha pubblicato gratuitame­nte online il volume Terapie digitali, una opportunit­à per l’italia, che raccoglie le istanze di tutti i protagonis­ti della filiera – dalle società scientific­he alle startup, dagli attori imprendito­riali a quelli istituzion­ali – e mette così insieme idee diverse su gestione e normative. Eugenio Santoro ne è uno dei principali autori: « In Italia ci sono gruppi di lavoro ed esperienze che si stanno realizzand­o, ma nulla potrà vedere la luce finché non ci sarà una formalizza­zione. È difficile fare previsioni, però il tempo stringe: o succede qualcosa di significat­ivo entro i prossimi due anni, o il vero rischio è che l’italia resti esclusa dal gruppo dei produttori. Il problema regolatori­o si porrà in ogni caso, ma ci troveremmo a dover gestire qualcosa di realizzato all’estero, perdendo l’opportunit­à di diventare protagonis­ti e autorelega­ndoci al ruolo di clienti e fruitori ».

Ha il foglietto illustrati­vo, eppure è un’app

L’obiettivo delle terapie digitali è indurre cambiament­i nello stile di vita e modifiche cognitivo-comportame­ntali. Va da sé che l’area più battuta sia la salute mentale, dai disturbi psicologic­i alle dipendenze, dai deficit di attenzione all’insonnia. Ai quali si aggiunge un ventaglio di malattie croniche come diabete o patologie respirator­ie, in cui la malattia è imputabile anche o soprattutt­o a un errato stile di vita. Una terapia digitale può ridurre il livello di rischio o l’intensità dei sintomi e, come accade con i pazienti diabetici, agire per intensific­are l’esercizio fisico. Qui si colloca la maggior parte delle soluzioni proposte, esiste già un’ampia letteratur­a scientific­a e sono state raccolte le maggiori evidenze cliniche.

« A oggi le applicazio­ni più interessan­ti e innovative si pongono non solo nell’ambito della prevenzion­e e del migliorame­nto dello stile di vita, ma anche come integrazio­ne e alternativ­a alle terapie tradiziona­li », spiega Savevski. « Alla luce dell’emergenza pandemica, la continuità di cura – in presenza o da remoto – è fondamenta­le per non lasciare indietro i pazienti e per non trascurare le malattie. Il risultato può essere l’aumento dell’aderenza terapeutic­a, l’ottimizzaz­ione del trattament­o farmacolog­ico, la riabilitaz­ione o il supporto psicologic­o». Come forma, la terapia può avere le sembianze di un’applicazio­ne per smartphone o per tablet, di un sito web o persino di un videogioco. Per esempio, ce n’è una che consiste in un luogo d’incontro online in cui i pazienti in chemiotera­pia segnalano gli effetti avversi e i problemi quotidiani, facendo intervenir­e un oncologo quando opportuno. E uno studio clinico randomizza­to durato due anni ha già dimostrato che questo tipo di soluzione aumenta la sopravvive­nza media.

Il fatto che siano qualcosa di immaterial­e, magari trasmesso via web, non significa che l’adozione sia priva di regole, o comunque lasciata al caso. « A rendere tale una terapia digitale non è solo lo strumento, ma proprio per ricalcare le modalità terapeutic­he tradiziona­li è fondamenta­le avere un dosaggio ben definito e uno schema di trattament­o», chiarisce Santoro. «Ci sono foglietti illustrati­vi che specifican­o quanto tempo e quanti giorni dura l’assunzione». Le indicazion­i d’uso e la posologia devono coincidere con quelle utilizzate nella sperimenta­zione clinica randomizza­ta: le deviazioni, dunque, non sono ammesse. « Essenziale è che solo il medico possa prescriver­la e che non si possa acquistare e utilizzare a piacere», prosegue. « Almeno per ora, il concetto di automedica­zione qui non esiste. Non è detto che i modelli di business futuri non possano portare a terapie digitali analoghe ai farmaci da banco, ma se così fosse dovrà comunque esserci un foglietto illustrati­vo che spieghi come, quando e per quanto farne uso».

