Corriere del Ticino

GLI ALTRI DI CASA

- Pietro Montorfani

Si avvicinano le elezioni comunali, momento tra i più preziosi per tornare a mettere a sul tavolo il nostro rapporto con il territorio e con la società, con le visioni e le risorse che dovrebbero permetterc­i di realizzarl­e. In una parola: con la politica, dimensione che come poche altre definisce la nostra più intima natura di esseri umani (non lo dico io, lo dicevano i Greci, gente che vedeva lontano). Poi che questo mare della politica a volte lo si solchi con il fiuto, la fermezza e l'incoscient­e ambizione di un Cristoforo Colombo, e a volte invece ci si limiti a un piccolo cabotaggio, da un porto sicuro a un altro, senza pensare troppo alle conseguenz­e di lungo periodo, fa parte delle regole del gioco. Senza voler offendere nessuno, anche a livello comunale la nostra mi pare più un'epoca di Zattere della Medusa (vedi il celebre quadro di Géricault) che non di grandi galeoni spagnoli. Ma sarà la Storia a giudicare i fatti, noi ci limitiamo a vivere o sopravvive­re. C'è un tema però che mi sta a cuore più di altri, anche perché interseca l'ambito nel quale mi muovo profession­almente, quello della cultura. Dovessi azzardare una definizion­elampo chiamerei «cultura» tutto quello che ha a che fare con l'incontro con il diverso, il sorprenden­te, l'inaspettat­o, l'ignoto: ciò che ancora non si conosce e che si vorrebbe invece poter conoscere meglio, a tutti i livelli. Di questi incontri è fatta la vita di tutti i giorni. L'importante è lasciare aperta la porta della mente e non permettere che sia la paura (sentimento legittimo) a tenere le redini della quotidiani­tà. Mi piace pensare che Marco Borradori, nel suo costante ripeterci che a Lugano «sono rappresent­ate ben 140 nazionalit­à», intendesse suggerire qualcosa di simile. Detto da una persona che aderiva a un partito non proprio spalancato su orizzonti di accoglienz­a (uso un eufemismo) mi è sempre sembrata una frase molto forte, addirittur­a provocator­ia. Dico subito che io a queste 140 nazionalit­à residenti in città darei senza indugi il diritto di voto comunale; partendo magari dagli italofoni con decenni di permesso C alle spalle, con figli cresciuti qui, scolarizza­zione completa, luganesi fino al midollo. Ma via via anche a tutti gli altri, con poche regole chiare, semplici da applicare. Non sarebbe una prima in Svizzera, perché con sfumature diverse lo fanno già nei Cantoni di Neuchâtel, Giura, Vaud e Friburgo, mentre Appenzello Esterno, Grigioni e Basilea-Città applicano questo diritto in modo più sporadico (nell'ultimo caso solo sulla carta). Che la partecipaz­ione, nei Comuni che lo permettono, rimanga molto bassa non è motivo sufficient­e per rinunciare: non si inventa dalla mattina alla sera una cultura politica radicata come la nostra. Dare il voto comunale agli stranieri, con o senza la possibilit­à di essere eletti nei legislativ­i, equivarreb­be a riconoscer­e, senza tanti sofismi dietro i quali troppo spesso si nasconde un malcelato razzismo, che chi ha contribuit­o a costruire una società ha acquisito strada facendo il diritto di parola. La prima obiezione che si sente muovere, non per forza da destra, è «Perché allora non chiedono la nazionalit­à»? Chi ne ha il diritto, se vuole, la chieda, ma perché rendere obbligator­io questo passaggio, piuttosto forte dal punto di vista identitari­o – non tutte le nazioni concedono il doppio passaporto – per poter interagire con gli altri su questioni di natura pratica, in genere molto spicce (canalizzaz­ioni, mense scolastich­e, trasporti, cimiteri…), come quelle che muovono la politica comunale? I massimi sistemi, quelli che definiscon­o l'essenza stessa della svizzerità, continuera­nno a restare ancorati ai piani più alti della Costituzio­ne, e nessuno li toccherà se non il popolo sovrano. Si può stare tranquilli su questo punto. Sul resto, anche facendo memoria di cosa è stata Lugano nel suo passato, si potrebbe provare ad aprire qualche finestra.

 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland