Anoressia e bulimia, +40% di casi Colpite sempre di più le giovanissime
/ Nelle strutture pubbliche e in quelle private i pazienti con disturbi alimentari sono in costante crescita - Il ruolo determinante svolto dalle famiglie nell'individuare l'insorgenza del problema - La maggior parte delle persone colpite da queste patolo
Un problema sociale in costante crescita. Che allarma, preoccupa. Soprattutto perché riferito alle fasce di popolazione più giovani. I disturbi alimentari continuano a colpire duro. Anche in Ticino. Lo confermano gli operatori pubblici e privati che ogni giorno si occupano, nel nostro cantone, di anoressia, bulimia e iperalimentazione incontrollata.
«Dopo la pandemia, così come accaduto anche a livello internazionale, la crescita dei casi oscilla fra il 30% e il 40% - dice Claudia Ariemma, capo servizio del Centro per i disturbi alimentari (DCA) di Mendrisio - in linea con quanto avviene altrove». Gli accessi alla struttura del Sottoceneri chiamata ad aiutare le persone alle prese con un rapporto distorto con l'alimentazione non lasciano dubbi sulla gravità della situazione. Oltre all'aumento delle segnalazioni, infatti, si riscontra un'età media sempre più bassa dei pazienti: «Nel 2023, il 70% dei nuovi casi ha riguardato giovani con meno di 20 anni - dice ancora Claudia Ariemma - in grandissima parte si tratta di ragazze: se parliamo di anoressia e bulimia, la proporzione è di 9 a 1, anche perché i maschi faticano molto di più a chiedere aiuto. Nei casi di iperalimentazione e di obesità, invece, le sproporzioni sono sicuramente minori».
Non c'è dubbio, insiste la capo servizio del DCA, che «la pandemia e il conseguente isolamento abbiano esacerbato tutti i fenomeni di sofferenza giovanile. Dopo la COVID-19, i pazienti che hanno sviluppato disturbi psichici sono cresciuti. Va anche detto, tuttavia, che insieme al disagio è aumentata pure la capacità dei giovani di accettare aiuto. Un dato, questo, fondamentale per una maggiore sensibilizzazione e una più efficace prevenzione: prima si aggredisce il problema, prima si trova una soluzione».
L'indicazione che giunge dalla responsabile del DCA è chiara: «Non bisogna far finta di niente. Chiunque abbia il sospetto di un disturbo alimentare in una persona che conosce, o alla quale è vicino, provi ad aprire una conversazione su questo, non nasconda il problema. L'importante è che lo faccia senza esprimere giudizi, ma mostrando volontà di ascolto e di dialogo. Sapendo che chi soffre il disturbo alimentare di solito si vergogna».
Nuove tendenze
A Mendrisio, l'accesso al servizio del DCA è possibile soltanto a partire dai 16 anni di età. Ma i disturbi dell'alimentazione riguardano - purtroppo in misura sempre maggiore - pure i giovanissimi. Lara Bancheri, psicologa esperta di queste patologie, conferma una tendenza che non può definirsi se non preoccupante. «Anche nella mia casistica, le ragazze con questo tipo di problematica sono in aumento. E il problema sembra insorgere in età molto precoce: in questo momento assisto persino alcune 12.enni». In realtà, affrontare la malattia presto è positivo. «Prima ci si accorge di quanto sta accadendo, prima si può chiedere aiuto e trovare una via d'uscita», afferma Bancheri . Ma serve un grande sostegno. Non soltanto a chi soffre, ma anche alle famiglie, coinvolte in un dramma che può essere lacerante. «Credo che della questione dei disturbi alimentari si parli in maniera adeguata - dice ancora la psicologa di Manno - non so davvero se sia possibile fare di più. Le campagne preventive sono ben costruite e il numero maggiore di casi segnalati dimostra che l'opportunità di essere aiutati viene raccolta e funziona. Forse, quello che servirebbe è un profondo cambiamento del modello sociale di riferimento: in chi sviluppa i disturbi alimentari domina sempre l'idea di un aspetto fisico che deve raggiungere standard di perfezione, qualcosa che non rispecchia la realtà».
Il legame con il disagio
Oltre alle famiglie, determinanti nell'individuare l'insorgere dei disturbi alimentari sono anche i medici di famiglia e i pediatri. Giacomo Nobile è il presidente dell'associazione dei pediatri della Svizzera italiana. La sua riflessione parte dalla «complessità di riconoscimento del problema» e dalle «molte famiglie in difficoltà. C'è tutta una dinamica sociale che sta emergendo – continua Nobile – bisogna capire dove insorgono le difficoltà e sostenere in maniere mirata le famiglie fragili già dai primi anni di vita dei figli».
Gli studi dicono che il rischio di disagio giovanile in senso lato aumenta laddove i figli hanno sperimentato deficit educativi già nella prima infanzia. Prevenzione è la parola chiave. «Se una ragazzina comincia a non vedersi bella allo specchio e a rifiutare il cibo, qualcosa dev'essere successo nei 12 o 13 anni precedenti. Bisogna dare alle giovani famiglie gli strumenti per educare i bambini anche verso una corretta visione del corpo e per essere resistenti alle dinamiche negative della nostra società che eventualmente sperimenteranno. E comprendere subito i problemi gravi, in maniera di coinvolgere prima possibile qualcuno che possa occuparsene». Quando si trova di fronte a situazioni simili, «il pediatra è in grado di attivarsi – chiosa Nobile – è sempre un lavoro di rete: psicoterapeutico e di educazione alimentare, in setting ambulatoriale o stazionario. È una terapia lunga e impegnativa. Per questo la prevenzione è determinante».
Bisogna dare ai genitori gli strumenti adatti a educare i figli a una corretta autostima Giacomo Nobile presidente dei pediatri ticinesi