Le nuove regole del lavoro
Quasi due anni di pandemia hanno cambiato molte cose, alcune per sempre. Ora che si comincia a intravedere una ripresa, bisogna superare le dicotomie casa-ufficio e online-offline. È una necessità, ma anche una grande opportunità per disegnare un nuovo modo di concepire orari e mansioni
Come sarà il lavoro dopo il Covid-19? Ce lo siamo chiesti più volte in questi mesi di sospensione tra il mondo di prima che non c’è più e quello di poi che non c’è ancora. Innanzitutto, la buona notizia è che il lavoro ci sarà ancora. Prima della pandemia, non mancavano i teorici che ne preconizzavano la fine, secondo i quali metà dei posti erano a rischio di robotizzazione e, quindi, di scomparsa. Con il coronavirus non ci siamo andati lontani: al picco della prima ondata il totale delle ore lavorate è stato di un terzo inferiore alla norma. Milioni di persone a casa con un piccolo sussidio e niente o poco da fare. Per fortuna, da inizio 2021 il mercato ha ripreso a crescere e se la campagna vaccinale sarà completata con successo, i numeri continueranno a migliorare. Certo, è probabile che alcune cose cambieranno, in particolare per chi va in ufficio. Secondo i dati raccolti dall’economista di Stanford Nick Bloom, negli Stati Uniti il 70% delle imprese – dalle piccole aziende alle grandi multinazionali – prevede di continuare con una forma ibrida, tra casa (o altrove) e ufficio. In Italia, dove le pratiche manageriali, la cultura e l’infrastruttura digitale non sono le stesse degli Usa, non arriveremo al 70%, però l’idea che il lavoro è solo ciò che si fa in ufficio tra le 9 e le 18 è sicuramente tramontata, o perlomeno ha subìto un bel colpo. E anche un solo giorno a settimana in remoto, che in sé sembra poco, significa un 20% in meno di persone nello stesso stabile ogni giorno, con tutto ciò che implica per l’economia che gira intorno a questo modello ( bar e ristoranti, servizi di pulizia o sicurezza, immobiliare). Inoltre, molti dati suggeriscono che il fenomeno di polarizzazione (cioè il declino delle occupazioni per cui sono richieste competenze intermedie a vantaggio di quelle con competenze elevate o basse) proseguirà, con i problemi che comporta in termini di qualità del lavoro e di disuguaglianze, non solo tra persone ma anche tra imprese e tra territori.
Se formazione e competenze erano parole chiave nel mondo pre- Covid-19, è facile prevedere che saranno ancora più importanti dopo il Covid-19. Il che vale per i lavoratori, così come per gli imprenditori e i manager. “Fare il capo” nell’ufficio con “sedia in pelle umana” è ben diverso da “fare il capo” online. L’essenza del lavoro agile è programmazione, delega, responsabilizzazione, fiducia e accountability (quanto manca questa parola in italiano!). Tutti princìpi che un’azienda moderna vorrebbe caratterizzassero
anche il lavoro in presenza, però in quante realtà funzionano davvero?
Le sfide per il lavoro post- Covid-19 non riguardano solo l’ufficio. Le fabbriche vivono da anni un’importante rivoluzione tecnologica. Con l’arrivo del coronavirus si è parlato di un accorciamento delle catene del valore e di “deglobalizzazione”. Casi di reshoring, ovvero di rientro a casa di aziende che erano partite all’estero, si osservavano già prima della pandemia, e discussioni sulla solidità delle catene di fornitura non sono nuove in un mondo interdipendente. Tuttavia, è troppo presto per parlare di fine della globalizzazione. Le forze che la guidano, economiche eppure legate a doppio filo alle preferenze di consumatori e cittadini, sono più forti anche di una pandemia.
In conclusione, non so con certezza come sarà il mondo del lavoro dopo il Covid-19, perché è un fenomeno in continua evoluzione anche in assenza di una pandemia; tuttavia so che non esiste alcun determinismo: il futuro non è già scritto, ma dipende dalle decisioni che prenderemo, come cittadini, come consumatori e come lavoratori.