Luciano Gatti, pittore e poeta semplice
Ci ha lasciato a 87 anni. Una vita intessuta di dipinti e poesie
Ha lavorato, scritto, dipinto. Luciano Gatti è stato un bravo artigiano, mani buone, intelligenti. E un pensiero continuo verso il lato poetico delle cose, della vita. Passando nel suo laboratorio di via Moncucco a Besso, era difficile non trovarlo. Non vedendolo, bastava chiamare perché tra montagne di quadri, sculture e attrezzi vari stava nascosto da qualche parte, chino su una tela o su un legno. E lì ci si guardava attorno tra le decine, centinaia, migliaia di opere che popolavano quello stanzone, il suo laboratorio da una vita. Ha sempre dipinto, ma mostre poche, centellinate. Scarse le occasioni di vedere fuori dal laboratorio le sue tele e tavole ricche di sostanza, colori, figure. Per lo più gruppi di figure, uomini e donne tra loro solidali, una punta di speranza all’interno di situazioni percorse da un sottile pessimismo. E poi le sue sculture, figure ma anche strumenti musicali, perché la musica e il canto sono altre sue grandi passioni; per anni ha diretto il Coro S. Cecilia a Massagno. Tra quadri piccoli e grandi, tra sculture, legno al naturale o dipinto, emergevano come timidi fiori i suoi libri. Piccoli libri, la riproduzione di un dipinto o di una scultura in copertina, poche decine di pagine. Erano, sono raccolte di poesie. Luciano Gatti ne ha pubblicate più di una decina, con editori diversi.
Hanno titoli come: Per poche parole, Quasi… certo, Com’era verde (domande), Controtempo, Calendario senza giorni, Andante prudente, Disordine della parola, Assoluto
ancora, Infratensioni ecc. Centinaia di poesie, le poesie di una vita. Ne parlava poco, anzi niente. Le faceva circolare tra gli amici, le porgeva con quel suo sorriso trattenuto come temendo di osare troppo. Piccoli, preziosi libri intessuti di poesie. Lungo le rotte del silenzio e della discrezione le sue poesie sono state spesso premiate. Come questa intitolata 21 marzo al Premio Silarius, XXXIX edizione. «È una poesia dall’andamento nervoso e scaltrito, che alterna magiche sospensioni, respiri cosmici, mezz’ombre», indica tra l’altro la motivazione. Lui te la consegnava con delicatezza, poche parole, un guizzo gioioso negli occhi. «Chissà se ne scriverò altre». L’ha sempre fatto, così come ha sempre dipinto e scolpito sul bancone tozzo d’artigiano in via Moncucco a Besso.