Game Therapy
I videogiochi possono accelerare la guarigione di alcune patologie o sindromi, quando non addirittura rivelarsi piú eddicaci e meno costosi delle cure tradizionali. Lo dimostrano studi accademici, strutture di recupero e startup. Con I'Italia, una volta tanto, all'avanguardia
QQuel giorno l’ospedale venne invaso dai Pokémon. Non tizi in costume, proprio loro: Pikachu, Vaporeon e vai a ricordarti chi altro. Comparvero così, dal nulla, come sanno fare i Pokémon, una mattina di metà luglio. Chi ci riusciva, telefono alla mano, si precipitò fuori dalla stanza correndo oppure trascinandosi dietro la flebo, qualcuno zoppicando per la corsia, quasi tutti dimenticandosi del braccio, della testa o della pancia doloranti.
Era il 2016 e lo staff del C.S. Mott Children’s Hospital, in Michigan, decise di sguinzagliare fra le corsie i mostriciattoli in realtà aumentata del gioco bestseller di Pokémon Company e Nintendo, in quel momento all’apice della popolarità.
Lo scopo era contribuire alla terapia fisica dei bambini ricoverati; farne alzare dal letto il maggior numero possibile e spronarli a girare l’ospedale senza percepirlo come un luogo spaventoso. Funzionò. D’altronde, nonostante fosse un esperimento, non era la prima, né sarebbe stata l’ultima occasione per giocare con la salute. Vero, “giocare con la salute” suona male, soprattutto nel pieno di una pandemia. Però, basterebbe circostanziare il concetto per capire come attraverso il gioco, una delle esperienze più potenti, condivise e condivisibili in assoluto, la salute possa essere non solo preservata, ma addirittura migliorata. “Giocare per la salute” suona già meglio, molto meglio. E non è un dettaglio linguistico: è una delle tendenze forse meno evidenti eppure più significative degli ultimi mesi, la convergenza sempre più stretta fra lo stare bene, o il tornare a stare bene, e l’attività ludica. Visti i tempi, videoludica. L’uso delle nuove tecnologie, infatti, può non solo accelerare la guarigione, ma migliorare la qualità della vita di un malato durante il periodo di degenza. In alcuni casi, e per patologie o sindromi specifiche, può addirittura offrire un percorso di cura più efficace e meno costoso di quelli tradizionali. Difficile stabilire se la maggiore efficienza dei videogiochi dipenda anche da un “cambiamento antropologico”, come suggerisce in Game Therapy Claudio Pensieri, quando evidenzia i cambiamenti radicali, generati dai nuovi legami virtuali, nel modo in cui l’uomo si rapporta al mondo e ai suoi simili. Tant’è, le evidenze aumentano: oltre a Pikachu, lo testimoniano le strutture di recupero, gli studi accademici e anche un approccio nuovo alla formazione del personale medico e sanitario. Con l’italia in prima linea.
La fondazione Together to Go, o Tog, è una onlus fondata a Milano nel 2011. Poco più di un anno fa, con il fablab Opendot, ha lanciato Top! Together to Play, una suite di dieci videogiochi a supporto della terapia per bambini con malattie neurologiche complesse. Si tratta di sessioni di riabilitazione e apprendimento che comprendono una serie di attività interattive rese possibili dall’eye tracking: per esempio, l’individuazione e l’inseguimento delle figure che appaiono sullo schermo del tablet; la versione digitale dei giochi di strada tradizionali, quali nascondino, un, due, tre stella, campana, strega comanda colore e palla avvelenata, per sviluppare la capacità di fare confronti, deduzioni logiche, classificazioni, o anche per sfogare l’aggressività. I terapisti possono gestire tutte queste attività in modo personalizzato, calibrare il sistema sul singolo bambino e monitorare l’andamento e l’intensità delle sessioni, modificandone il tempo o la velocità. Realizzato in collaborazione con il PHUSE Lab dell’università degli Studi di Milano (per la ricerca e l’analisi qualitativa dei dati) e con la valutazione della Fondazione Mondino di Pavia, Top! è in fase di sperimentazione al Centro di eccellenza della Fondazione Tog, specializzato nella riabilitazione dopo paralisi cerebrali infantili e sindromi genetiche con ritardo mentale. Lì, grazie al coinvolgimento di oltre 20 pazienti fra i 3 e i 12 anni, si stanno anche progettando funzionalità per permettere sessioni a distanza.
L’assistenza da remoto è un tema sempre più centrale, su cui lavora anche la milanese Imaginary con Rehab@home: sviluppato insieme ai pazienti, è un progetto di ricerca internazionale per la realizzazione di un ambiente virtuale coinvolgente e personalizzato, dentro il quale, da casa propria, affrontare un percorso di riabilitazione. Rehab@home è stato pensato in particolare per le vittime di un ictus; i suoi giochi consentono di riacquisire alcune abilità fondamentali per svolgere una vita soddisfacente, cercando di aiutare i pazienti a tornare a una condizione quanto più vicina a quella precedente la malattia.
