Ti facciamo indossare le arance
n o m e: Orange Fiber sede: Catania settore: tessile identikit: produce un filato dagli scarti della spremitura degli agrumi e, ora, anche dal legno. Che poi viene utilizzato da diversi marchi di moda per produrre abiti
Proprio in questi giorni Orange Fiber sta presentando sul mercato una nuova collezione di tessuti realizzata in partnership con il gruppo austriaco Lenzing, che utilizza una fibra di lyocell a marchio Tencel. Si tratta di un nuovo materiale composto da cellulosa estratta dalle arance e dal legno, un ulteriore passo avanti per l’azienda catanese, nata nel 2014 con l’idea di ricavare fibra tessile dagli scarti dell’industria della spremitura degli agrumi, che corrispondono al 50- 60% del peso dei frutti interi. Obiettivo: aumentare la sostenibilità nella filiera tessile e nell’industria della moda. Come funziona la collaborazione con Lenzing?
« Avevamo bisogno di un partner che garantisse una capacità maggiore con tempistiche certe. Noi mettiamo le arance, loro il legno proveniente da foreste certificate. Nei loro stabilimenti i due materiali diventano fibra che, poi, Orange Fiber trasforma in filati e tessuti. Oggi abbiamo a disposizione non più una, ma due tecnologie innovative. La prima, brevettata da noi, per estrarre cellulosa adatta alla filatura dagli agrumi e la seconda, utilizzata per la prima volta su questo tipo di materiale, che consiste in un processo ai liquidi ionici e che ci permette di ottenere un materiale più duttile». In genere, che fine fanno gli scarti della spremitura?
«Dipende. Alcune aziende li sottopongono a un processo di essiccazione per ricavarne mangimi per animali. Ma i costi sono molto alti e il più delle volte non ne vale la pena. E ci sono ricerche nell’ambito della produzione di biogas. Ma per lo più si tratta di materiale che finisce ancora in discarica. Quando abbiamo cominciato a lavorare al nostro progetto, veniva addirittura considerato un rifiuto speciale, perché se ne concentrano grandi quantità in brevi periodi dell’anno e la loro gestione creava problemi, poi è stato derubricato a sottoprodotto». Quanta cellulosa producete dalle arance?
«Nel 2021, circa 15 tonnellate. Evidentemente intendiamo aumentare la capacità produttiva, ma si tratta di trovare un punto di equilibrio tra investimenti e richieste del mercato. Inoltre, i tempi di lavorazione sono ancora piuttosto lunghi: il processo per arrivare dagli scarti al tessuto può richiedere anche sei mesi». Quindi i costi sono alti.
«Sì, per diverse ragioni. Intanto, perché la produzione è localizzata al 90% in Italia e al 10 in Austria, due paesi dove i costi della manodopera sono più elevati rispetto ad altre zone del mondo, poi perché operiamo su un’economia di scala ridotta. L’obiettivo, infatti, è crescere, ma non troppo perché la sostenibilità è alla base di Orange Fiber. È ormai risaputo che il prezzo molto basso della materia prima è al tempo stesso causa ed effetto della sovrapproduzione di capi e, quindi, della crescita dei rifiuti tessili, con un forte impatto sull’ambiente». I vostri tessuti sono biodegradabili?
«Sì. A ottobre condurremo i test per la certificazione ufficiale. Ma il nostro obiettivo è puntare su una qualità che incentivi un utilizzo a lungo termine dei capi. Estendere il ciclo di vita dei prodotti è cruciale per la sostenibilità. Inoltre, ci sono allo studio tecnologie per riciclare i materiali a base di cellulosa in modo da ricavarne nuovi filati». Il mondo della moda è pronto a sostenere una svolta green?
«Il numero di aziende interessate alle questioni ambientali e all’impatto dei processi a partire dalle materie prime sta crescendo. Ma quanto sono disposti a spendere i consumatori? Ci siamo abituati a comprare abbigliamento a prezzi molto bassi. Al momento, c’è un atteggiamento di prudenza da parte dei brand, che usano tessuti riciclati o green in collezioni limitate per testarne l’accoglienza e l’interesse. La direzione verso cui andare è chiara, ma ci vorrà un po’ di tempo».