In un romanzo la storia di Lilly Volkart
Lilly: un nome «sottile, pastoso, di quelli che si infilano dappertutto, sulle mensole in cucina tra i piatti o nella legnaia tra i ceppi più grossi»; un nome, insomma, che sa di buono, di “casa”. Così viene definita, sin dalle prime pagine, a raccoglierne l’essenza più vera, la protagonista del nuovo romanzo di Mattia Bertoldi, Il coraggio di Lilly (edizioni Tre60). Una storia, quella che costella la vicenda umana di Lilly Volkart (18971988) – nome noto ai più nell’Ascona degli anni Quaranta per aver offerto riparo a centinaia di bambini esuli dalla guerra, ebrei e non solo – fatta di grandi nomi: l’amico Hermann Hesse, ad esempio, il quale le rivela il senso del suo impegno – quello di non essere solo un rifugio sicuro in tempi incerti ma di stare accanto a ogni singolo bambino affinché ritrovi la sua voce, il proprio modo di stare al mondo, la propria vocazione – ma anche, tra le persone incontrate a Zurigo, Ignazio Silone, l’autore di Fontamara, testo che accompagnerà Volkart lungo tutta la sua vita e che le ricorderà perpetuamente il valore della “resistenza”. Resistenza all’irruenza della guerra, certo, ma anche ai colpi di un destino infausto, come raccontato da Bertoldi che ha avvicinato Lilly attraverso i documenti d’archivio: la perdita prematura di un figlio, concepito con un uomo poi morto in trincea; le difficoltà economiche; il rifiuto del padre, che si immaginava per la figlia un destino diverso. È proprio sulla scorta di questa identità in cerca di un centro, che Volkart giunge ad Ascona, dapprima per accudire i figli delle famiglie benestanti e poi, allo scoppio della Seconda guerra mondiale, acconsentendo a una richiesta che le viene fatta da più parti, per spendersi fino alla fine regalando un angolo di felicità a chi ha perso il calore di una casa a causa del conflitto. Ne nasce una comunità internazionale: genitori perseguitati dai regimi che vogliono nascondere i figli e li affidano alle sue cure ma anche figli di ticinesi colpiti da povertà, che necessitano di attenzione tanto quanto i primi. Tra questi Ettore, giovane irruente di Gadero, colpito dalla piaga della miseria e costretto a riparare da Lilly; la piccola Dora, apparentemente muta dalla nascita, che ritrova se stessa nell’atto della scrittura e nell’abilità – emblematica – di saper ricucire i calzini rotti, proprio come si suturerebbero le ferite più profonde; l’italiano Ranieri, affascinato dal mondo della magia e geloso custode di un mazzo di carte regalatogli dal padre prima del distacco, col quale incanta i piccoli ospiti di Lilly, ed anche la piccola Dora, aiutandola a superare la sua timidezza. Una sorta di “canto”, tramato nel fitto delle loro storie, invita il lettore a seguire un percorso immaginario di rinascita di ciascuno di questi piccoli ospiti e forse di Lilly stessa. Sarà infatti lei per prima, alla fine, a doversi ricredere su questi bambini: non tanto e non solo esseri fragili da custodire ad ogni costo, bensì creature capaci di accogliere il dolore e, a loro modo, di trasformarlo, senza che la cruda verità della guerra debba essere loro nascosta. Soprattutto va insegnato loro il valore di ciò che rimane oltre la sofferenza: i ricordi densi di gratitudine per chi ha evitato il peggio, accettando di custodire una memoria trafitta, eppure ricolma di gesti che dicono la salvezza. «È vero – esclama Lilly davanti ai suoi ragazzi – succedono cose terribili. Ci sono le bombe, ci sono gli spari, ci sono luoghi così brutti da voler chiudere gli occhi e sperare di non ricordarli più. Ma di fronte a fatti così brutti, ci sono ancora uomini e donne dal cuore buono. I vostri genitori, i parenti e gli amici che vi hanno tenuto al sicuro mentre attendevate di fuggire. Chi vi ha aiutato lungo il cammino, chi vi ha portato sin qui. E chi vi dà da mangiare e vi dà una mano adesso, ogni giorno».
Mattia Bertoldi Il coraggio di Lilly Tre60, 2022