D’altronde il superamento di ogni barriera, anche fisica, è una peculiarità quasi essenziale del videogioco. Di cui l’inclusività sembra un corollario, se non l’evoluzione logica. Lo dimostra un altro progetto italiano, Blindconsole, una piattaforma (software e hardware) «completamente accessibile a persone cieche o ipovedenti », spiega Arianna Ortelli, 25enne cofondatrice, con Dario Codispoti, di Novis,
innovativa startup torinese nata ad aprile del 2019, che l’ha creata. «Siamo convinti dell’importanza sociale del nostro progetto, visto che oggi una persona con disabilità visiva, e nel mondo sono più di 250 milioni, risulta perlopiù esclusa da questo settore. Crediamo che il gaming possa essere uno degli strumenti più inclusivi in assoluto, una potenzialità ancora più significativa in un periodo come quello che stiamo vivendo. Abbiamo l’ambizione di rendere completamente accessibile un’industria che non lo è, e parlo di industria per evocarne anche il mercato». Sviluppata con gli utenti di Uici, l’unione italiana ciechi e ipovedenti, e Apri, l’associazione pro retinopatici e ipovedenti, Blindconsole sfrutta un ambiente digitale immersivo con un audio 3D binaurale spazializzato, cui aggiunge un sistema di feedback tattili ad alta precisione. Pur roboante, la descrizione è meno efficace del risultato: con Blindconsole un ipovedente, anche grave, può giocare a ping-pong con un normodotato. Basta connettersi all’app dedicata (e sviluppata internamente) con controller e cuffie perché i movimenti siano trasformati in segnali acustici e vibrazioni. E il gioco, letteralmente, è fatto. Un gioco che realizza, dell’esperienza ludica, potenzialità ancora troppo poco esplorate: «Con Simona Guida, una psicoterapeuta dell’associazione Apri, stiamo analizzando gli effetti della nostra piattaforma sulla psicologia e i movimenti di chi abbia una disabilità, per capire come contribuire o migliorare un percorso terapeutico, oppure, come nel caso dei bambini, per facilitare l’apprendimento di azioni apparentemente semplici, tipo mangiare usando una forchetta. È uno dei possibili sviluppi del nostro lavoro, teso a promuovere uno stile di vita attivo, partecipativo e condiviso con gli altri ».
La prossima estate Novis dovrebbe lanciare sul mercato Blindconsole e un primo set di giochi gratuiti accessibile anche da telefono. « Partiremo da tutte le associazioni, ma vogliamo che arrivi il più in fretta e a più persone possibili. Abbiamo stimato un bacino di utenti di 23 milioni di persone e già nel 2022 cercheremo di superare i confini dell’europa », conclude Arianna Ortelli.
Il contributo positivo dei videogiochi al trattamento dei disturbi del neurosviluppo vanta peraltro una letteratura annosa: nel marzo del 2013, uno studio italiano pubblicato su Current Biology suggerì che l’uso di certi videogame migliorasse sensibilmente le capacità di lettura di bambini affetti da dislessia. I risultati migliori, si precisava dati alla mano, arriverebbero da quelli caratterizzati dalla comparsa di elementi imprevisti sia in senso spaziale sia temporale, come i famigerati sparatutto in prima e terza persona.
Firmato da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Psicologia generale dell’università di Padova e dell’istituto scientifico Medea di Bosisio Parini, il lavoro venne accolto con non poco scetticismo. In due studi successivi del 2019, però, si dimostrò come gli action game riescano a migliorare le capacità di controllo volontario dell’attenzione visiva e la velocità di lettura di parole nuove nei bambini dislessici, capaci di ottenere punteggi molto alti nel videogame. Detto altrimenti, l’applicazione e il miglioramento della propria prestazione all’interno del gioco rende più efficace il training.
«Sia chiaro», spiega oggi Sandro Franceschini, uno dei ricercatori coinvolti, « lavorare con i videogiochi non vuol dire insegnare a leggere (per quello ci sono gli insegnanti e i trattamenti riabilitativi specifici), ma intervenire sui processi di base ( la percezione visiva-uditiva, l’attenzione) che possono contribuire a velocizzare i meccanismi sottostanti e quindi rendere i bambini più rapidi e più efficaci nell’uso delle conoscenze (di lettura) già acquisite o in fase di acquisizione». Che l’attività videoludica abbia relazioni potenti con i processi cognitivi lo ha ribadito anche un gruppo di ricercatori dell’università di Verona, guidato da Massimiliano Calabrese, docente di Neurologia nel dipartimento di Neuroscienze, biomedicina e movimento.
Nell’ambito di uno studio del medesimo dipartimento, pubblicato su Brain Sciences lo scorso ottobre, è stato messo a punto un videogame per tablet in grado di individuare precocemente i segni di una disfunzione cognitiva nella sclerosi multipla. Gli autori del progetto non escludono che in futuro si potrebbero creare livelli personalizzati per avviare un percorso riabilitativo specifico. E se è possibile un uso “preventivo” per individuare le patologie anzitempo, perché non sfruttare il gaming per evitarle? Sulla risposta si sta concentrando chi lavora per portare l’uomo su Marte. «Uno degli aspetti cruciali del viaggio verso il Pianeta Rosso è quello psicologico», spiega Tommaso Ghidini, a capo della Divisione strutture, meccanismi e materiali dell’agenzia spaziale europea. « Nessuno ha mai affrontato una spedizione di questo tipo, che implica anche la perdita del contatto con la natura. La specie umana ne ha bisogno, è una fonte di benessere che cerchiamo d’istinto, per questo anche in casa ci circondiamo di piante. La missione verso Marte, però, sarà affrontata in un contensto robotico e presto farà perdere il contatto visivo con il nostro pianeta. In più gli astronauti viaggeranno in un ambiente confinato e a condizione di luce perpetua, molto disturbante da un punto di vista mentale. La realtà virtuale e il gaming potrebbero contribuire al supporto psicologico dell’equipaggio, simulando un habitat naturale e offrendo un po’ di intrattenimento durante la permanenza a bordo, che sarà lunga ».
Considerata l’età dei futuri pellegrini marziani e l’effetto benefico sperimentato in quell’ospedale in Michigan, non è escluso che un domani, durante il viaggio verso Marte, a bordo dell’astronave compaiano all’improvviso anche Vaporeon e Pikachu.