Chi ben comincia è a metà dell’opera
Una pioggia di denaro, in tutte le fasi, sta investendo le aziende che nascono per innovare il settore finanziario. Da chi punta tutto sulla facilitazione nella rateizzazione dei pagamenti, il cosiddetto buy now pay later, a chi vuole rendere più semplice
UNICORNI
Il fintech è una macchina da unicorni: il 20% delle startup da almeno un miliardo di dollari nuota nell’oceano della finanza, secondo i dati della società di consulenza tech Cb Insights. Si tratta di 178 società che a ottobre 2021 vantano una valutazione complessiva di oltre 400 miliardi di dollari. Il successo delle fintech, nota Massimo Della Ragione, head del digital tech for innovation della Bocconi, è legato alla rivoluzione digitale «che ha colpito il settore bancario e assicurativo prima degli altri, rendendo più facili i cambiamenti». La più ricca tra le fintech è Stripe: ha raggiunto una valutazione di 95 miliardi di dollari ed è il terzo unicorno in assoluto alle spalle di Bytedance (Tiktok) e Spacex. Stripe facilita i pagamenti online e ha attirato fin da subito l’attenzione di imprese e business angel: incubata da Y Combinator a San Francisco, vanta tra i suoi primi investitori il co-founder di Paypal, Peter Thiel. La più anziana delle fintech tra gli unicorni è Klarna: svedese, nata nel 2005, la startup ha aperto il mercato del buy now pay later, azzerando le difficoltà nel rateizzare i piccoli acquisti. La società pesa almeno un miliardo da ormai oltre dieci anni e oggi, dopo i mega-round del 2021, vale 45,6 miliardi di dollari (quarta nella classifica generale). Più indietro, la neo banca Revolut, da 33 miliardi di dollari di valutazione: fondata a Londra da Nikolay Storonsky e Vlad Yatsenko, Revolut ha digitalizzato l’intero processo bancario portando in una sola app conti, pagamenti e investimenti frazionati.
SCALEUP
Se al momento nessuna delle fintech italiane ha guadagnato la medaglia di unicorno, non vuol dire che il traguardo presto non possa essere tagliato. Di candidati ce ne sono. «Per avere successo, serve poter contare su un bel team e su un business model scalabile, con soluzioni che piacciono al mercato. Ma servono anche investitori giusti e molta fortuna», ammette Massimo Della Ragione. Ingredienti che sono ben miscelati in Scalapay, la scaleup fondata da italiani che più si avvicina oggi al miliardo: dopo due round da 41 e 155 milioni nel 2021, la società dei piccoli pagamenti a rate e senza interessi ha raggiunto una valutazione da 700 milioni ad appena due anni dalla nascita. Da un’analisi realizzata per Wired dal Venture capital monitor di Liuc Business School e Aifi emerge che tra il 2018 e giugno 2021 sono cinque le fintech italiane ad aver chiuso i round maggiori, compresa Scalapay. La più anziana tra loro è Moneyfarm, la società di gestione patrimoniale fondata nel 2011 che ha incassato nell’ultimo triennio 86 milioni di euro in due aumenti di capitale. Nel 2018, Prima Assicurazioni si è invece affacciata sul mercato con una raccolta da 100 milioni, convincendo tra gli altri big della finanza tradizionale come Goldman Sachs e Blackstone. Il 2020 è stato invece l’anno di Aidexa, di Roberto Nicastro, che ha raccolto 48 milioni di euro, e di Satispay, che ha chiuso un aumento di capitale da 68 milioni, con la valutazione della società balzata a 248 milioni di euro. E con il suo ultimo round, Satispay è diventata la prima startup italiana ad attirare un investitore cinese: il colosso tech Tencent.
STARTUP
Nel 2021, i fondi di venture capital hanno scommesso molto sulle fintech. Cb Insights calcola che nel solo primo semestre del 2021 sono stati investiti 53 miliardi di dollari nelle startup finanziarie in tutto il mondo, contro i 44 miliardi spesi nell’intero anno precedente. In soli sei mesi, sono stati 148 i mega-round da oltre 100 milioni di dollari, ma soldi ne sono andati a tutti: il 70% degli aumenti di capitale ha riguardato infatti startup in fase seed-early stage, con un ticket medio nettamente inferiore. Il segmento del buy now pay later ha visto una vera esplosione di idee e Maroo con la sua piattaforma per i pagamenti dilazionati dei matrimoni è riuscita a convincere anche Y Combinator, uno dei principali acceleratori al mondo. Ha raccolto 830mila dollari in fase seed. Nelo, nata a Città del Messico, ha chiuso invece un round da 3 milioni di dollari: la startup ha sviluppato un sistema che consente di pagare in più tranche gli abbonamenti come Netflix. Nei paesi in via di sviluppo, l’esigenza di liquidità ha portato alla fondazione di più startup che anticipano giorno per giorno lo stipendio dei lavoratori, senza che debbano aspettare la fine del mese: Refyne, in India, ha raccolto 20 milioni di dollari in un round di serie A e Wagely, in Indonesia, ne ha ottenuti più di 5 in fase seed. Per facilitare l’accesso al microcredito, nelle Filippine è nata Plentina, che eroga prestiti per piccoli acquisti via app: la società ha incassato 2,2 milioni di funding, portandosi a bordo gli americani di Techstars.
VENTURE CAPITAL
Per scegliere le giuste startup sulle quali investire, i fondi di venture capital si sono negli anni fortemente specializzati. «Quando entri nel capitale di una grande azienda, hai molti indicatori su cui basare le tue decisioni: bilanci, dati storici, andamento della produzione e così via. Ma se l’azienda è piccolina ed è poco più di un’idea, è difficile affidarsi ai metodi tradizionali», sottolinea Massimo Della Ragione. «Entra in gioco l’esperienza: solo professionisti del settore possono capire la bontà di un investimento, perché non ci sono numeri finanziari che supportano la decisione». Tra il 2020 e il 2021, emerge dall’analisi di Cb Insights, il fondo più attivo nel fintech è stato Sequoia Capital, anima dell’innovazione statunitense che un tempo finanziava Apple e Google e oggi punta su Stripe e Klarna. Nel mondo si distinguono per attivismo anche gli americani di Accel e Ribbit Capital, che nel 2021, tra gli altri, ha investito 65 milioni di dollari in Ajaib, una piattaforma indonesiana per lo scambio di azioni e fondi comuni di investimento. «In Italia, il venture capital sta crescendo e ci sono fondi interessanti che fanno un ottimo lavoro», dice Della Ragione. «L’ingresso di Cassa depositi e prestiti è stato sicuramente importante, aiuta la nascita di più player. Ma non siamo ancora ai livelli dei mercati più evoluti come Inghilterra, Germania e Francia». Tra i fondi più attivi c’è Rancilio Cube, che vanta nel proprio portafoglio anche big del fintech come N26 e Sumup. Da segnalare anche le attività di Primo Ventures, di Gianluca Dettori, che è stato tra i primissimi a investire in Sardex, la scaleup sarda dei pagamenti digitali, e di United Ventures, che ha scommesso subito su Moneyfarm. ( a cura di Michele Chicco)