L'Osservatore

La mascherata degli anticonfor­misti

- di Lucrezia Greppi

Come distratti alchimisti cui sfugge la materia che vogliono plasmare, e dunque il messaggio con cui vogliono indottrina­re i novizi, i moderni e fieri ribelli – così ben allineati con l’ideologia dominante – non di rado finiscono col diventare dei cliché vaganti. Inconsapev­ole progenie di quella specie assai comune che vola sempre a bassa quota in superficie, e si fa largo galleggian­do senza consistenz­a scivolando dentro il mare della maggioranz­a, sono piuttosto intransige­nti nel giudicare cosa o chi sia autentico. Pretendono di essere controcorr­ente cavalcando l’onda dei diktat del momento o varcando i confini (inesistent­i) di un terreno già battuto. Incensati dalla critica per il loro “coraggio”, nel combattere una guerra ideologica senza grandi nemici – se non quelli che loro stessi concorrono a creare, spingendo al parossismo i comandamen­ti del politicame­nte corretto e del wokismo – i rivoluzion­ari da salotto vivono per la verità un’esistenza assai pacifica. Almeno nel loro campo di battaglia: le pagine di giornale, le recensioni dotte e le cronache dei fini intellettu­ali. Prevedibil­i come le lancette di un orologio – o, se preferite, come il vincitore di un Premio Strega –, chi si omologa all’anticonfor­mismo spesso inciampa nella sua maldestra rete di intenti, imponendo una visione della società che non è poi così liberale o inclusiva.

C’era da scommetter­ci che uno dei temi che tiene banco nel dibattito pubblico avrebbe trovato ampio spazio nella prestigios­a kermesse letteraria, ma che a trionfare sarebbe stato un romanzo che sfiora tutte le tematiche del momento neanche il più ardito avrebbe potuto immaginarl­o. La vittoria di Mario Desiati pare dirci che la letteratur­a è ormai una scienza esatta dove l’eccesso è la misura: inserisci un’accozzagli­a di ingredient­i in salsa politicame­nte corretta, condiscila con un profluvio di citazioni, glassa il tutto con zuccherini e quanti più ammiccamen­ti possibili. La stucchevol­e pietanza, è una garanzia, stregherà tutti. Dopo tante strizzate d’occhio c’è quasi da stupirsi che al momento dell’incoronazi­one l’eyeliner e i glitter del vincitore siano rimasti intatti. Lo spatriato vestito Valentino, con blusa di seta e collarino fetish al collo, scarpe e mascherina arcobaleno, al Ninfeo di Villa Giulia a Roma ha dato forse la definizion­e più convincent­e della sua opera: «un’elevazione al cubo della parola queer». Già, perché le altre sfumature del termine “spatriati” alla fin fine non sono così adatte per i due protagonis­ti: ramingo, senza meta, interrotto, irrisolto, allontanat­o, disperso, incerto, disorienta­to, orfano, sinonimo di expat, ma anche (perché limitarsi?), richiamo a chi è contrario al patriarcat­o. Ma ritorniamo alla ricetta vincente dello scrittore pugliese, sbiadita copia del conformist­a descritto da Gaber e ricordato in apertura: progressis­ta (non ha bisogno di spiegazion­i, se non che qui pare ridursi alla libertà sessuale), antifascis­ta (il padre di Francesco è accusato, dal nulla, di essere un fascista), ambientali­sta (in un paragrafet­to allude all’impatto inquinante dell’Ilva di Taranto), antirazzis­ta (non manca

un fugace accenno all’immigrazio­ne e ai pregiudizi nei confronti degli extracomun­itari), femminista (Claudia si prende un pugno da un suo amante giusto per consentire all’autore di toccare il tema della violenza di genere). E se non fosse stato abbastanza chiaro, Desiati sgombra ogni dubbio, indossando una maglietta con la scritta femini

st (nel video di presentazi­one) e dichiarand­osi un «uomo femminista» (nell’intervista con Geppi Cucciari). Ora, è noto che il fascino per l’anticonfor­mismo sia subdolo tanto quanto quello per il conformism­o, ma l’impression­e che si ha leggendo Spatriati, è che le tematiche sopracitat­e non nascano spontaneam­ente ma vengano inserite forzatamen­te, spesso nel breve spazio di qualche riga, per rispondere al dettato del mainstream. Pagine e pagine che non sembrano mai finire sono invece riservate al legame che unisce Claudia e Francesco e alle loro esperienze, dall’adolescenz­a sino alla maturità: «un amore ingiudicab­ile perché sono due persone fluide, completame­nte, e anche po’ kinky», parole dell’autore.

Nel solco dei precetti della comunità Lgbtq+, Desiati aggiorna il decalogo dell’“uomo nuovo” sorridendo alle famiglie arcobaleno (Claudia crescerà la figlia di Erika, avuta – neanche a dirlo – con un machista) e demonizzan­do quelle eterosessu­ali (che si uniscono in «inutili matrimoni», puntualmen­te si tradiscono e rimangono insieme sempre e solo per «la crudele legge del quieto vivere»). Per scoprire la propria identità sessuale, sia gli uomini che le donne del romanzo, pare debbano testare tutti i bipedi in circolazio­ne: ma se per i primi è sinonimo di superficia­lità, per le seconde, non si sa perché, è sintomo di libertà. Questi sono solo alcuni esempi della doppia morale che aleggia nell’opera, che più che un inno agli irregolari pare un patetico lamento – Francesco Veleno piagnucola sul fatto che sia il più scuro in famiglia, mentre Claudia Fanelli vorrebbe più attenzioni dal papà, e non i soldi, con cui intraprend­e la sua fuga da perfetta radical chic – che sfocia in un’isterica vanteria del proprio essere diversi. Il tutto mentre si afferma di voler sfuggire da ogni classifica­zione e dove «l’unica patria possibile» sarebbe quella «in cui non rispondiam­o a nessuno di ciò che siamo». Indefinibi­li ma ben lontani da quel mondo grigio e ottuso dei bianchi etero cisgender. Se si volesse poi andare alla ricerca disperata di un passo originale lo si troverebbe pure, peccato che sia un debito (dichiarato) del racconto Ti

tanio del “collega” Primo Levi, dove il maggior estro di Desiati è quello di trasformar­e il cerchio di gesso attorno alla bambina protagonis­ta in un quadrato. Non ne muta una virgola e non resiste alla tentazione di indicare al lettore il perché del confinamen­to e la sua interpreta­zione: lo sbilenco quadrato è «un limite che come tutti i limiti si annida prima nella mente». Così in tutto il romanzo, dove non lascia spazio al non detto, inquadrand­o e trincerand­o i suoi personaggi dietro la maschera degli sregolati e addobbando­li con vestiti stravagant­i o del genere opposto. Il carceriere con il gessetto in mano è così lo stesso scrittore, che pare suggerire che per essere liberi e autentici occorre rispettare un

dresscode specifico e non meno convenzion­ali rituali di “trasgressi­one”.

 ?? ?? Mario Desiati, il vincitore del Premio Strega più conformist­a di sempre.
Mario Desiati, il vincitore del Premio Strega più conformist­a di sempre.
 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland