La profezia della Fed
Oh, dimmi verso quali / tristi e crudeli / disastri / l’implacabile fanciulla / svelta, sollevando / le gonne / la rosa sul cappello / conduce il suo branco / di sciocchi?
Nella riunione dei banchieri di Jackson Hole, il discorso di Jerome Powell, presidente della Fed, coi mercati incerti tra esuberanza e delusione, dopo la minaccia di rialzi dei tassi in stile aggressivo come fece a suo tempo Volker, ha gettato nello sconforto e disperazione i mercati. L’inflazione americana ai tempi di Volker aveva raggiunto il suo picco del 14,6% nell’aprile 1980 (dopo 15 anni in cui la si era combattuta senza successo) e un anno dopo, nel giugno del 1981, i Fed Fund avevano toccato il proibitivo tasso del 19,1%. Una cura di lacrime e sangue che determinò due recessioni: la prima all’inizio del 1980 e la seconda dal luglio 1981 al novembre 1982. Nel dicembre 1982 la disoccupazione USA arrivò al 10,8%, la borsa perse il 33% e gli agricoltori bloccarono gli uffici dei governatori coi loro trattori perché nessuno comperava più legna per le case. La prima lezione da trarre dal rialzo del costo della vita, ha detto Powell, è che le banche centrali possono e devono assumersi la responsabilità di fornire un’inflazione bassa e stabile. «La nostra responsabilità di garantire la stabilità dei prezzi è incondizionata». La seconda lezione è che le aspettative del pubblico sull’inflazione futura possono svolgere un ruolo importante nel definirne il percorso nel tempo. Se il pubblico si aspetta che l’inflazione rimanga bassa e stabile, in assenza di shock importanti, ciò si avvererà. Sfortunatamente, lo stesso vale per le aspettative di inflazione elevata e volatile. Dunque, alzando i tassi, Powell pensa di far “ragionare” la gente. L’inflazione ha l’attenzione di tutti in questo momento, il che evidenzia un particolare rischio: più a lungo continua il pericolo, maggiore è la possibilità che le aspettative di un’inflazione più elevata si consolidino. Terzo: la lezione di Volker. È stato necessario un lungo periodo di politica monetaria molto restrittiva per arginare l’inflazione e avviare il processo di riduzione ai livelli bassi e stabili che erano la norma fino alla primavera dello scorso anno. Per questo dobbiamo agire con determinazione ora. «Continueremo fino a quando non saremo sicuri che il lavoro sarà compiuto». Dunque, credere ad un atterraggio morbido della congiuntura appare ora difficile, anche se un anno addietro lo stesso Powell aveva detto che «le attuali letture di inflazione elevata probabilmente si riveleranno transitorie». Allora l’inflazione era del 5,3%. Ora siamo all’8,5%. Resta il dilemma sulla crescita tra occupazione e inflazione. Il tono moderato di luglio di Powell sembra accantonato ma, secondo Pictet, ora la banca centrale americana non prende più solo in esame gli indicatori ritardati della congiuntura come l’andamento dell’occupazione, ma pure quelli che anticipano il ciclo economico e dunque la concreta possibilità di una recessione già data al 50% per il 2023, così come le cifre deludenti del mercato immobiliare residenziale, il “lampo” che preannuncia l’arrivo di un temporale, non lo potranno lasciare indifferente anche a motivo dell’effetto “esagerato” del rincaro delle materie prime. Dunque un rialzo dei tassi allo 0,75% o 0,50% in settembre non impedisce di moderare successivamente gli aumenti del costo del denaro di un quarto di punto nelle successive riunioni della Fed.