Coltiviamo insetti
nome: Bef Biosystems sede: Casalnoceto (Al) settore: alimentazione identikit: se ne parla spesso, ma ora anche in Italia nasce un’azienda che produrrà farine dagli insetti. Cominciando da quelle con cui verranno realizzati mangimi per gli allevamenti e cibi per gli animali domestici
La via italiana all’allevamento di insetti a fini alimentari passa da Casalnoceto. È qui, in provincia di Alessandria, che la società Bef Biosystems ha realizzato il primo impianto pilota per la produzione di farine e oli a base di larve di Hermetia illucens, note anche come mosche soldato. «In autunno contiamo di ottenere l’autorizzazione alla commercializzazione, per cominciare le forniture all’industria dei mangimi entro la fine del 2021. Diverse aziende hanno già manifestato interesse verso l’impiego di proteine di insetto nei loro preparati. Nonostante sui giornali si vedano spesso titoli tipo: “Mangeremo insetti”, per ora si tratta per lo più di cibo per animali da allevamento o da compagnia. Detto questo, anche noi stiamo studiando, a livello sperimentale, le potenzialità di altri insetti per il consumo umano». A parlare è Giuseppe Tresso, amministratore delegato e direttore esecutivo della società, che allo studio dell’allevamento industriale di insetti ha cominciato a dedicarsi nel 2015, insieme al socio Umberto Guerra.
Quali sono i vantaggi dell’insect farming dal punto di vista ambientale?
«Intanto, la riduzione dello spreco alimentare. Abbiamo brevettato un sistema, che abbiamo chiamato Bioconverter, che permette di trasformare 500 chili di eccedenze in 100 chili di larve nell’arco di 6 giorni».
Dichiarate di produrre «proteine sostenibili» e di raggiungere 6 dei 17 obiettivi dell’agenda 2030 delle Nazioni Unite. In che modo?
«Nei nuovi allevamenti avremo pannelli fotovoltaici ma, soprattutto, saranno costruiti vicino a impianti di biogas, in modo da utilizzare anche l’energia termica che, oggi, nei 1300 stabilimenti presenti in Italia viene per lo più dispersa perché mancano i collegamenti alle reti di teleriscaldamento».
Quanti nuovi impianti intendete creare?
«Dieci entro il 2022 e un centinaio nei prossimi cinque anni. A differenza di altre aziende internazionali, abbiamo scelto un modello di sviluppo diffuso, in scala più piccola, proprio per sfruttare l’energia termica e ottimizzare il recupero dei substrati di alimentazione per le nostre larve, ovvero gli scarti organici
dell’industria agroalimentare che, in Italia, è presente in modo capillare su tutto il territorio. Inoltre, l’obiettivo è vendere le nostre tecnologie brevettate agli imprenditori dell’intera filiera, a cominciare dagli agricoltori».
Di quali tecnologie parliamo?
«Il modello di allevamento più diffuso al mondo è quello “a cassette”, contenitori di piccole dimensioni in cui vengono allevate le larve all’interno di un sistema di gestione a controllo elettronico. È il metodo utilizzato da grandi aziende come Protix, Innovafeed e Ynsect che, però, presenta alcuni inconvenienti: richiede volumi di scarto organico di almeno 10mila tonnellate all’anno e comporta un forte consumo energetico. Noi abbiamo brevettato un macchinario diverso, il Bioconverter, appunto: 6 metri di lunghezza per 1 di altezza, con un sistema di riscaldamento e di ventilazione gestibile da remoto e che consuma meno energia. Inoltre, abbiamo inventato un sistema di pretrattamento dello scarto organico che, in sostanza, viene sanificato riducendo il rischio di infezioni da batteri».
Oltre alle farine producete anche olio, fertilizzanti e chitina.
«Dalle larve viene estratto il grasso che viene commercializzato a parte, sempre per la mangimistica. Il digestato delle mosche viene recuperato perché è un ottimo fertilizzante. Infine, dall’ultimo esoscheletro delle larve potremo estrarre la chitina, utilizzata nella produzione dei fili da sutura chirurgici. In un’ottica di economia circolare, l’allevamento delle mosche è praticamente a scarto zero. Si recupera tutto».