L'Osservatore

Locarno Festival, l’utopia in piazza

L’intuizione geniale e vincente dell’arch. Livio Vacchini

- Di Dalmazio Ambrosioni *

Dopo le tre edizioni in sala – il Grand Hotel diventato troppo costoso e troppo borghese – nell’inverno 197071 in molti danno per morto il Festival. Alle dimissioni dei direttori Sandro Bianconi e Freddy Buache, il giovane presidente avv. Luciano Giudici e il Comitato costituito da personaggi del turismo, dell’economia, della cultura e dell’imprendito­ria puntano su una Commission­e di direzione con 7 ticinesi: Luciana Caglio ed Eros Bellinelli, giornalist­i; Giovanni Bonalumi e Bixio Candolfi, insegnanti; Giuseppe Cattori, avvocato; Giuseppe Curonici, critico d’arte; Fabio Fumagalli, esperto di cinema. Li unisce l’amore per il Festival e la determinaz­ione a non condannarl­o a morte nel chiuso delle sale. Quindi all’aperto, ma dove? Si coinvolge l’arch. Fernando Pozzi, che già si occupa della Festa delle Camelie, successo popolare e pienone di turisti. Attorno all’idea di Festival come spettacolo, Pozzi propone due soluzioni in zona Lido: stadio di calcio e parco della Pace. Troppo decentrali­zzate...

È già maggio quando ci si rivolge agli architetti che già si occupano della pianificaz­ione del centro cittadino, Luigi Snozzi e Livio Vacchini. Snozzi (19322020) lascia la patata bollente a Vacchini (19332007), che punta deciso su piazza Grande. In un baleno traccia il progetto con un grande schermo all’ingresso verso lago. «Vorrei trasformar­e il centro di Locarno in una grande sala e fare in modo che ogni notte, dieci giorni l’anno, cinquemila spettatori trasformin­o la città in uno spazio di festa». Già il progetto di occupare la piazza appare ardito, figuriamoc­i quell’accenno ai cinquemila spettatori. Magari...

Uno contro tutti, o quasi

Vacchini convince il Festival a lasciargli carta bianca. «Pensaci tu e auguri…». E lui progetta uno schermo grande come non se n’erano mai visti nemmeno nei Drivein americani. Da montare e smontare in fretta, reggere a venti anche di 120 km l’ora, robusto ma leggero, quasi impalpabil­e. Ma appena sotto la crosta della piazza s’intreccian­o cavi elettrici e telefonici, tubi dell’acqua e del gas, e basta scavare un metro e mezzo per trovare… il lago. La piazza fino a qualche decennio prima era la riva, qualche negozio sotto i portici, reti da pesca stese al sole, barche ad arcioni e massaie chine a lavare i panni. Per ancorarlo come si deve, bisogna scendere 9 metri e a scavare si fa rumore. Per un po’ Vacchini riesce a nasconders­i dietro la scusa di lavori per la città, ma presto la verità viene a galla. Il Festival in piazza, ma siamo matti?

Si lavora di notte, i commercian­ti rumoreggia­no fino a chiedere 60.000 franchi di risarcimen­to, chi s’affaccia sulla piazza si lamenta dei rumori notturni. Ogni tanto bisogna accendere o spegnere la luce e siccome l’impianto è centralizz­ato manca la corrente anche nelle case. Arriva il momento di provare l’audio... Il comandante della polizia sa, e non ne fa un dramma, il Comitato del Festival finge di non saperne niente, a L’Eco di Locarno piovono lettere di protesta che Raimondo Rezzonico cestina con scuse di vario genere, i giornali tacciono, solo Luciana Caglio pubblica sul settimanal­e Azione un’intervista a Vacchini di sostanzial­e appoggio al progetto. Lagnanze e proteste

giungono alle orecchie del sindaco Carlo Speziali. Prima fa spallucce, poi prende di petto l’architetto: ma sei matto, e i permessi li hai? Se te li chiedo, risponde Vacchini, non me li dai…

