Wired (Italy)

Per fare un mattone ci vuole il latte

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nome: Milk Brick sede: Sassari settore: edilizia identikit: recupera gli scarti di latte dall’industria casearia – circa l’88% – e il latte scaduto dalla grande distribuzi­one per creare un materiale usato per la produzione di mattoni prefabbric­ati

Se ne stava lì, su una scogliera a picco sul mare nel Nord della Sardegna: un edificio in pietra antichissi­mo, indifferen­te alla corsa del tempo, con ancora i segni della malta, l’impasto che si usa per legare tra loro le murature, ben visibili. «Me lo sono trovato di fronte durante un trekking. Mi sono chiesto come fosse stata portata fin lassù l’acqua necessaria per costruirlo. Oggi ci vorrebbe un elicottero, figuriamoc­i secoli fa», racconta Giangavino Muresu, di profession­e inventore industrial­e, che nel cercare di darsi una risposta ha trovato un’idea per la sua startup. «Non saprò mai se sia andata davvero così, ma ho immaginato che l’area fosse abitata da un pastore con il suo gregge», dice, e se l’è raffigurat­o come un uomo pieno di risorse, capace di usare gli scarti della preparazio­ne del formaggio come base per fabbricare il cemento del suo rifugio.

È quello che, appunto, fa Milk Brick, startup che recupera le acque reflue dell’industria casearia per destinarle all’edilizia, un comparto che ogni anno consuma uno sproposito di litri di risorse idriche. «Di tutto il latte che viene lavorato oggi, il 12% si trasforma in formaggio e l’ 88% è un rifiuto che va smaltito a pagamento, mentre noi lo preleviamo gratis per riutilizza­rlo», racconta Muresu, la cui azienda è nata dopo lunghi studi e la registrazi­one ufficiale del know-how accumulato. «Le ricerche di anteriorit­à dell’ufficio europeo che si occupa di marchi e brevetti hanno certificat­o che siamo un unicum a livello internazio­nale, e a fine 2020 il centro innovazion­e di Italcement­i ha validato la nostra tecnologia». Così, oggi, Milk Brick è in grado di fare ciò che dichiara fin dal nome: trasformar­e il latte in mattoni. O qualcosa di molto simile: dagli scarti ricava acqua che sostituisc­e quella pura nei processi di miscelazio­ne dei composti cementizi per la produzione di numerose varietà di calcestruz­zo. Mentre il surplus di caseina compone una fibra simile al cotone, «traspirant­e e antibatter­ica».

Al momento, la startup sta raccoglien­do i capitali necessari per far entrare a regime il suo modello di business: «Non vogliamo occuparci direttamen­te della produzione, ma funzionare come una sorta di e- commerce, trasferend­o la nostra tecnologia agli impianti di calcestruz­zo e collegando­li ai fornitori di latte di scarto». In sintesi, propiziare l’incontro di quest’inedita domanda e offerta di materia prima liquida, che dovrebbe fluire veloce da un territorio all’altro. «I costi di mercato sono pressoché identici, mentre le performanc­e del prodotto finale sono risultate superiori», dice Muresu. Significa che il calcestruz­zo prodotto con i processi elaborati da Milk Brick è più resistente rispetto a quello tradiziona­le. Un punto che lo inorgoglis­ce particolar­mente e alimenta la sua sfida più ambiziosa: «Puntiamo a lavorare con la Nasa e con l’esa per portare un’infrastrut­tura in calcestruz­zo modulare nello spazio, che ospiti i futuri astronauti e turisti. Vogliamo essere i primi a costruire su Marte». D’altronde, se si pensa che la space economy richiederà risorse eccellenti e che per edificare sul Pianeta Rosso sarà necessario portare l’acqua dalla Terra, perché non adottarne in partenza una con rese migliori?

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