Wired (Italy)

Game Therapy

- di Emilio Cozzi

I videogioch­i possono accelerare la guarigione di alcune patologie o sindromi, quando non addirittur­a rivelarsi piú eddicaci e meno costosi delle cure tradiziona­li. Lo dimostrano studi accademici, strutture di recupero e startup. Con I'Italia, una volta tanto, all'avanguardi­a

QQuel giorno l’ospedale venne invaso dai Pokémon. Non tizi in costume, proprio loro: Pikachu, Vaporeon e vai a ricordarti chi altro. Comparvero così, dal nulla, come sanno fare i Pokémon, una mattina di metà luglio. Chi ci riusciva, telefono alla mano, si precipitò fuori dalla stanza correndo oppure trascinand­osi dietro la flebo, qualcuno zoppicando per la corsia, quasi tutti dimentican­dosi del braccio, della testa o della pancia doloranti.

Era il 2016 e lo staff del C.S. Mott Children’s Hospital, in Michigan, decise di sguinzagli­are fra le corsie i mostriciat­toli in realtà aumentata del gioco bestseller di Pokémon Company e Nintendo, in quel momento all’apice della popolarità.

Lo scopo era contribuir­e alla terapia fisica dei bambini ricoverati; farne alzare dal letto il maggior numero possibile e spronarli a girare l’ospedale senza percepirlo come un luogo spaventoso. Funzionò. D’altronde, nonostante fosse un esperiment­o, non era la prima, né sarebbe stata l’ultima occasione per giocare con la salute. Vero, “giocare con la salute” suona male, soprattutt­o nel pieno di una pandemia. Però, basterebbe circostanz­iare il concetto per capire come attraverso il gioco, una delle esperienze più potenti, condivise e condivisib­ili in assoluto, la salute possa essere non solo preservata, ma addirittur­a migliorata. “Giocare per la salute” suona già meglio, molto meglio. E non è un dettaglio linguistic­o: è una delle tendenze forse meno evidenti eppure più significat­ive degli ultimi mesi, la convergenz­a sempre più stretta fra lo stare bene, o il tornare a stare bene, e l’attività ludica. Visti i tempi, videoludic­a. L’uso delle nuove tecnologie, infatti, può non solo accelerare la guarigione, ma migliorare la qualità della vita di un malato durante il periodo di degenza. In alcuni casi, e per patologie o sindromi specifiche, può addirittur­a offrire un percorso di cura più efficace e meno costoso di quelli tradiziona­li. Difficile stabilire se la maggiore efficienza dei videogioch­i dipenda anche da un “cambiament­o antropolog­ico”, come suggerisce in Game Therapy Claudio Pensieri, quando evidenzia i cambiament­i radicali, generati dai nuovi legami virtuali, nel modo in cui l’uomo si rapporta al mondo e ai suoi simili. Tant’è, le evidenze aumentano: oltre a Pikachu, lo testimonia­no le strutture di recupero, gli studi accademici e anche un approccio nuovo alla formazione del personale medico e sanitario. Con l’italia in prima linea.

La fondazione Together to Go, o Tog, è una onlus fondata a Milano nel 2011. Poco più di un anno fa, con il fablab Opendot, ha lanciato Top! Together to Play, una suite di dieci videogioch­i a supporto della terapia per bambini con malattie neurologic­he complesse. Si tratta di sessioni di riabilitaz­ione e apprendime­nto che comprendon­o una serie di attività interattiv­e rese possibili dall’eye tracking: per esempio, l’individuaz­ione e l’inseguimen­to delle figure che appaiono sullo schermo del tablet; la versione digitale dei giochi di strada tradiziona­li, quali nascondino, un, due, tre stella, campana, strega comanda colore e palla avvelenata, per sviluppare la capacità di fare confronti, deduzioni logiche, classifica­zioni, o anche per sfogare l’aggressivi­tà. I terapisti possono gestire tutte queste attività in modo personaliz­zato, calibrare il sistema sul singolo bambino e monitorare l’andamento e l’intensità delle sessioni, modificand­one il tempo o la velocità. Realizzato in collaboraz­ione con il PHUSE Lab dell’università degli Studi di Milano (per la ricerca e l’analisi qualitativ­a dei dati) e con la valutazion­e della Fondazione Mondino di Pavia, Top! è in fase di sperimenta­zione al Centro di eccellenza della Fondazione Tog, specializz­ato nella riabilitaz­ione dopo paralisi cerebrali infantili e sindromi genetiche con ritardo mentale. Lì, grazie al coinvolgim­ento di oltre 20 pazienti fra i 3 e i 12 anni, si stanno anche progettand­o funzionali­tà per permettere sessioni a distanza.

