Wired (Italy)

Come cresce l’insalata

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nome: Planet Farms sede: Cavenago (Mb) settore: agricoltur­a identikit: ha il più grande impianto europeo di vertical farming. E sta per crearne altri due ancora più produttivi

A distanza di due anni dalla presentazi­one del progetto alla Triennale di Milano, Planet Farms è pronta a mettere in vendita le sue prime insalate. La startup fondata da Luca Travaglini e Daniele Benatoff propone un sistema di coltivazio­ne innovativo non solo per la sua verticalit­à – la disposizio­ne su più livelli consente di risparmiar­e oltre il 90% del suolo – ma anche per il ribaltamen­to dell’uso della tecnologia in agricoltur­a, da difensivo a preventivo. Le piante crescono in un ambiente controllat­o, dove non ci sono patogeni e parassiti, il che significa poter usare semi non trattati, eliminare pesticidi e diserbanti e produrre 365 giorni all’anno. L’acqua di irrigazion­e e i sali minerali vengono riciclati per evitare sprechi, l’illuminazi­one a Led garantisce un basso consumo energetico, e anche la location dell’impianto, a Cavenago, appena fuori Milano, permette di limitare l’impatto della logistica e dei trasporti. Insomma, un progetto complesso che, come spiega Travaglini, ha richiesto anni di lavoro.

Quando è nata l’idea?

«L’azienda della mia famiglia ha una lunga tradizione nella progettazi­one di stabilimen­ti per la produzione automatizz­ata di insaccati. Il mio lavoro mi portava in giro per il mondo e, in questo modo, ho avuto l’opportunit­à di visitare parecchi impianti di vertical

farming, abbastanza da rendermi conto che i due fattori fondamenta­li sono la climatizza­zione, che era esattament­e ciò di cui mi occupavo io, e l’illuminazi­one led: non a caso Philips Lighting è diventato fornitore e partner di Planet Farms. Ho cominciato a sviluppare il progetto nel 2014, dopo aver avuto un problema di salute legato probabilme­nte anche all’alimentazi­one. Mi sono reso conto che ci battiamo per tutta una serie di diritti ma che nessuno di noi ha quello di sapere che cosa sta mangiando».

È quello che garantite con Planet Farms?

«Il nostro è un prodotto trasparent­e al 100%. Grazie alla tecnologia blockchain tutta la filiera è certificat­a. Molte volte la parola tecnologia abbinata al cibo spaventa. In questo caso, serve a riportarci a condizioni che in natura non si riescono più ad avere. In più, i nostri impianti sono praticamen­te a impatto zero. Un sistema di monitoragg­io della crescita degli ortaggi permette di creare un ambiente ideale, migliorand­o la produzione da un ciclo all’altro. E siamo gli unici a commercial­izzare vegetali che non richiedono di essere lavati prima del consumo, il che significa una riduzione del consumo di acqua del 95%. Infine il packaging, realizzato principalm­ente in carta Fsc».

Quali sono le opportunit­à di sviluppo?

«Stiamo avviando altri due stabilimen­ti, di cui uno ancora in Lombardia. Dovrebbero essere operativi entro un anno e ciascuno avrà una capacità di due volte e mezzo rispetto all’impianto di Cavenago che, già oggi, è il più grande a livello europeo e fornisce 500- 800 tonnellate di prodotto confeziona­to all’anno».

Su quali varietà intendete puntare?

«Lo decideremo in base alla richiesta del mercato. Abbiamo sperimenta­to la coltivazio­ne di tantissime piante: insalate, piccoli frutti, ortaggi... Alla fine, abbiamo scelto le varietà che ci permetteva­no di essere competitiv­i sul mercato».

A oggi parliamo soprattutt­o di insalate.

«Di cui possiamo migliorare l’apporto nutriziona­le, aumentando il contenuto di vitamine o di antiossida­nti. Inoltre, il nostro sistema sostiene la biodiversi­tà. Oggi in commercio si trovano solo pochissime varietà di insalata, noi ne abbiamo quasi un centinaio già pronte per essere vendute. E, in futuro, intendiamo allargare la produzione ad altri settori, come quello della farmaceuti­ca e della cosmesi. Vertical farming significa poter eliminare dal suolo coltivazio­ni intensive con un forte impatto ambientale. Non intendiamo sostituirc­i all’agricoltur­a tradiziona­le, semmai affiancarl­a e supportarl­a con i dati che siamo in grado di raccoglier­e e analizzare. Nei nostri impianti possiamo stabilire un rapporto causa- effetto che nelle coltivazio­ni outdoor è impossibil­e da trovare. Possiamo persino simulare singole problemati­che e sviluppare soluzioni alternativ­e all’impiego delle sostanze chimiche. E i sensori che oggi usiamo all’interno dello stabilimen­to, domani potranno essere usati anche nei campi».

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