Le mille vite dell’opera lirica
Tornata a Lugano con La Traviata di Giuseppe Verdi
La ripresa della stagione culturale a Lugano, in attesa di Paul Klee, è ripartita con l’opera lirica. La grande opera, nientemeno che La Traviata di Giuseppe Verdi, nella scia sì del
Barbiere di Siviglia di quattro anni fa, ma soprattutto d’una tradizione mai spenta ed adesso rilanciata alla grande al LAC. È sempre serpeggiata a Lugano la passione per la lirica, dall’ottocentesco Teatro sociale al castello del barone Von Derwies a Trevano, alla anch’essa grande stagione con l’orchestra dell’Arena di Verona e il grande direttore Nello Santi al Palacongressi negli anni ’80 del Novecento, riferita soprattutto all’opera del ‘700, Pergolesi Cimarosa, Mozart… Per dire che l’opera lirica è sì nelle corde di Carmelo Rifici e dell’OSI ma ancor prima e storicamente nelle vene della città, che ha sempre guardato a questo genere musicalteatrale quale parte della propria cultura italiana in Svizzera.
Chiuderla qui? Non sia mai. L’avventura continua con quest’altro capitolo nel tempio della cultura di Lugano e oltre ripartendo, dopo gli annessi e connessi alla pandemia, dal cuore dell’opera lirica italiana, da quel colosso che è Giuseppe Verdi. Dalla sua musica straordinariamente seducente, dal canto suadente e ammaliatore, dalle sottolineature orchestrali intense e leggere come l’andirivieni dei tendaggi sulla scena. Da Violetta e Alfredo, da una vicenda così nota da essere entrata non solo nelle orecchie (libiam ne’ lieti calici… Oh mio rimorso! Oh infamia!... Un dì quando le veneri… Amami Alfredo…) ma anche nel cuore, nel costume, nei detti e proverbi, nel tessuto della lingua italiana. Con la storia di Violetta e Alfredo (ti amo, non ti amo più, ti amo ancor di più…) nel più classico intreccio d’amore.
Mercoledì e venerdì sera le prime rappresentazioni, e adesso ancora domenica 4 ore 15, martedì 6 ore 20 e giovedì 8 settembre ore 20. Andarci? Ma certo, di corsa. Non solo per rimetterci in carreggiata con la tradizione di Lugano, con il mai soppresso piacere per l’opera lirica, con la nostra storia che ha respirato questo tipo di cultura musicale tra melomani impenitenti, che han fatto di tutto per avere la lirica in casa, librettisti di vaglia e rappresentazioni in loco che, intrecciandosi alla stagione dei Festspiele, hanno contribuito a precisare e irrobustire la nostra identità.
Lo spettacolo è gradevolissimo nel suo insieme (non mi arrampico sul versante critico, sennò avrei qualche buona riserva sull’atto II, coreografia e scenografia). Verdi non si discute, riesce sempre a meravigliare. L’orchestra è tirata a lucido attorno a Markus Poschner. Le voci molto buone con tratti d’eccellenza, con Violetta, la soprano Myrtò Papatanasiu, promossa anche come attrice, un robusto Alfredo e una preferenza soggettiva per il baritono Giorgio Germont, ma ne possiamo discutere. Naturalmente dopo che avrete potuto goderne al LAC dove, a giudicare dagli applausi, non manca nemmeno il loggione.