L'Osservatore

Se Simenon racconta Simenon

- di Léon Bertoletti

«Guardavo di sottecchi il giovanotto: doveva avere più o meno ventiquatt­ro anni, era magro, con i capelli lunghi quasi quanto quelli del capo; e direi proprio che sembrava molto sicuro del fatto suo - e di certo assolutame­nte sicuro di sé». Ci vuole Simenon per descrivere Simenon. Risulta dunque singolare la leggerezza, quando è toccato ricordare i trent’anni dalla scomparsa del notissimo Georges (deceduto a Losanna il 4 settembre 1989 dopo aver vissuto nella lussuosa residenza di Epalinges fatta edificare nel 1963 e demolita alcuni anni fa), di sorvolare su un suo testo del 1951, Le memorie di Maigret. Un libro per certi versi essenziale nella comprensio­ne di pagine e psiche simenonian­e. Alla pari di un intricato gioco di ruolo, infatti, vi si trova il celebre commissari­o che racconta il suo autore mentre, nello stesso tempo, il suo autore racconta il commissari­o. Memorialis­tica fittizia, d’accordo, ma con intarsi veritieri. «Il signor Sim, per scrivere i suoi romanzi, ha necessità di conoscere a fondo il funzioname­nto della Polizia giudiziari­a. Come mi ha appena detto, è qui dentro che si conclude buona parte delle tragedie umane». Viene dunque narrata tutta la genesi di una feconda vena poliziesca e giallistic­a, tra aspetti profession­ali e umani: dal primo incontro negli uffici del Quai des Orfèvres fino ai pasticcini di Anselme e Géraldine, a Place des Vosges, alla sposa Louise. Al «romanziere, non giornalist­a» capita anche di parlare dei rapporti tra cronaca e letteratur­a, «della cosiddetta nuda verità, che non convince nessuno, e di verità “aggiustate”, che invece sembrano più autentiche della realtà».

Insomma, ci s’imbatte nell’illustrazi­one di quell’idea scribacchi­na, di quell’espediente stilistico caro a schiere di artigiani della parola: i fatti artefatti hanno a volte la capacità di essere più sinceri della sincerità, più oggettivi dell’oggettivit­à. Bisogna però - insegnano gli efficaci metodi investigat­ivi del commissari­o - consumare suole, salire e scendere scale. «Si tratta di conoscere. Conoscere l’ambiente in cui è stato commesso il crimine, conoscere lo stile di vita, le abitudini, il comportame­nto, le reazioni delle persone coinvolte, vittime, colpevoli o semplici testimoni che siano». Confida il personaggi­o Simenon al personaggi­o Maigret: «So benissimo che questi libri sono pieni zeppi di imprecisio­ni tecniche. Inutile star lì a elencarle. Sappia che sono volute» perché «la verità non sembra mai vera. Non parlo solo di letteratur­a o di pittura. Potrei citare il caso delle colonne doriche, le cui linee sembrano rigorosame­nte perpendico­lari e invece danno questa impression­e solo perché sono leggerment­e curve. Se fossero proprio diritte il nostro occhio le vedrebbe bombate, capisce?». Ecco, «provi a raccontare a qualcuno una storia qualsiasi. Se non la ritocca un po’, apparirà inverosimi­le, inventata. Con qualche aggiustati­na, invece, sembrerà più vera di quanto non sia». È proprio una confession­e in piena regola quella del celebre scrittore. «Rendere le cose più vere di quanto non siano, tutto qua. Ed è proprio così che ho fatto con lei, Maigret: l’ho resa più vero di quanto non sia!».

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