Smart working: il lavoro snello
Troppo il tempo ha tardato / per te d’essere detta / la pena degli anni giovani. / Ma se tu manchi / anche il cielo è vinto. / Sono un barlume stento / una voce superflua nel coro.
Si è svolto al Lugano Dante l’incontro promosso dall’Unione Cristiana Imprenditori Ticinesi (UCIT) sullo Smart Working nel contesto dell’incontro annuale UCIT Academy, rivolto alle nuove leve giovanili per creare un ponte tra la ricerca universitaria e mondo produttivo. Si è preso spunto da una ricerca promossa in collaborazione con la SUPSI ed effettuata interpellando una quarantina di aziende in Ticino. Dopo il saluto del presidente Stefano Devecchi Bellini, il quale ha sottolineato come i giovani restino sempre un passo avanti nel far emergere le nuove esigenze e realtà che abbisogneranno poi di una formazione continua, è intervenuto il Console generale d’Italia Gabriele Meucci. Egli ha voluto rimarcare come, a volte, il termine “smart” che significa “ele
gante” non lo è affatto e rappresenta nei fatti, in luogo di facilitare i rapporti tra famiglia e lavoro, una nuova precarietà ove non c’è più confine tra le esigenze del lavoro dovendo esser raggiungibili a qualsiasi ora pure di notte, e le istanze della famiglia e della privacy. Una tematica che deve stare a cuore in particolare ai datori di lavoro che tra i propri obiettivi dichiarano la centralità della famiglia. Non vorrei, ha detto Meucci, che dall’epoca della globalizzazione, oggi tra l’altro vieppiù contestata, si passasse a quella della glebalizzazione, dove i lavoratori non saranno schiavi, ma sono comunque obbligati a star dietro a ritmi ossessivi. Meglio comunque parlare di lavoro agile più che di lavoro elegante, rispetto ai tempi in cui si chiudeva la serranda e non ci si pensava più fino al giorno seguente. Daniela Bührig, vice direttrice dell’AITI ha dal canto suo sottolineato come questa forma moderna del lavoro, da cui almeno in parte non si tornerà più indietro, incontra comunque i limiti della legge federale sul lavoro adottata nel 1964 quando ancora c’erano le fabbriche e certo non si poteva portare il lavoro a casa, mentre permangono differenze anche di fiscalità tra residenti e frontalieri. La ricerca della SUPSI, presentata poi dalle ricercatrici Matise Schubiger e Monica Mendini ha mostrato nei risultati vantaggi e svantaggi per i dipendenti, datori di lavoro e aziende. I risultati saranno pubblicati sul sito. Tra gli svantaggi la sindrome
capanna, detta anche sindrome del prigioniero per lo stato di smarrimento che comporta, i conflitti tra vita privata e aziendale e la protezione dei dati. D’altra parte una forma ibrida permette di aiutare la socialità e far partecipare tutti. Nel dibattito finale sono intervenuti Luca Pedrotti (UBS), Ivano D’Andrea (Gruppo Multi), Francesca Belleno (Zucchetti), Alessandro Colombi (gruppo Corriere del Ticino), Cristina Maderni (presidente Fiduciari), Cristina Marenzi (Helsinn), Paolo Vismara (Vismara). Nel nostro caso, ha commentato Cristina Maderni, trovo donne che non vogliono lavorare da casa e poi chiudere la porta. Il rapporto personale è una necessità della clientela e ne abbiamo abbastanza di coppie che vanno a pranzo assieme mentre non si parlano, ognuno armeggiando col telefonino.