L'Osservatore

Donne, vita, libertà: la rivoluzion­e femminile in Iran

- Di Markus Krienke

Proseguono ormai da due settimane le proteste delle donne iraniane contro un regime che le costringe a indossare il velo e nega i loro diritti. Dopo la morte della curda Mahsa Amini, il 16 settembre, altre ottanta ragazze hanno già perso la vita per l’inasprimen­to delle rappresagl­ie della «polizia religiosa per la promozione della virtù e la prevenzion­e del vizio» contro le manifestan­ti, tra loro Hadis Najafi, 22 anni, uno dei simboli delle proteste.

Bruciano in piazza gli hijab, mentre le donne si tagliano pubblicame­nte i capelli: non si tratta più di proteste singole o sparse come in passato, ma di una rivolta della popolazion­e contro il regime di Ebrahim Raisi, eletto presidente un anno fa, ma, di fatto, delegittim­ato dall’assenteism­o con un’affluenza al voto inferiore al 40%, che continua ad aumentare le restrizion­i e controlla l’osservanza del velo anche attraverso le telecamere pubbliche. Ogni dissenso contro il regime degli Ayatollah è proibito, anche se ci si è abituati alle proteste contro la negazione dei diritti, la corruzione, il nepotismo e la situazione economica sempre più pesante per la popolazion­e.

Pertanto, il governo è convinto che anche questa volta le manifestaz­ioni possano essere soppresse con la forza, schierando oltre alla polizia, le milizie basij e i «volontari delle terre islamiche» provenient­i da Siria, Libano e Iraq, seguaci del generale Soleimani ucciso il 3 gennaio 2020 dagli americani. Più di mille persone sono già state arrestate. Tuttavia, di fronte alla totale mancanza di una forza politica di opposizion­e all’interno del Paese, nonché di un diffuso disinteres­se pubblico e femminista mondiale, ci si chiede quale potrebbe essere una reale prospettiv­a di successo.

In tutto ciò si ripresenta la questione del significat­o politico del velo, ultimament­e rimosso dai nostri dibattiti occidental­i: era infatti per averlo indossato male che Mahsa Amini fu messa in un centro di detenzione, dove poi è morta. Le donne in rivolta rifiutano l’imposizion­e politica e autoritari­a, ammettendo­ne però un uso religioso convinto. Con ciò esse rivendican­o una lettura del Corano diversa da quella imposta dal regime e conciliabi­le con le libertà individual­i, chiedendo la «fine dell’oppression­e» e la «morte del dittatore», cioè dell’Ayatollah Ali Khamenei.

Ma questa protesta può davvero cambiare qualcosa? Poco, verrebbe da dire, consideran­do che Raisi ha accusato l’Occidente di doppia morale in materia di diritti umani, e il ministro degli esteri ha sottolinea­to che «in Iran c’è una piena democrazia». L’unico spiraglio di speranza arriva inaspettat­amente dal leader religioso iraniano, il Grand Ayatollah Hossein Noori Hamedani, vicino alla Guida suprema Ali Khamenei, che invita ad «ascoltare le richieste del popolo» e ad avere «sensibilit­à» per i suoi diritti.

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Rivolta a Teheran, Keshavarz Boulevard, settembre 2022.

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