L’ITALIA SEGUE IL TREND
Spinti dall’emergenza Covid, i servizi condivisi hanno visto anche nel nostro paese, come nel resto dell’unione europea, una crescita importante. Molte scelte, però, sembrano di breve periodo. E ora la sfida per le piccole e medie imprese è consolidare il cambiamento
Parlare di cloud non è più un tabù e se fino a una manciata di anni fa la nuvola era avvolta da scetticismo e mistero, oggi si allarga la platea di imprese con informazioni, dati e segreti industriali custoditi nei server “in affitto”. Entro la fine del 2021, prevede la società di consulenza hi-tech Idc, nel mondo « l’80% delle imprese si attiverà per accelerare il passaggio a servizi applicativi e infrastrutture digitali incentrate sul cloud ». La spinta definitiva l’ha data la pandemia, che ha imposto nuovi standard tecnologici e ha liberato gli investimenti delle imprese: nel 2024, ha stimato la stessa Idc, la spesa complessiva per il cloud supererà « i mille miliardi di dollari, con un tasso di crescita annuale pari a +15,7%». Aziende e pubblica amministrazione, ragiona Sergio Patano, associate research director di Idc Italia, « hanno capito come sfruttare il cloud per abilitare il lavoro da remoto e per mantenere il più possibile alta la produttività nei mesi di lockdown. Adesso, indietro non si torna ».
In Europa, Finlandia, Svezia e Danimarca sono i paesi in cui il cloud è più popolare tra le imprese. Ma anche in Italia la nuvola è in piena espansione ed Eurostat stima che sia scelta dal 60% delle aziende. Nel 2020, ha valutato l’osservatorio Cloud Transformation del Politecnico di Milano, la spesa complessiva per gli applicativi del settore è stata di 3,35 miliardi di euro, con una crescita del 21% rispetto al 2019. Buona parte degli investimenti è stata dirottata sul software as a service (Saas), il segmento più superficiale dell’ecosistema cloud, che ha drenato 1 miliardo di euro (+46% in un anno) grazie agli acquisti indispensabili per restare operativi durante i mesi di chiusura forzata, con programmi gestionali, pec e firma elettronica andati a ruba. La reazione all’exploit Saas è stato il rallentamento negli investimenti per i segmenti infrastructure as a service (Iaas), +16% contro il +25% del 2019, e per platform as a service (Paas), che oggi si attesta a un +22% contro il +38% dell’anno precedente. « Abbiamo vissuto una corsa ai processi di dematerializzazione, ma i progetti di cloud transformation che puntano a sistemi più performanti, con cambiamenti strutturali, hanno rallentato», spiega Mariano Corso, responsabile scientifico dell’osservatorio del Politecnico di Milano: «La sfida è adesso: l’emergenza ha permesso anche alle piccole e medie imprese di entrare nell’ecosistema cloud, per esempio con software di collaborazione o di ecommerce. Ora è necessario sfruttare questa nuova consapevolezza per porre le basi di un cambiamento tecnologico e organizzativo sistemico». Nonostante i buoni numeri del 2020, secondo il Politecnico, fino a ora in Italia solo il 42% delle pmi ha trasferito i propri sistemi nella nuvola. « Eppure il cloud velocizza la digitalizzazione ed elimina la necessità di investimenti iniziali che sarebbero proibitivi per una piccola impresa: ci sono zero barriere all’ingresso e si ha tra le mani sempre l’ultima versione del software o della piattaforma scelta », ricorda Corso: «Rimane lo sforzo organizzativo, che in molti fanno fatica a fare, ma come ha dimostrato la pandemia la necessità aguzza l’ingegno».
Una delle prime scelte che si ritrova a prendere chi vuole trasferire i processi aziendali in cloud è individuare la configurazione tecnologica più adatta alle proprie esigenze tra nuvole private e pubbliche. Secondo Idc, nel mondo, già entro il 2021 «oltre il 90% delle imprese punterà a un mix di cloud privati on-premise (in sede, ndr), cloud pubblici e piattaforme legacy » in grado di «assicurare un equilibrio ottimale tra prestazioni, affidabilità e controllo». Insomma, sintetizza Patano, «si va verso un patchwork in grado di rispondere a bisogni e disponibilità economiche di ogni impresa, che può andare a pescare il servizio migliore via via da diversi provider ».
L’italia insegue il trend internazionale, anche se le aziende si mostrano ancora troppo timide. Il Politecnico rileva che le imprese dichiarano, in media, quattro cloud provider attivi, ma tre di loro sono fornitori di software e non rappresentano « vere e proprie strategie multi cloud per i servizi Iaas (1,3 provider in media) e i servizi Paas (1,2)». A spaventare i manager nell’attivare più provider è il timore di dover garantire competenze sempre nuove e specifiche, con corrispondente aumento delle spese e della complessità gestionale. Per questo, chiosa l’osservatorio Cloud Transformation, quando si tratta di scelte strategiche il 65% delle imprese scommette sull’usato sicuro e sceglie provider Iaas e Paas che già conoscono, «con lo scopo di far leva su partnership e competenze consolidate».