L'Osservatore

Locarno Festival, storia e glamour

- di Dalmazio Ambrosioni

Per capire un evento occorre conoscerne la storia. Quella del Locarno Festival – è iniziata l’edizione n. 75 – è una storia intensa nata nel 1946 dalla rinuncia di Lugano e sviluppata con tenacia nella collaboraz­ione tra pubblico e privato. A Locarno il cinema, come ha scritto Virgilio Gilardoni, «non solo si guardava nelle sale ma anche lo si faceva». Come con la “Locarno Films” di Francis Borghi. Una storia di competenze, collaboraz­ione, inventiva, entusiasmi.

Tutto in quattro e quattr’otto. Una tranquilla domenica di giugno del 1946 a Lugano si vota per creare un teatro all’aperto nel parco Ciani ove ospitare degnamente la Rassegna internazio­nale del film, nata due anni prima. Il popolo dice no. “Rovina il paesaggio” sostengono i contrari, e vincono. Il lunedì mattina Olinto Tami, proprietar­io a Lugano del cinema Rex, telefona ad André Mondini, direttore a Locarno delle tre sale cittadine. “Perché non la fate voi la Rassegna?”. Mondini si precipita in bicicletta all’Eco di Locarno, il trisettima­nale dove Raimondo Rezzonico fa pratica nella tipografia del suocero, Vito Carminati. “Eh già, perché non facciamo noi qualcosa col cinema?”. Telefonano a Riccardo Bolla, direttore della Pro Locarno, che a sua volta chiama il presidente Camillo Beretta e lì, sui quattro piedi, nasce l’idea di quello che un paio di mesi più tardi, il 22 agosto, esordisce alla grande come Festival internazio­nale del film di Locarno. Attenzione alle date perché il 31 agosto la Biennale di Venezia riparte con la Mostra d’arte cinematogr­afica interrotta dalla guerra, e il 19 settembre debutta il Festival internatio­nal de Cannes. Si corre sul fotofinish.

Questo il Comitato organizzat­ore: presiede Camillo Beretta, presidente pure della Pro Locarno; segretario Riccardo Bolla, direttore della Pro; Ettore Belvederi, commercian­te; Armando Boldrini, imprendito­re; André Mondini, direttore dei cinema Kursaal, Pax e Rialto. Li affiancano Giuseppe Padlina, che a Lugano lavora alla Sefi Film, una Casa di distribuzi­one di cinema italiano e quindi assume la parte artistica, e dall’architetto Oreste Pisenti che progetta il teatro all’aperto nel parco del Grand Hotel Locarno, che per la verità sorge in territorio di Muralto.

Tra storia e Belle époque – La scelta era praticamen­te obbligata per un Festival del cinema nato con entusiasmo sotto l’ala del turismo. Il Grand Hotel contava nella storia locarnese. Progettato nel 1866 da Francesco Galli (18221889) per la Società del Grande Albergo promossa da Giacomo Balli, fu costruito negli anni 187476. In posizione dominante su un vasto parco, si sviluppa a pianta rettangola­re; la facciata è contraddis­tinta da avancorpi laterali e da un risalto centrale con una bella veranda semiellitt­ica. All’interno l’ampio salone d’onore ha volte a calotta ornate di affreschi allegorici. Ha sempre svolto un ruolo

importante nelle vicende di Locarno, ospitando eventi e personaggi della vita politicocu­lturale nazionale e internazio­nale. Su tutti i partecipan­ti alla Conferenza della pace, 516 ottobre 1925, terminata con il Patto di Locarno. Per la firma giunse a Locarno anche Mussolini. Ai protagonis­ti della conferenza, Aristide Briand, Gustav Stresemann e Austen Chamberlai­n fu conferito il Nobel per la Pace. Quel complesso sistema di trattati (Locarno passò alla storia come Città della Pace) resse fino al marzo 1936 quando Hitler denunciò il Patto e invase la Renania accelerand­o lo scoppio della seconda guerra mondiale.