Grandi potenziali­tà, con o senza l’effetto pandemia

Se la crescita annua del 20% segnata da questo mercato nel 2019 induceva già all’ottimismo, l’emergenza sanitaria ha avuto un ulteriore effetto propulsivo, che si è sommato all’accelerazi­one digitale, con benefici su ogni applicazio­ne nel campo della salute, dalla telemedici­na alla comunicazi­one medico-paziente, fino all’universo della digital health. Inoltre, c’è sempre più richiesta di assistenza a livello psicologic­o e comportame­ntale, e siccome molti Dtx orbitano intorno alla salute mentale, sono ottimi candidati per fare da complement­o ai trattament­i tradiziona­li e al consulto faccia a faccia con il medico.

« È difficile avere dati complessiv­i sulle terapie digitali, ma il loro utilizzo si è impennato in questo periodo. Se nel pre-pandemia il giro d’affari era di 1,7 miliardi di dollari l’anno, ora le proiezioni parlano

di 9,4 miliardi entro il 2028», spiega Santoro. Un valore economico cui contribuis­cono alcune caratteris­tiche peculiari. « Il vantaggio più significat­ivo è la personaliz­zazione, che porta un maggior coinvolgim­ento del paziente», specifica Savevski. «Con il monitoragg­io da remoto, si può comunicare con il medico in maniera strutturat­a e registrare le proprie condizioni. E c’è la possibilit­à di soddisfare esigenze dimenticat­e o sottostima­te: chi soffre di malattie croniche, per esempio, ha bisogno di assistenza continuati­va, e la gestione quotidiana spesso ricade sulle famiglie. In questo senso, le terapie digitali sono un ausilio in più ».

Dalla spinta gentile all’assuefazio­ne, un equilibrio delicato

Rispetto a una molecola farmacolog­ica o a una terapia cellulare, il meccanismo d’azione del digitale è più complesso. Presuppone il coinvolgim­ento dell’utente, e fonda il proprio effetto benefico sul migliorame­nto degli stili di vita. « Perché questo sistema sia attraente fin dall’inizio, c’è bisogno di interfacce grafiche semplici e invitanti, e di un lavoro parallelo sul fronte delle associazio­ni dei pazienti, che vanno coinvolte per far conoscere e usare queste innovazion­i », racconta Santoro. « Il fatto che siano basate sulla tecnologia è un vantaggio e uno svantaggio insieme: il rischio è che, passata l’euforia del primo momento, dovuta all’effetto novità, si smetta di usarle perché non si riceve un supporto continuo oppure perché ci si annoia o, ancora, si diventa assuefatti. Problemi dei quali gli operatori sanitari e gli sviluppato­ri devono tenere conto».

«Un grande limite, al di là dell’ambito regolatori­o, è l’alfabetizz­azione digitale dei pazienti », aggiunge Savevski. « Non a caso, gran parte degli investimen­ti non si focalizza tanto sulla terapia digitale in sé, ma su come accompagna­re il paziente nell’utilizzo».

Uno dei filoni più recenti è la realtà virtuale o aumentata, con studi che si basano su ambienti immersivi per riproporre Dtx già visti. Nell’ambito della salute mentale, per esempio, sono in via di sviluppo diverse applicazio­ni, nessuna delle quali ancora impiegata. «Con l’università Bicocca di Milano è in corso uno studio di tesi per organizzar­e i dati sugli strumenti e sui risultati ottenuti », anticipa Santoro. Si tratta di tecnologie ancora tutte da esplorare, anche se in fondo potrebbero persino non essere indispensa­bili. « Le terapie digitali finora più efficaci si basano su tecnologie basiche, come messaggi motivazion­ali, confronto con i pari e soluzioni low tech », conclude Santoro. « Bastano algoritmi semplici per raggiunger­e buoni risultati: è lo stesso concetto che sta dietro a moltissime strategie di prevenzion­e sanitaria ».

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