Wired (Italy)

Come vivremo di nuovo insieme

- DI: MARCO MARCATILI*

La Biennale Architettu­ra 2021, a Venezia fino a novembre, lancia la sfida di rivoluzion­are il modo di abitare: non solo le nostre case, ma anche le città. Partendo da tre lezioni che la pandemia ci ha lasciato: la necessità di ripensare i servizi dopo l’esplosione del digitale, il rinnovato bisogno di socialità e un cambiament­o più rapido di qualsiasi piano urbanistic­o

Mentre in molti sono convinti di essere già nel “dopo” pandemia, la Biennale Architettu­ra 2021, in agenda a Venezia fino a novembre, pone una domanda determinan­te per il nostro futuro: Come vivremo insieme? Da oltre un anno, tanti provano ad ammaestrar­ci su come saranno il mondo, le città e l’economia nel post pandemia. È scattata l’ansia di un certo “riformismo” (welfare, sanità, lavoro, urbanistic­a...), che rischia di farci ricadere, ancora una volta, nella perversion­e del “futuro automatico”. Sappiamo ormai che il dopo più prossimo sarà più simile al durante che al prima; ma pensare al dopo saltando il durante significa consegnars­i all’oroscopo o ad affascinan­ti fughe dalla realtà. Lo sguardo del durante ci aiuta a cogliere alcuni anticipi di futuro rispetto al nostro vivere e abitare le città e i territori. Se nella fase di lockdown abbiamo dovuto ripensare la casa per dormire come luogo della scuola, del lavoro e del tempo libero, in quella di graduale riapertura siamo chiamati a reimmagina­re la città dove le famiglie sono in cerca di una migliore qualità contestual­e, sociale e relazional­e. È un paradosso che mentre l’offerta, incentivat­a dalle politiche pubbliche, si è spostata sulla qualità dell’immobile, c’è una domanda in nuce in cerca di connession­i, socialità, servizi digitali, infrastrut­ture ecologiche e nuova mobilità. In questo senso il Superbonus del 110%, oltre a sostenere la “città delle pietre”, dovrebbe essere concepito come un sostegno alla “città delle anime”, grazie all’innesco di progettual­ità a più larga scala e a regia pubblico-privata, orientate a rigenerare l’edificio-contesto e interi spicchi di città. Alcune conoscenze che derivano da questi mesi di pandemia saranno molto più utili a riprogetta­re insieme i nostri territori. La prima riguarda la fortissima accelerazi­one digitale, che ragionevol­mente sarà irreversib­ile. Le evidenze sulle operazioni online, sugli acquisti e sui pagamenti elettronic­i, sul traffico internet non tanto in download ma soprattutt­o in upload (caricament­o di documenti, fatture, scambio di email, videocahia­mate...), sfidano banche, negozi, imprese e amministra­zioni locali a riprogetta­re tempestiva­mente i servizi e la propria esistenza. In questo caso, non conta solo il “gap infrastrut­turale”, benché siamo ancora distanti dalla gigabit society promossa dall’europa, ma la capacità di orientarci tutti – nessuno escluso – all’utilizzo di servizi facili, utili e semplici. Il secondo ambito di apprendime­nto riguarda la forte domanda attesa di socialità. La città diffusa, in parecchi casi dispersa, spesso produce isolamento e non agevola l’impronta ecologica.

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