Democrazia in America: crepuscolo degli dei?
Il Campidoglio non è Hollywood: per questo l’atto reale ma tuttavia simbolico è serio, anche oltre al fatto già grave dei cinque morti. Alla fine non è avvenuto nessun colpo di Stato e la democrazia, per ora, ha già vinto, considerando il fatto che la procedura di ratifica dell’elezione del nuovo presidente – che del resto nella storia americana non è mai stata interrotta, nemmeno durante la Guerra di secessione –, è stata portata a termine, fino alle 4 del mattino. Inoltre è degno di nota che il protagonista di questa vittoria della democrazia è stato un repubblicano, il vicepresidente Mike Pence. Ma ciò che è successo nel frattempo è una vera e propria violazione della costituzione, in quanto l’assalto al Congresso in sostanza non è stato altro che un attacco violento a Parlamento e Senato da parte del presidente.
La simbologia è molto importante, anche o forse proprio per la democrazia. In ciò noi europei possiamo ancora imparare dall’America, soprattutto dopo il 6 gennaio. Surreale, infatti, sembra l’idea del ministro degli esteri tedesco, Heiko Maas, di una sorta di Piano Marshall per la democrazia, che consisterebbe in una riflessione delle democrazie occidentali sulle sfide che attualmente le unisce. Quello che per gli americani passerà alla storia come l’1/6 sicuramente non dà nessun motivo all’Europa di sentirsi superiori agli Stati Uniti – e un veloce parallelismo al 9/11 (l’11 settembre 2001) come secondo grande momento di crisi degli USA sembra, almeno nel momento attuale, esagerato.
Parte della simbologia sono sia l’ipotesi della rimozione del presidente secondo il 25° emendamento della costituzione americana, che però non è stata accolta dal vicepresidente Pence, sia l’impeachment che per forte spinta da parte dei democratici e soprattutto di Nancy Pelosi è stato aperto dal Parlamento questo mercoledì, raccogliendo anche il consenso di qualche rappresentante repubblicano. Molti lo ritenevano senza alternativa, per restituire agli americani la loro fiducia nella democrazia, pilastro essenziale ed indispensabile per la tenuta degli Stati Uniti, ma anche per ristabilire l’immagine del Paese, inscindibilmente identificato con i suoi valori democratici, di fronte al mondo intero. E non da ultimo per il fatto che un presidente che incita all’attacco del Campidoglio non può rimanere impunito per così grave irresponsabilità.
L’impeachment, però, non è affatto senza rischi e potrebbe costituire una costosa ipoteca per la presidenza di Biden (non solo perché bloccherebbe il Senato per i primi mesi della sua presidenza). Infatti lui stesso non ne è un sostenitore. Per valutarne le conseguenze politiche, bisognerebbe considerare che sebbene “The Donald” abbia ottenuto il migliore risultato
elettorale di un repubblicano nella storia americana, dimostrando nel momento delle elezioni una sorprendente compattezza del partito dietro il suo leader, già prima del 6 gennaio stava consolidandosi l’impressione che una volta che fosse uscito dal primo piano della politica, l’“effetto Trump” sui repubblicani si sarebbe smaterializzato e questa tendenza dopo il 1/6 si è ulteriormente rafforzata: «Non c’è mai stato un tradimento più forte al suo giuramento alla Costituzione da parte di un presidente degli Stati Uniti» – così Liz Cheney, una delle rappresentanti più importanti dei repubblicani. Sia se si raggiungerà l’impeachment e per Trump sarà preclusa ogni futura candidatura, sia a maggior ragione qualora sarà bocciato perché non si troveranno i necessari 17 senatori repubblicani favorevoli, si rischierà di ricompattare i repubblicani, sabotando il programma di Biden di costruire ponti e di riunificare la società americana almeno nei primi mesi, fino a metterlo a repentaglio definitivamente.
Ma anche se resta il dubbio se Trump mai dovrà giustificarsi davanti a una corte per l’incitamento all’insurrezione, la sua presidenza si conclude sollevando in modo serio lo stesso problema con cui è iniziata: quale è il rapporto tra politica ed economia, tra il pubblico e il privato, nelle democrazie della tarda modernità? Per quanto possa sembrare moralmente giustificato e giuridicamente possibile che un’azienda privata come Twitter o Facebook chiuda l’account di Trump (ma poi: all’interno di queste aziende chi decide?), in una democrazia il diritto di libertà di opinione può essere limitato soltanto su base legislativa e con rispettive premesse del legislatore. Cosa risponderebbero Marc Zucker(head of site inteberg e Yoel Roth grity
di Twitter) alla domanda perché non bloccano Erdogan, Putin o Khomeyni, Maduro o Bolsonaro? Oppure con la sospensione di Trump hanno già oltrepassato una red line
iniziando a fare politica ma senza legittimazione democratica?
La volontà del popolo, intanto, sembra chiara: dopo un solo mandato di presidenza Trump, i repubblicani hanno perso, dopo la Camera dei Rappresentanti, anche la Casa Bianca e il Senato insieme – mai più successo dal 1892. Resta come fatto preoccupante della tenuta sociale degli Stati Uniti la spaccatura profonda, e per la prima volta si ha l’impressione che la democrazia americana, sin dai tempi della sua grandiosa descrizione di Alexis de Tocqueville nel 18351840 la vera garanzia dell’unità del popolo, non riesca più a tenerla insieme. La spaccatura divenuta palese l’1/6 è alimentata da una rabbia e sfiducia contro la democrazia e le sue istituzioni che testimonia e certifica infine il calo di cultura pubblica e politica che le società occidentali registrano da molto tempo e che esclude una fetta sempre più consistente della popolazione dalla partecipazione politica – mentre d’altro canto la stessa politica viene vista come gioco elitario di pochi. Certamente l’assalto Capitol Hill al potrebbe costituire solo una momentanea paura, che però non farebbe presagire molto di buono. Potrebbe essere un vaticinio per le democrazie occidentali tutte, che sono in cerca di nuovi narrativi per poter unire una popolazione la cui struttura sociale è completamente cambiata rispetto al loro periodo di formazione ed affermazione. All’amministrazione Biden c’è da augurare di trovarli, per il bene di tutte le democrazie occidentali.