Rapida, ripida scala dell’innovazione
Passando, io ti lascio lillà con ogni foglia a cuore, / ti abbandono davanti alla porta, fiorito, tu che ancora ritorni a primavera.
Non ho pensato: ho sperimentato. Così si legge nel volume di Wilhelm Conrad Röntgen, lo scopritore dei raggi X (chiamati pure raggi Röntgen) inventore delle radiografie e insignito del Premio Nobel nel 1901. Ne hanno parlato al meeting di Rimini, Vittorino Cannatà con Stefano Facchini. Wilhelm Conrad Röntgen, unico figlio di un mercante tedesco di stoffe, nato il 27 marzo 1845 nella regione del Basso Reno, si trasferisce a tre anni in Olanda. Nel 1862 viene espulso dalla scuola per aver fatto una caricatura del suo insegnante e tre anni dopo lo ritroviamo al Politecnico di Zurigo dove si laurea nel 1868 e diviene assistente di fisica. Poi professore a Giessen e all’Accademia di Württemberg e indi a Würzburg. Nel 1885 scopre i raggi X osservando i fenomeni che accompagnano il passaggio di una corrente elettrica su uno schermo fluorescente e vede apparire le ossa delle sue dita per le verifiche. Dopo molte insistenze della moglie, preoccupata perché sempre nel suo ufficio di ricerca, le rivela la scoperta ed ella che vuole provarla a sua volta, esclama: «Ho visto passare la mia morte sullo schermo!». Una scoperta sensazionale, titoleranno poi i giornali quando, fatte tutte le verifiche, viene diffusa la notizia. L’applicazione negli ospedali è immediata. Non c’è più bisogno di fare ispezioni dolorose e sanguinolente per rimuovere le pallottole o scoprire le esatte fratture di gambe o braccia. Di fronte a questo inatteso successo, Röntgen decide di non brevettare la scoperta in nome del progresso dell’intera umanità. Così oggi la scienza riesce a vedere attraverso gli oggetti. Ora, dice Vittorino Cannatà, responsabile di fisica sanitaria all’Ospedale del Bambin Gesù, solo in Italia ogni anno si fanno 100 milioni di radiografie, per screening di tumore, fratture, per applicazioni che provocano la morte delle cellule tumorali, come tra l’altro successo ai primi radiologi che effettuavano le radio ad alta intensità senza schermature, ma oggi non più pericolose per l’analisi. Osservare è proprio dell’uomo, ha commentato Nicola Sabatini che ha presentato i relatori. In oculis facta, è l’adagio famoso di Sant’Agostino: osservare è proprio dell’uomo. Basta lasciarsi sorprendere da ciò che accade. Così, aggiungeva Theilard de Chardin, la tecnica offre occhi sempre più perfetti dentro un cosmo in cui c’è sempre più da vedere. Noi siamo nani sulle spalle di giganti, ma vediamo meglio di loro grazie a questa scala che ci innalza. Ne ha parlato Stefano Facchini, professore assistente di astrofisica che ha raccontato come si scoprono oggi i pianeti extrasolari. Ogni punto è un pianeta e quanto sono diversi e distanti dalla stella attorno a cui orbitano. È una pura osservazione del cielo, dato che non può esservi esperimento. Ma osserviamo l’universo con occhi sempre più precisi: una ricchezza sconfinata in un oceano di galassie. E vediamo con lo spettroscopio come le stelle cambiano di colore con lunghezza d’onde differenti. Con delle luci molto fredde e non certo percepibili dall’occhio umano. Sabbia che circola a 250° C ed emette luce e granelli che formeranno i pianeti. In ogni anello c’è un pianeta che sta nascendo: un disco portatore di nuove lune. Da parte nostra, solo la capacità di usare tecniche diverse e complementari che colmano l’ampiezza del cielo, fin dove lo si vede.