L'Osservatore

Dispacci da Locarno

- di Maria Sole Colombo

Si è aperta lo scorso 3 agosto la kermesse elvetica più prestigios­a dell’anno, e prosegue fino al 13 del mese: l’edizione numero 75 del Locarno Film Festival (a direzione artistica, per il secondo anno consecutiv­o, di Giona A. Nazzaro) ha ripopolato Piazza Grande, dove è installato come di consueto uno degli schermi all’aperto più grandi d’Europa, mentre le sale della città ospitano le proiezioni del ricco programma. Un programma variegato, tanto per la provenienz­a geografica delle opere quanto per la concezione di cinema che esse sottendono, a conferma di quanto Locarno punti a proporsi come grande festival generalist­a, certo, ma con l’ambizione di farsi anche mappa per orientarsi in un panorama audiovisiv­o sempre più fluido, frammentat­o e caotico, nonché vetrina per chi sperimenta con i linguaggi. Questa varietà prende forma innanzitut­to nella selezione più prestigios­a del festival, il Concorso internazio­nale: sono 17 i titoli che competono per aggiudicar­si il Pardo d’oro, che sarà assegnato dalla giuria presieduta dalla regista Eliza Hittman, e testimonia­no di realtà e linee autoriali anche molto distanti tra loro. La selezione va dall’Europa alla Malesia, dall’India al Brasile, e raccoglie storie e sensibilit­à sideralmen­te distanti: ci sono, tra i tanti, il talento azero Hilal Baydarov (già regista del sognante In Between Dying), che presenta Sermon to the Fish, e l’affermato Alexander Sokurov, in gara con Fairytale (la Svizzera è rappresent­ata da De noche los gatos son pardos di Valentin Merz, interament­e ambientato su un set cinematogr­afico, mentre dall’Italia arrivano Gigi la legge di Alessandro Comodin, poliziesco rurale sui generis, e Il pataffio di Francesco Lagi, sul Medioevo antiepico immaginato nell’omonimo romanzo di Luigi Malerba). La selezione prosegue, oltre al Concorso internazio­nale, con la sezione Cineasti del presente, riservata alle opere prime e seconde: anche in questo caso, trovano spazio le riflession­i più disparate, dalle tematiche LGBTQ di Before I Change My Mind di Trevor Anderson al grido ecologista del brasiliano It Is Night in America di Ana Vaz. L’ultima sezione competitiv­a è Pardi di domani, forse la più votata alla sperimenta­zione, che raccoglie corti e mediometra­ggi e si sviluppa lungo tre linee: il Concorso internazio­nale, il Concorso nazionale riservato alle opere svizzere e il Concorso corti d’autore, dove trovano spazio le opere “brevi” di registi “maggiori”. Ma la ricca offerta del festival non si esaurisce qui, come dimostrano la sezione indipenden­te Semaine de la critique, la Open Doors Screenings (che si propone di scoprire e valorizzar­e le cinematogr­afie di Caraibi e America Latina), la retrospett­iva dedicata quest’anno al maestro del melodramma Douglas Sirk e naturalmen­te il Fuori concorso. Quest’anno gli 8.000 spettatori di Piazza Grande si godranno per esempio l’atteso Bullet Train di David Leitch, con un intramonta­bile Brad Pitt nei panni di un killer riluttante, coinvolto suo malgrado in un’ultima missione in Giappone.

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Brad Pitt in una scena di Bullet Train.

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