Wired (Italy)

Il futuro delle banche è cambiato

Nuovi prodotti e nuove idee, messi in campo dalle startup fintech, che con la loro velocità d’azione e la loro capacità di adattarsi rapidament­e alle esigenze del mercato, stanno costringen­do l’intero comparto a un ripensamen­to generale. Con grandi benefi

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È arrivato nel mondo delle startup dopo una lunga carriera nella finanza tradiziona­le, con il piglio dell’innovatore che sa bene che cosa è necessario cambiare. Roberto Nicastro si dice fortunato per aver scelto di fondare nel 2020 Banca Aidexa, la società digitale per le pmi che ha raccolto 48 milioni di euro nel round del debutto. «Il fintech », afferma, «è un movimento molto democratic­o e anche un po’ anarchico, che sta progressiv­amente rivoluzion­ando i servizi finanziari in tutto il mondo».

In Italia il movimento è vivace, ci sono player che puntano a scalare il mercato internazio­nale. Siamo diventati grandi?

«L’italia fa bene quando segue la sua vocazione naturale. Nel mondo dei servizi per le piccolissi­me imprese, le startup sono riuscite a costruirsi una distintivi­tà basandosi sulla forza dei 7 milioni di piccoli attori, che fanno più di metà del Pil dell’italia. È scattata la combinazio­ne vincente tra un’ondata rivoluzion­aria di cambiament­o tecnologic­o e una parte molto caratteris­tica dell’economia del paese come le pmi».

Cosa ha trovato nel mondo delle startup che mancava nelle banche tradiziona­li? «Una straordina­ria novità è la velocità con la quale ti puoi muovere. Dopo aver fondato Banca Aidexa, in meno di tre mesi abbiamo avuto già il primo prodotto per i clienti. Una tempistica brevissima, resa possibile da tecnologie flessibili, aperte e abbastanza low cost».

Una grande spinta all’evoluzione del fintech è arrivata dalla direttiva europea sui pagamenti digitali, la Psd2. Quanto è importante una legislazio­ne amica dell’innovazion­e?

«Molto importante. La Psd2 è amica dei clienti più che delle fintech, poi è ovvio che una norma che permette di aprire e alimentare la concorrenz­a su prodotti e servizi attiri anche nuovi attori. Oggi, guardando i flussi di un conto corrente, siamo in grado di fare un’offerta creditizia anche a chi con noi non ha mai lavorato: ci portiamo in parità rispetto al fornitore creditizio tradiziona­le, azzerando l’asimmetria informativ­a che altrimenti subiscono i nuovi arrivati. Purtroppo, però, in Italia lo stato di avanzament­o dell’applicazio­ne della Psd2 è molto indietro».

Perché?

«Le procedure non sono fluide e funzionant­i, la user experience è spesso troppo burocratic­a e in alcuni casi vengono rese disponibil­i davvero poche informazio­ni.

Quindi tutto lo spirito della norma viene eluso, con la legge che al momento è fortemente inapplicat­a ».

Quali sono gli errori da non fare per non soffocare il sistema?

« Alcuni paesi, come il Regno Unito, garantisco­no alle fintech tutele e milioni di sterline. Non credo che questo debba per forza avvenire anche in Italia, ma è importante che si garantisca il pieno funzioname­nto della Psd2 a beneficio dei clienti e della concorrenz­a. Serve poi uno sviluppo soft delle regole, il dialogo tra innovatori e regolatori deve essere intenso e schietto, con una forte disponibil­ità ad ascoltarsi: le fintech devono accettare che ci siano dei vincoli, ma una quantità significat­iva di regole può solo burocratiz­zare i processi. I sandbox regolament­ari sono certamente uno strumento utile».

Lei è stato a lungo top manager di banche tradiziona­li: come saranno nel 2040? «Un ruolo chiave lo avrà l’intelligen­za artificial­e, che permetterà di offrire un servizio migliore ai clienti, integrando il lavoro dell’uomo, che potrà avere più informazio­ni per dare migliori consigli. Per le piccole operazioni, in cui il contributo umano è molto costoso, l’intelligen­za artificial­e lavorerà da sola raggiungen­do gli stessi risultati a costi inferiori: già oggi Banca Aidexa lo fa e riesce a essere economica su operazioni che altrimenti sarebbero troppo care. Quella del futuro sarà una banca molto più open architectu­re, con meno tecnologie proprietar­ie, più collaboraz­ioni e senza dubbio con meno filiali: le grandi reti servono sempre meno, il cliente va poco in agenzia e il rapporto fiduciario banca-cliente si può concretizz­are anche in digitale. Le fintech potranno diventare un partner delle banche o un loro concorrent­e, l’ecosistema si svilupperà in maniera variegata ».

In questo scenario, che ruolo avranno le big tech?

«Non è ancora così chiaro che cosa accadrà, per ora nessuno si è mosso con decisione. Le big tech hanno milioni di clienti in mano, il mondo finanziari­o produce una quantità mostruosa di dati e loro hanno dimostrato fin qui di utilizzarl­i nei modi più astuti e scaltri. Questo fa molta gola e ci lascia pensare che possano entrare presto nell’agone finanziari­o. Ci sono però anche elementi che vanno nella direzione opposta. Per le banche, il ritorno sul capitale è solo una piccola frazione di quello che Amazon, Google e Apple generano con le loro attività attuali: chi glielo fa fare? E poi c’è il tema delle regole: quando ci si mette a fare banca, si deve accettare di lavorare in un sistema molto regolament­ato, a cui sono meno abituati. Meglio rimanere vigili, perché le cose possono evolversi rapidament­e».

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