I misteri dell'Isola di Pasqua in un affascinante viaggio
/ L'Isola al largo delle coste del Cile è famosa soprattutto per i moai, le celeberrime statue giganti Domenica 31 marzo alle 18.10 su LA 1 ne «Il Giardino di Albert» si va alla scoperta della geniale civiltà di Rapa Nui
L'Isola di Pasqua, battezzata così perché scoperta dall'ammiraglio olandese Jacob Roggeveen proprio il giorno di Pasqua del 1722 (era il 5 aprile), si trova a 3.700 chilometri dalla costa del Cile ed è una delle più sperdute e isolate della Terra. Prima dell'arrivo dei velieri olandesi, l'isola era già abitata e chiamata dagli autoctoni con il nome di Rapa Nui, che in lingua locale significa «grande roccia». In questo luogo improbabile fiorì una società polinesiana dopo che alcune anime impavide riuscirono, non si sa come, a navigare su una flotta di canoe in legno fino a questo piccolo pezzo di terra nell'oceano Pacifico.
Eppure, nonostante questo isolamento, i suoi abitanti, i rapanui, hanno lasciato un patrimonio artistico e culturale eccezionale: abitazioni, altari cerimoniali e soprattutto quasi 900 moai, i celeberrimi volti giganti alti fino a cinque metri e sparsi in tutta l'isola. Chi di noi non ha mai avuto modo di ammirare nei documentari, nelle enciclopedie o sul web quelle mastodontiche e spettacolari statue in pietra, simbolo di una delle isole più remote del mondo?
Costruite presumibilmente tra l'XI e il XVI secolo, furono scolpite in blocchi di tufo, una roccia tenera e friabile estratta dal vulcano Rano Raraku. Venivano poi posizionate sopra un ahu, una piattaforma fatta di basalto che fungeva da altare. Questi blocchi di pietra, scolpiti fino a diventare teste e toraci, sono alti in media 4 metri e pesano 14 tonnellate. Gli sforzi per costruire monumenti simili e trasportarli in giro per l'isola furono enormi, eppure nessuno sa davvero perché gli abitanti di Rapa Nui si fossero cimentati
in una tale impresa.
Molti studiosi ritengono che queste sculture colossali fossero state create per onorare gli antenati, i capi o personaggi di spicco della cultura popolare. Tuttavia, le testimonianze storiche scritte e orali sul passato dell'isola sono pressoché inesistenti ed è impossibile saperlo con certezza. Un'altra ipotesi è che fossero un augurio di benessere e prosperità a coloro che guardano, dando un senso di protezione verso la terra ed i suoi abitanti, ecco perché dalla costa il loro sguardo è rivolto verso l'interno.
Considerando l'impressionante mole dei moai è difficile comprendere come la popolazione
dell'isola, dotata di scarse risorse e tecnologicamente poco sviluppata, avesse potuto erigerli. Di questo si stupì anche il grande esploratore inglese James Cook quando giunse a Rapa Nui nel 1774, quattro anni dopo che il capitano iberico Felipe González de Haedo ebbe rivendicato alla Spagna il possesso dell'isola, rinominandola San Carlos.
Come fecero gli indigeni a scolpire il basalto, una roccia vulcanica dura, con i limitati strumenti di cui disponevano all'epoca? E come riuscirono a tagliare, modellare e trasportare i loro giganti di pietra che pesavano diverse tonnellate? E che fine fecero gli abitanti dell'Isola di Pasqua? Quali furono le cause del declino della loro civiltà?
Le risposte in questo affascinante documentario del «Giardino di Albert», che presenta anche altri aspetti della sorprendente società di Rapa Nui, come le tecniche escogitate per coltivare i campi raccogliendo l'acqua con la roccia, le loro abitazioni più prestigiose e addirittura una struttura idraulica scoperta solo di recente e il cui significato rimane sconosciuto.
Un avvincente viaggio che ci farà conoscere meglio questi antichi e ingegnosi costruttori del Pacifico, la cui collocazione ai confini del mondo li rende ai nostri occhi ancor più misteriosi e affascinanti.
Il documentario svela i segreti che si celano dietro alle enigmatiche statue dell'isola del Pacifico