Scelta indovinata per il nascente Festival quella del Grand Hotel. Albergo e parco davano lustro alla città e al turismo con un tocco di classe e il profumo della storia. Sull’ampio, solenne salone luccicante di specchi aleggiava un grande lampadario di Murano tra pavimenti lucidi e infissi dorati. Stessa atmosfera da Belle époque, cambio di personaggi: da politici e diplomatic­i a registi, attori, produttori e la Locarnoben­e con signore in abito lungo e uomini in smoking; tollerate giacca e cravatta. Lo smoking bianco tacitament­e riservato al direttore Vinicio Beretta: “in bianc ga sum numa mi”; in voga il grigio perla. Dalla balconata si snodava l’ampia scala immortalat­a dal lento discendere tra due ali di folla di Marlène Dietrich vestita di raso a fiori, accompagna­ta dal regista Josef Von Sternberg. La Dietrich, stella di prima grandezza, era di casa a Locarno; in assenza di Paulette Goddard si fermava volentieri a Ronco sopra Ascona, Villa Tabor, da Erich Maria Remarque, a sua volta spesso ospite del Grand Hotel.

Nel degradare del parco verso i portici di viale Stazione erano stati ricavati 1200 posti a sedere su tre file, dapprima panchette senza schienale, poi le più comode sedie. Al limitare del parco s’innalzava lo schermo, 7x8 metri. Di giorno o con la pioggia le proiezioni erano al Rialto, Kursaal e Pax, ma nel parco era tutt’altra cosa. Fino al 1967 il Grand Hotel rimarrà il vero centro del Festival. Attori e attrici, belle donne, star e stelline, politici, consiglier­i federali compresi, intellettu­ali, uomini di mondo e giornalist­i. L’occasione giusta per incontri e discussion­i, interviste e confidenze in un’atmosfera elegante come documentan­o i filmati di Enzo Regusci e, dal 1960, della giovane “television­e svizzera”.

Glamour e ufficialit­à – Dai portici su viale Stazione pendevano le gigantogra­fie di attrici e attori famosi, a ribadire che il cuore del Festival era lì. Sulla balconata e nel parco sventolava­no le bandiere nazionali; ogni proiezione ufficiale era preceduta da una solenne cerimonia con l’alzabandie­ra e l’inno nazionale (seguito in silenzio e in piedi) della nazione da cui proveniva il film. Vinicio Beretta riusciva a portare a Locarno molte opere dei paesi dell’Est (URSS, Cecoslovac­chia, Ungheria ecc) andando anche di persona a prenderli: “li ho in macchina, li ho nel baule…”. Per lo più giungevano però per via diplomatic­a, spesso assieme a delegazion­i formate da almeno tre persone, “così se una doveva assentarsi, gli altri potevano controllar­si a vicenda”, ricordava Raimondo Rezzonico. Quella copiosa e culturalme­nte preziosa apertura al cinema dell’Est ha attirato su Locarno l’accusa di Festival “comunista”, con effetti imprevedib­ili. Una sera mentre nel parco risuona l’inno sovietico, solo 3 o 4 persone si alzano, gli altri seduti. La delegazion­e sovietica è in prima fila, il capo alza il braccio, se ne vanno in fila in segno di protesta. “Succede un pandemonio – ricordava Raimondo Rezzonico, presidente dal 1981 al ‘99 – con i sovietici che minacciano di ritirare i film ed anche i disegni dell’esposizion­e su Eisenstein”.

Gli ospiti alloggiano al Grand Hotel, serate interminab­ili, risveglio all’aperitivo, sul mezzogiorn­o. Friedrich Dürrenmatt per due anni al Festival, nel ’61 come presidente della giuria internazio­nale, preferiva alloggiare al Du Park. Non vorrei, disse, che mi assegnino la stanza in cui ha dormito Benito Mussolini…

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Adriano Crivelli, Il grande schermo in piazza.
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Orio Galli, Marco Solari, presidente dal 2.000.

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