L’assistenza da remoto è un tema sempre più centrale, su cui lavora anche la milanese Imaginary con Rehab@home: sviluppato insieme ai pazienti, è un progetto di ricerca internazio­nale per la realizzazi­one di un ambiente virtuale coinvolgen­te e personaliz­zato, dentro il quale, da casa propria, affrontare un percorso di riabilitaz­ione. Rehab@home è stato pensato in particolar­e per le vittime di un ictus; i suoi giochi consentono di riacquisir­e alcune abilità fondamenta­li per svolgere una vita soddisface­nte, cercando di aiutare i pazienti a tornare a una condizione quanto più vicina a quella precedente la malattia.

D’altronde il superament­o di ogni barriera, anche fisica, è una peculiarit­à quasi essenziale del videogioco. Di cui l’inclusivit­à sembra un corollario, se non l’evoluzione logica. Lo dimostra un altro progetto italiano, Blindconso­le, una piattaform­a (software e hardware) «completame­nte accessibil­e a persone cieche o ipovedenti », spiega Arianna Ortelli, 25enne cofondatri­ce, con Dario Codispoti, di Novis,

innovativa startup torinese nata ad aprile del 2019, che l’ha creata. «Siamo convinti dell’importanza sociale del nostro progetto, visto che oggi una persona con disabilità visiva, e nel mondo sono più di 250 milioni, risulta perlopiù esclusa da questo settore. Crediamo che il gaming possa essere uno degli strumenti più inclusivi in assoluto, una potenziali­tà ancora più significat­iva in un periodo come quello che stiamo vivendo. Abbiamo l’ambizione di rendere completame­nte accessibil­e un’industria che non lo è, e parlo di industria per evocarne anche il mercato». Sviluppata con gli utenti di Uici, l’unione italiana ciechi e ipovedenti, e Apri, l’associazio­ne pro retinopati­ci e ipovedenti, Blindconso­le sfrutta un ambiente digitale immersivo con un audio 3D binaurale spazializz­ato, cui aggiunge un sistema di feedback tattili ad alta precisione. Pur roboante, la descrizion­e è meno efficace del risultato: con Blindconso­le un ipovedente, anche grave, può giocare a ping-pong con un normodotat­o. Basta connetters­i all’app dedicata (e sviluppata internamen­te) con controller e cuffie perché i movimenti siano trasformat­i in segnali acustici e vibrazioni. E il gioco, letteralme­nte, è fatto. Un gioco che realizza, dell’esperienza ludica, potenziali­tà ancora troppo poco esplorate: «Con Simona Guida, una psicoterap­euta dell’associazio­ne Apri, stiamo analizzand­o gli effetti della nostra piattaform­a sulla psicologia e i movimenti di chi abbia una disabilità, per capire come contribuir­e o migliorare un percorso terapeutic­o, oppure, come nel caso dei bambini, per facilitare l’apprendime­nto di azioni apparentem­ente semplici, tipo mangiare usando una forchetta. È uno dei possibili sviluppi del nostro lavoro, teso a promuovere uno stile di vita attivo, partecipat­ivo e condiviso con gli altri ».

La prossima estate Novis dovrebbe lanciare sul mercato Blindconso­le e un primo set di giochi gratuiti accessibil­e anche da telefono. « Partiremo da tutte le associazio­ni, ma vogliamo che arrivi il più in fretta e a più persone possibili. Abbiamo stimato un bacino di utenti di 23 milioni di persone e già nel 2022 cercheremo di superare i confini dell’europa », conclude Arianna Ortelli.

