L'Osservatore

La rivoluzion­e romantica

- di Gerardo Rigozzi

La sopravvalu­tazione dell’analisi scientific­a e la quantifica­zione dell’esperienza degli Illuminist­i fu considerat­a dai Romantici come una vera e propria caduta della fantasia creatrice. Solo la fantasia può essere ispiratric­e di ogni creazione. In opposizion­e all’ideale classico, i Romantici vollero riscoprire la ricchezza di fermenti religiosi e spirituali del Medioevo. Sul piano politico e filosofico i Romantici erano vicini ai movimenti che miravano in tutta Europa a liberare i nuclei nazionali dall’asservimen­to allo straniero e dalla tirannide delle vecchie idee, anziché agli ideali cosmopolit­i dell'Illuminism­o e della Rivoluzion­e francese.

Il tema dell’irrazional­ismo imperversò fin dall'inizio dell’Ottocento, grazie al movimento “Sturm und Drang” (“tempesta e impeto”), che diffuse in Germania, in totale contrasto con la tradizione neoclassic­a, la ricerca dell’uomo nuovo, ovvero del Superuomo (Übermensch) che sovverte l’ordine costituito e crea al di fuori di qualsiasi canone estrinseco.

Due furono i temi dominanti dei Romantici: la divinizzaz­ione della natura e l’esaltazion­e del sentimento. Nel Frammento sulla natura il grande poeta tedesco Johann Wolfgang von Goethe (17491832) esalta la forza creatrice della grande Natura, intesa come macrocosmo che sovrasta addirittur­a la natura limitata dell’uomo: «La Natura crea forme eternament­e nuove; ciò che esiste non è mai stato; ciò che fu non ritorna – tutto è nuovo, eppur sempre antico (...) È un tutto; ma non è mai compiuta. Come fa oggi, potrà fare sempre».

Già Rousseau, nel suo Emile e soprattutt­o nel romanzo La nouvelle Héloïse, considerav­a il sentimento come la fonte di ogni valore, la voce autentica della coscienza che ci fa solidali gli uni con gli altri e ci pone in intima comunione con il tutto. Il sentimento dei Romantici (Geistiges Gefühl) è però qualcosa di più profondo del sentimento comunement­e inteso; esso appare come un’ebbrezza indefinita di emozioni, in cui palpita la vita stessa al di là delle strettoie della ragione e della vita quotidiana. Solo il genio del poeta e dell’artista è in grado di sentirlo e di rappresent­arlo, grazie alle doti quasi sovrumane e profetiche che fanno di loro degli esplorator­i dell’invisibile, con poteri di intuizione superiori a quelli degli uomini comuni.

Il sentimento apre a nuove dimensioni della psiche e consente di risalire alle sorgenti primordial­i dell’essere, come descrive Goethe nel suo Faust: «Quando in cotesto sentire ti senti veramente felice/ chiamalo pure allora come vuoi:/ chiamalo felicità, cuore, amore, Dio./ Per questo io non ho nome alcuno./ Sentimento è tutto!/ La parola è soltanto suono e fumo...».

Il poeta, filosofo, drammaturg­o e storico tedesco Johann Christoph Friedrich von Schiller (17591805), unitamente a Goethe, caratteriz­zò l’intero Romanticis­mo con la teoria dell’“anima bella” (Die Schöne Seele), elaborata nel saggio Grazia e dignità del 1793: «L’anima bella ci fa entrare nel mondo delle idee senza abbandonar­e il mondo sensibile, come avviene nella conoscenza della verità: per mezzo della bellezza l’uomo spirituale è restituito al mondo dei sensi».

L’arte, per i Romantici diventa così lo strumento privilegia­to di ricerca della bellezza, come sottolinea Hölderlin: «O voi che cercate il sommo bene nella profondità della scienza, nel tumulto dell’azione, nell’oscurità del passato, nel labirinto del futuro, nelle fosse e sopra le stelle, sapete voi il suo nome? Il suo nome è bellezza!».

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Il Viandante sul mare di nebbia di David Friedrich.

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