Luca Serianni, il linguista gentile
Da alcuni anni ho preso l’abitudine, al venir meno di un intellettuale o di uno scrittore importante, di acquistare un suo libro nel momento esatto della sua scomparsa. Il gesto è inteso non tanto a completare una collezione in taluni casi già molto ben avviata, quanto a tenerne viva il più possibile la memoria con una forma di omaggio che dice innanzitutto “non finisce qui”. Tra il serio e il faceto mi dico che quest’estate 2022 rischia di risultare piuttosto costosa: Boris Pahor (30 maggio), Patrizia Cavalli (21 giugno), Raffaele La Capria (26 giugno), Eugenio Scalfari (14 luglio), Luca Serianni (21 luglio), Pietro Citati (28 luglio), e ho il sospetto che la lista potrebbe allungarsi ancora.
È giusto chiedersi che cosa vada perso e che cosa rimanga – domanda peraltro sempre legittima – quando una persona non c’è più, soprattutto in relazione a chi, come uno scrittore o uno studioso, pur lavorando nel presente vive in qualche modo già proiettato nel futuro, in quella dimensione ulteriore rappresentata dalle idee che perdurano oltre una pur lunga esistenza terrena. Nel caso di Luca Serianni mi chiedo quanto sopravviverà, nei suoi testi, della sua innata e incomparabile gentilezza, un tratto che in molti abbiamo avuto il privilegio di sperimentare e che ne definiva così inconfondibilmente la figura (si potrà forse ovviare con i numerosi video di sue lezioni che hanno già cominciato a circolare su youtube).
Poiché è passato oramai qualche giorno dalla sua scomparsa, avvenuta per un banale incidente stradale a pochi metri dalla sua casa di Ostia (lui diligentemente sulle strisce pedonali), in luogo del consueto riassunto di una brillante carriera intellettuale si potrebbe provare a svolgere l’esercizio opposto, partendo dai numerosissimi articoli in memoria apparsi sulla stampa. Colpisce, innanzitutto, la trasversalità e la sincerità del compianto, perché davvero Serianni era riuscito a lasciare il segno nei più diversi ambiti e presso un pubblico che, per un linguista e un accademico, non si poteva desiderare più ampio. Così come lui vedeva nella lingua il vero spazio della democrazia e l’espressione potenziale del più alto senso civico, così la sua persona aveva finito per incarnare nei fatti quello stesso ideale.
Il principale allievo Giuseppe Antonelli ne ha ricordato sul Corriere della Sera le straordinarie capacità didattiche, che spalancavano negli studenti orizzonti di senso a partire dai più piccoli fenomeni linguistici; da un’altra prospettiva, Andrea Riccardi ha sottolineato su Avvenire la generosità del cattolico Serianni, attivo in ambito parrocchiale e nella Comunità di Sant’Egidio, sempre pronto a intervenire di persona nei contesti più umili del sobborgo romano in cui aveva deciso di abitare. E poiché è stato anche amico della Svizzera italiana, non potevano mancare contributi in prospettiva locale, come la bella e articolata pagina di Enrico Roggia apparsa su La Regione e il più recente ricordo di Flavio Catenazzi e Alessandra Moretti per Naufraghi, tutti testi accomunati dal più vivo senso di gratitudine per la disponibilità di Serianni nei confronti del mondo culturale e scolastico ticinese, dalle medie all’università.