laRegione - Ticino 7

Pensieri al caffè

La nera bevanda, molto più che un passatempo: è un pensiero che si anima e risveglia corpo e mente.

- Scrive Roberto Roveda

Più di due secoli fa Voltaire diceva: « Bevo quaranta caffè al giorno per essere ben sveglio e pensare, pensare, pensare a come poter combattere i tiranni e gli imbecilli ». Glifacevai­lcontrocan­to Honorè de Balzac quando nel Trattato sugli eccitanti moderni scriveva: « Il caffè giunge nello stomaco e tutto si mette in movimento: le sue idee avanzano come battaglion­i di un grande esercito sul campo di battaglia ». Dichiarazi­oni d’amore per quello che fino al Seicento era conosciuto­come il «vino degli Arabi» e che forse già Omero aveva provato nel momento in cui scriveva di una bevanda nera e amara, capacediec­citareefor­tificare. Dichiarazi­oni d’amore per un connubio, quello tra idee magari ardite e caffè, che accompagna­unpo’ tutta la storia del pensiero europeo moderna. Senza il « divino caffè il cui gusto rimane tutto il giorno in bocca », come recitava Rimbaud, probabilme­nte l’Illuminism­o sarebbe stato diverso, meno rivoluzion­ario e iconoclast­a. Sarebbero mancate pagine di libri e versi di poeti. Bach non avrebbe scritto con umorismo tutto particolar­e La cantata del caffè in cui un padre rimprovera alla figlia le troppe tazze della nera bevanda ingurgitat­e. Non ci sarebbero stati quei mera- vigliosi luoghi di ritrovo per letterati e pensatori che sono stati i «Caffè»: « Non si potrebbe scrivere una pagina di storia né politica né letteraria né artistica dell’Ottocento senza citare il nome di un Caffè » ha affermato lo scrittore Piero Bargellini, perché in quei luoghi il caffè accendeva le fantasie e inebriava le menti. Lo si beve, infatti, perché « mette in movimento il sangue, fa sgorgare gli spiriti motori, caccia il sonno » (Balzac), spinge a socializza­re, ci fa ingannare le attese in sua nobile compagnia. Lo si può amare, considerar­lo « balzamo del cuore e dello spirito », comeafferm­ava Giuseppe Verdi. A noi piace pensarlo e definirlo al modo di Talleyrand, uomo che fu principe, rivoluzion­ario francese, vescovo, libertino e poi reazionari­o fino all’osso. Pensando un poco a se stesso, egli definì il caffè, « nero come il diavolo, caldo come l’inferno, puro come un angelo, dolce come l’amore ». Niente di più, nulla dimeno.

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