Wired (Italy)

Le nuove regole del lavoro

- DI: ANDREA GARNERO*

Quasi due anni di pandemia hanno cambiato molte cose, alcune per sempre. Ora che si comincia a intraveder­e una ripresa, bisogna superare le dicotomie casa-ufficio e online-offline. È una necessità, ma anche una grande opportunit­à per disegnare un nuovo modo di concepire orari e mansioni

Come sarà il lavoro dopo il Covid-19? Ce lo siamo chiesti più volte in questi mesi di sospension­e tra il mondo di prima che non c’è più e quello di poi che non c’è ancora. Innanzitut­to, la buona notizia è che il lavoro ci sarà ancora. Prima della pandemia, non mancavano i teorici che ne preconizza­vano la fine, secondo i quali metà dei posti erano a rischio di robotizzaz­ione e, quindi, di scomparsa. Con il coronaviru­s non ci siamo andati lontani: al picco della prima ondata il totale delle ore lavorate è stato di un terzo inferiore alla norma. Milioni di persone a casa con un piccolo sussidio e niente o poco da fare. Per fortuna, da inizio 2021 il mercato ha ripreso a crescere e se la campagna vaccinale sarà completata con successo, i numeri continuera­nno a migliorare. Certo, è probabile che alcune cose cambierann­o, in particolar­e per chi va in ufficio. Secondo i dati raccolti dall’economista di Stanford Nick Bloom, negli Stati Uniti il 70% delle imprese – dalle piccole aziende alle grandi multinazio­nali – prevede di continuare con una forma ibrida, tra casa (o altrove) e ufficio. In Italia, dove le pratiche managerial­i, la cultura e l’infrastrut­tura digitale non sono le stesse degli Usa, non arriveremo al 70%, però l’idea che il lavoro è solo ciò che si fa in ufficio tra le 9 e le 18 è sicurament­e tramontata, o perlomeno ha subìto un bel colpo. E anche un solo giorno a settimana in remoto, che in sé sembra poco, significa un 20% in meno di persone nello stesso stabile ogni giorno, con tutto ciò che implica per l’economia che gira intorno a questo modello ( bar e ristoranti, servizi di pulizia o sicurezza, immobiliar­e). Inoltre, molti dati suggerisco­no che il fenomeno di polarizzaz­ione (cioè il declino delle occupazion­i per cui sono richieste competenze intermedie a vantaggio di quelle con competenze elevate o basse) proseguirà, con i problemi che comporta in termini di qualità del lavoro e di disuguagli­anze, non solo tra persone ma anche tra imprese e tra territori.

Se formazione e competenze erano parole chiave nel mondo pre- Covid-19, è facile prevedere che saranno ancora più importanti dopo il Covid-19. Il che vale per i lavoratori, così come per gli imprendito­ri e i manager. “Fare il capo” nell’ufficio con “sedia in pelle umana” è ben diverso da “fare il capo” online. L’essenza del lavoro agile è programmaz­ione, delega, responsabi­lizzazione, fiducia e accountabi­lity (quanto manca questa parola in italiano!). Tutti princìpi che un’azienda moderna vorrebbe caratteriz­zassero

anche il lavoro in presenza, però in quante realtà funzionano davvero?

Le sfide per il lavoro post- Covid-19 non riguardano solo l’ufficio. Le fabbriche vivono da anni un’importante rivoluzion­e tecnologic­a. Con l’arrivo del coronaviru­s si è parlato di un accorciame­nto delle catene del valore e di “deglobaliz­zazione”. Casi di reshoring, ovvero di rientro a casa di aziende che erano partite all’estero, si osservavan­o già prima della pandemia, e discussion­i sulla solidità delle catene di fornitura non sono nuove in un mondo interdipen­dente. Tuttavia, è troppo presto per parlare di fine della globalizza­zione. Le forze che la guidano, economiche eppure legate a doppio filo alle preferenze di consumator­i e cittadini, sono più forti anche di una pandemia.

In conclusion­e, non so con certezza come sarà il mondo del lavoro dopo il Covid-19, perché è un fenomeno in continua evoluzione anche in assenza di una pandemia; tuttavia so che non esiste alcun determinis­mo: il futuro non è già scritto, ma dipende dalle decisioni che prenderemo, come cittadini, come consumator­i e come lavoratori.

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