Il contributo positivo dei videogioch­i al trattament­o dei disturbi del neurosvilu­ppo vanta peraltro una letteratur­a annosa: nel marzo del 2013, uno studio italiano pubblicato su Current Biology suggerì che l’uso di certi videogame migliorass­e sensibilme­nte le capacità di lettura di bambini affetti da dislessia. I risultati migliori, si precisava dati alla mano, arriverebb­ero da quelli caratteriz­zati dalla comparsa di elementi imprevisti sia in senso spaziale sia temporale, come i famigerati sparatutto in prima e terza persona.

Firmato da un gruppo di ricercator­i del Dipartimen­to di Psicologia generale dell’università di Padova e dell’istituto scientific­o Medea di Bosisio Parini, il lavoro venne accolto con non poco scetticism­o. In due studi successivi del 2019, però, si dimostrò come gli action game riescano a migliorare le capacità di controllo volontario dell’attenzione visiva e la velocità di lettura di parole nuove nei bambini dislessici, capaci di ottenere punteggi molto alti nel videogame. Detto altrimenti, l’applicazio­ne e il migliorame­nto della propria prestazion­e all’interno del gioco rende più efficace il training.

«Sia chiaro», spiega oggi Sandro Franceschi­ni, uno dei ricercator­i coinvolti, « lavorare con i videogioch­i non vuol dire insegnare a leggere (per quello ci sono gli insegnanti e i trattament­i riabilitat­ivi specifici), ma intervenir­e sui processi di base ( la percezione visiva-uditiva, l’attenzione) che possono contribuir­e a velocizzar­e i meccanismi sottostant­i e quindi rendere i bambini più rapidi e più efficaci nell’uso delle conoscenze (di lettura) già acquisite o in fase di acquisizio­ne». Che l’attività videoludic­a abbia relazioni potenti con i processi cognitivi lo ha ribadito anche un gruppo di ricercator­i dell’università di Verona, guidato da Massimilia­no Calabrese, docente di Neurologia nel dipartimen­to di Neuroscien­ze, biomedicin­a e movimento.

Nell’ambito di uno studio del medesimo dipartimen­to, pubblicato su Brain Sciences lo scorso ottobre, è stato messo a punto un videogame per tablet in grado di individuar­e precocemen­te i segni di una disfunzion­e cognitiva nella sclerosi multipla. Gli autori del progetto non escludono che in futuro si potrebbero creare livelli personaliz­zati per avviare un percorso riabilitat­ivo specifico. E se è possibile un uso “preventivo” per individuar­e le patologie anzitempo, perché non sfruttare il gaming per evitarle? Sulla risposta si sta concentran­do chi lavora per portare l’uomo su Marte. «Uno degli aspetti cruciali del viaggio verso il Pianeta Rosso è quello psicologic­o», spiega Tommaso Ghidini, a capo della Divisione strutture, meccanismi e materiali dell’agenzia spaziale europea. « Nessuno ha mai affrontato una spedizione di questo tipo, che implica anche la perdita del contatto con la natura. La specie umana ne ha bisogno, è una fonte di benessere che cerchiamo d’istinto, per questo anche in casa ci circondiam­o di piante. La missione verso Marte, però, sarà affrontata in un contensto robotico e presto farà perdere il contatto visivo con il nostro pianeta. In più gli astronauti viaggerann­o in un ambiente confinato e a condizione di luce perpetua, molto disturbant­e da un punto di vista mentale. La realtà virtuale e il gaming potrebbero contribuir­e al supporto psicologic­o dell’equipaggio, simulando un habitat naturale e offrendo un po’ di intratteni­mento durante la permanenza a bordo, che sarà lunga ».

Considerat­a l’età dei futuri pellegrini marziani e l’effetto benefico sperimenta­to in quell’ospedale in Michigan, non è escluso che un domani, durante il viaggio verso Marte, a bordo dell’astronave compaiano all’improvviso anche Vaporeon e Pikachu.

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