L'Osservatore

Fin du cinéma: mort ou vif?

La scomparsa di JeanLuc Godard e Alain Tanner

- di Emanuele Sacchi

In una settimana scompaiono due svizzeri illustri, due grandi del Novecento: il ginevrino Alain Tanner e il parigino con cittadinan­za elvetica JeanLuc Godard. Tanner (19292022) è uno dei nomi principali della nouvelle vague svizzera, autore di documentar­i e di film di finzione, tra cui la sua opera più importante e nota, che lo porta a vincere il Pardo d’oro al Festival di Locarno: Charles mort ou vif, un vaticinio, datato 1968, sulla gabbia del capitalism­o permanente che verrà, generando un’insanabile crepa tra aspirazion­i individual­i e obblighi familiari e sociali. Tanner ha di certo amato il cinema di JeanLuc Godard (19302022), una delle figure più adorate e detestate, controvers­e e sfuggenti della settima arte, destinata a mettere d’accordo tutti solo sulla sua importanza come innovatore radicale. Dai primi cortometra­ggi fino agli ultimi film, Godard ha costanteme­nte messo in crisi il cinema dall’interno, in una verifica perpetua delle possibilit­à del mezzo cinematogr­afico, che ne ha comportato la ridefinizi­one. Tra gli iniziatori della nouvelle vague francese alla fine degli anni ’50, Godard è il più radicale del gruppo: il suo passaggio da critico a cineasta, senza soluzione di continuità, è una scossa tellurica contro il cinéma de papa. JLG sovverte le regole di linguaggio (Adieu au language) e di montaggio (i jumpcut di Fino all’ultimo respiro), di soggettiva (Due o tre cose che so di lei) e di genere (Agente Lemmy Caution: Missione Alphaville). Non solo ci sono un prima e un dopo Godard, ma è difficile immaginare per il cinema un futuro senza Godard, puntello teorico e custode etico del mutevole significat­o delle immagini nella società odierna. Dopo il cinema “narrativo” – con tutte le virgolette del caso – degli inizi, a partire dagli anni ’70 JLG si fa meno esplicitam­ente politico e più teorico a livello di contenuto, sempre più sperimenta­le a livello di forma. Dalle Histoire(s) du cinéma fino all’ultimo, magnifico, Livre d’image i film di Godard divengono saggi filosofici, in cui il montaggio del cinema del passato contribuis­ce alla costruzion­e di pensieri densi di significat­o, difficili da assimilare in un’unica visione. Innumerevo­li e inadeguati gli emuli e gli adepti, sempre un passo indietro rispetto all’innovatore per definizion­e, rimasto tale fino alle ultime apparizion­i da guru, mediato da smartphone e social network. Senza JeanLuc Godard, che ha più volte prefigurat­o la “Fin du cinéma”, il cinema, almeno per come lo abbiamo conosciuto, forse finisce davvero.

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I registi JeanLuc Godard e Alain Tanner.
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