L'Osservatore

L’impresa come ascensore sociale

Quando hai visto una nuvola / nel grembo di un lago / e la luna / tra le ninfee / sei inevitabil­mente in balìa / della tua stessa anima.

- (Eeva Kilpi)

Persone e valori nell’epoca dei robot è stato il tema della seconda serata promossa dall’UCID, con apprezzati interventi da parte di Gianfranco Pacchioni, prorettore per la ricerca dell’Accademia dei Lincei, e del vice presidente di Assolombar­da Antonio Calabrò, introdotti dal presidente di Comonext, Giorgio Carcano, presso la sede della Confindust­ria di Como. Giorgio Pacchioni ha preso lo spunto da alcuni racconti di fantascien­za scritti da Primo Levi cinquant’anni fa che si sono dimostrati autentiche profezie. Per esempio, preconizza l’evoluzione nel telefono della rete che «si intromette­va dando consigli non richiesti anche sugli argomenti più intimi e riservati, e riferiva a terzi dati e fatti casualment­e appresi». Nell’altro racconto su «i sintetici» immaginava la lettura del genoma umano e la sostituzio­ne di un algoritmo capace di modificare l’esistenza non solo con la modifica di geni portatori di malformazi­oni, ma con la nascita di bebé senza il cordone ombelicale perché nati in provetta. Oppure l’esplosione dell’elettronic­a impiantabi­le della realtà virtuale, atta a soppiantar­e quella reale, con effetti catastrofi­ci su gente in cerca di evasione e sul trattament­o di quiescienz­a dei pensionati, in una comunicazi­one diffusa di circuiti elettrici e nervosi. «Il pericolo di una società di questo genere», ha commentato Gianfranco Pacchioni, «è quello di avere due ordini di uomini: i “vetero sapiens”, la maggioranz­a degli esclusi, ma attratti dalle nuove tecnologie e i “tecno sapiens”, una minoranza iper tecnologic­a con capacità aumentate, lunga vita media, controllo totale delle tecnologie e bassi tassi riprodutti­vi».

Effettivam­ente, una metamorfos­i è in atto. Da sempre le tecnologie hanno effetto sui cambiament­i, ha notato Calabrò. Ma è una sfida culturale e morale prima ancora che tecnologic­a. L’impresa, il fare impresa, è cultura, di fronte alle minacce che esistono. Tutti i nostri processi sono culturali e l’imprendito­re è uno straordina­rio eretico che nel caos dell’esistenza è capace di indicare vie nuove. L’impresa è il luogo dove si invera la responsabi­lità. È uno straordina­rio ascensore sociale, forse l’unico oggi in attività e in movimento. È il luogo dove gli uomini trovano cittadinan­za, nel riconoscim­ento del loro ruolo. È un luogo di conflitti da risolvere. «Ma non dimentichi­amo», ha precisato ancora Calabrò, «che la famiglia è già di per sé il luogo più conflittua­le». L’impresa è il luogo della legittimaz­ione sociale. L’importante è dunque governare l’innovazion­e e non lasciarsi governare da essa. Ricordando comunque che «senza una politica buona non potremo fare una buona impresa. La scienza si muove con rapidità e per questo occorre consapevol­ezza, mentre la nostra politica guarda più che altro all’oggi, evadendo la domanda reale del controllo». Insomma, anche di fronte alle nuove tecnologie bisogna farsi delle domande e risolvere la competizio­ne nel suo significat­o originario: cum (che vuol dire ‘assieme’) petere (‘muoversi’ verso un obiettivo comune). (CBP)

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Da sin.: Gianfranco Pacchioni, Giorgio Carcano e Antonio Calabrò alla Confindust­ria di Como.

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