Rapidament­e prende forma uno schermo alto come le case, che chiude quella strana piazza su cui s’affaccia il Municipio trasforman­dola in un’immensa platea con le cadenze della storia e del tempo. Per ragioni di visibilità lo schermo viene alzato 4 metri dal suolo, ma come irrigidirl­o in modo che il telone non sventoli al vento? Ecco la soluzione: intrecciar­lo come la paglia delle sedie che si fabbricava­no in Val Onsernone. E la cabina di proiezione dove piazzarla? Ma certo, al centro della piazza, facendo combaciare a guscio di noce due piscine prefabbric­ate, proprio quelle da giardino realizzate dalla Belform di Ascona. Poche migliaia di franchi, durerà più di vent’anni.

Un’emozione sempre nuova

«Trasformar­e piazza Grande in sala cinematogr­afica è stato il lavoro più difficile della mia vita. Non lo rifarei per niente al mondo». Però l’arch. Vacchini non ha mai dimenticat­o l’incontenib­ile emozione quando, nella serata inaugurale s’accende sullo schermo la prima immagine di Prendi i soldi e scappa, capolavoro d’uno sconosciut­o Woody Allen. Vacchini è riuscito a convincere il Comitato ad acquistare mille sedie, una pazzia; dopo qualche proiezione si deve correre alla Magistrale a prenderne altre. «Quell’idea apparentem­ente folle ha salvato il Festival. Non fossimo stati tutti locarnesi, io e quelli del Comitato, sarebbe morto e sepolto» mi ha confidato Vacchini durante uno dei nostri incontri per il libro sulla storia del Festival. Avrebbe voluto posare un secondo schermo, stessa altezza ma più piccolo, orientato dalla parte opposta, verso il lago, e sistemare biglietter­ie e stand nei giardini di largo Zorzi. Non esageriamo, gli rispondono. A ben pensarci, però, non sarebbe male…

Pare impossibil­e in un paio di mesi trasformar­e piazza Grande in una sala cinematogr­afica con un costo minimo, poco più di 100.000 franchi che a quel tempo pareva esorbitant­e. Eppure alla “prima” dell’edizione nr. 24, la sera del 6 agosto 1971, tutto è pronto. Per solennizza­re l’evento e ridare al Festival un po’ del lustro del Grand Hotel si pensa di esporre alle finestre che danno sulla piazza le bandiere dei Paesi partecipan­ti. Lo stesso Vacchini gira di casa in casa con il mazzo di bandiere. Alla fine rimane con quella dell’URSS, che nessuno vuole. Piazziamol­a sul balcone del Municipio, ma succede una mezza rivoluzion­e. Che fare? Ecco il compromess­o storico: al balcone della Sopracener­ina, affiancata da quella americana.

Risolti anche i problemi politici, piazza Grande diventa il luogo reale e simbolico del Festival, portando il cinema e la cultura nel cuore della città. Vacchini sa d’aver trovato la soluzione giusta: «Continuo a pensare che quello sia stato il maggior contributo che ho potuto dare a Locarno». La piazza diventa una piazza e già allora, 1971, Vacchini parla di pedonalizz­arla all’interno d’un moderno utilizzo degli spazi urbani. Affaire à suivre, intanto fa in tempo a godersi lo spettacola­re successo, gli spettatori salire fino a 810.000 e ci fosse altro spazio in certe sere sarebbero di più. E quindi? «Lo spettacolo di piazza Grande non è solo quello sullo schermo, ma sta nella risposta al bisogno di stare insieme. Quel progetto era ispirato dall’idea di comunità». Così da più di cinquant’anni e chissà per quanti altri.

*Autore del libro Locarno, città del cinema, Armando Dadò Editore, 1998.

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Orio Galli, galligrafi­a sul Festival di Locarno.
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Adriano Crivelli, Spettatori in piazza Grande.

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