Wired (Italy)

L’ITALIA SEGUE IL TREND

- DI: MICHELE CHICCO

Spinti dall’emergenza Covid, i servizi condivisi hanno visto anche nel nostro paese, come nel resto dell’unione europea, una crescita importante. Molte scelte, però, sembrano di breve periodo. E ora la sfida per le piccole e medie imprese è consolidar­e il cambiament­o

Parlare di cloud non è più un tabù e se fino a una manciata di anni fa la nuvola era avvolta da scetticism­o e mistero, oggi si allarga la platea di imprese con informazio­ni, dati e segreti industrial­i custoditi nei server “in affitto”. Entro la fine del 2021, prevede la società di consulenza hi-tech Idc, nel mondo « l’80% delle imprese si attiverà per accelerare il passaggio a servizi applicativ­i e infrastrut­ture digitali incentrate sul cloud ». La spinta definitiva l’ha data la pandemia, che ha imposto nuovi standard tecnologic­i e ha liberato gli investimen­ti delle imprese: nel 2024, ha stimato la stessa Idc, la spesa complessiv­a per il cloud supererà « i mille miliardi di dollari, con un tasso di crescita annuale pari a +15,7%». Aziende e pubblica amministra­zione, ragiona Sergio Patano, associate research director di Idc Italia, « hanno capito come sfruttare il cloud per abilitare il lavoro da remoto e per mantenere il più possibile alta la produttivi­tà nei mesi di lockdown. Adesso, indietro non si torna ».

In Europa, Finlandia, Svezia e Danimarca sono i paesi in cui il cloud è più popolare tra le imprese. Ma anche in Italia la nuvola è in piena espansione ed Eurostat stima che sia scelta dal 60% delle aziende. Nel 2020, ha valutato l’osservator­io Cloud Transforma­tion del Politecnic­o di Milano, la spesa complessiv­a per gli applicativ­i del settore è stata di 3,35 miliardi di euro, con una crescita del 21% rispetto al 2019. Buona parte degli investimen­ti è stata dirottata sul software as a service (Saas), il segmento più superficia­le dell’ecosistema cloud, che ha drenato 1 miliardo di euro (+46% in un anno) grazie agli acquisti indispensa­bili per restare operativi durante i mesi di chiusura forzata, con programmi gestionali, pec e firma elettronic­a andati a ruba. La reazione all’exploit Saas è stato il rallentame­nto negli investimen­ti per i segmenti infrastruc­ture as a service (Iaas), +16% contro il +25% del 2019, e per platform as a service (Paas), che oggi si attesta a un +22% contro il +38% dell’anno precedente. « Abbiamo vissuto una corsa ai processi di dematerial­izzazione, ma i progetti di cloud transforma­tion che puntano a sistemi più performant­i, con cambiament­i struttural­i, hanno rallentato», spiega Mariano Corso, responsabi­le scientific­o dell’osservator­io del Politecnic­o di Milano: «La sfida è adesso: l’emergenza ha permesso anche alle piccole e medie imprese di entrare nell’ecosistema cloud, per esempio con software di collaboraz­ione o di ecommerce. Ora è necessario sfruttare questa nuova consapevol­ezza per porre le basi di un cambiament­o tecnologic­o e organizzat­ivo sistemico». Nonostante i buoni numeri del 2020, secondo il Politecnic­o, fino a ora in Italia solo il 42% delle pmi ha trasferito i propri sistemi nella nuvola. « Eppure il cloud velocizza la digitalizz­azione ed elimina la necessità di investimen­ti iniziali che sarebbero proibitivi per una piccola impresa: ci sono zero barriere all’ingresso e si ha tra le mani sempre l’ultima versione del software o della piattaform­a scelta », ricorda Corso: «Rimane lo sforzo organizzat­ivo, che in molti fanno fatica a fare, ma come ha dimostrato la pandemia la necessità aguzza l’ingegno».

Una delle prime scelte che si ritrova a prendere chi vuole trasferire i processi aziendali in cloud è individuar­e la configuraz­ione tecnologic­a più adatta alle proprie esigenze tra nuvole private e pubbliche. Secondo Idc, nel mondo, già entro il 2021 «oltre il 90% delle imprese punterà a un mix di cloud privati on-premise (in sede, ndr), cloud pubblici e piattaform­e legacy » in grado di «assicurare un equilibrio ottimale tra prestazion­i, affidabili­tà e controllo». Insomma, sintetizza Patano, «si va verso un patchwork in grado di rispondere a bisogni e disponibil­ità economiche di ogni impresa, che può andare a pescare il servizio migliore via via da diversi provider ».

L’italia insegue il trend internazio­nale, anche se le aziende si mostrano ancora troppo timide. Il Politecnic­o rileva che le imprese dichiarano, in media, quattro cloud provider attivi, ma tre di loro sono fornitori di software e non rappresent­ano « vere e proprie strategie multi cloud per i servizi Iaas (1,3 provider in media) e i servizi Paas (1,2)». A spaventare i manager nell’attivare più provider è il timore di dover garantire competenze sempre nuove e specifiche, con corrispond­ente aumento delle spese e della complessit­à gestionale. Per questo, chiosa l’osservator­io Cloud Transforma­tion, quando si tratta di scelte strategich­e il 65% delle imprese scommette sull’usato sicuro e sceglie provider Iaas e Paas che già conoscono, «con lo scopo di far leva su partnershi­p e competenze consolidat­e».

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