Fare il turista tra guerreemiserie
L’industria turistica è, a livello mondiale, una delle più vitali. Da sette anni a questa parte è cresciuta al ritmo del 4% annuo arrivando a coinvolgere nel 2016 la cifra record di 1’235 milioni di viaggiatori nelmondo.
Ma un segmento del tutto peculiare ha registrato una crescita nella crescita: si tratta del cosiddetto «turismo di guerra» e consiste nell’andare a visitare i teatri dei conflitti bellici passati e... sì, ancora attivi. I «vacanzieri» si confrontano con campi di battaglia invece dei soliti bungalow sul mare, oppure passeggiano in zone di guerra al posto di sale museali accoglienti e pittoreschi centri storici. Per alcuni è unmodo per di riflettere sulla morte e sul destino dell’umanità, con un pizzico di voyeurismo e (ci si augura) reale consapevolezza. Tanto che, fra le mete più gettonate vi sono, per esempio, le alture del Golan, al confine fra Siria e Israele, che forniscono una visione panoramica del territorio siriano e, all’occasione, della guerra che lo sta devastando.
SOTTO LE BOMBE
Untamed Borders, unodei touroperator specializzati in questo settore, propone invece settimane bianche nella regione del Kurdistan, fra l’Iraq e l’Iran, avamposto della guerra all’ISIS, e sta aprendo nuovi itinerari sciistici in Afghanistan. Ancora più estremo appare War Zone Tours, che dichiara di volerci portare proprio dove si combatte e in aree caratterizzate da «un livello di rischio più elevato della media». Fra le località proposte c’èBeirut, consigliata a coloro «la cui idea di divertimento sia guidare lungo una pista Hezbollah, e poi andareamangiare del sushi (...). Qui, edifici distrutti da attentati perpetrati con i camion-bomba si allineano sull’incan- tevole lungomare, fianco a fianco con bellissimi hotel e meravigliosi ristoranti». Le altremete (ma se ne possono concordare anche di personalizzate) sono l’Iraq, il Messico dei narcotrafficanti e l’Africa, in particolare il Sudan, la Somalia e la Repubblica Democraticadel Congo. Le guide, definite ad «alto rischio ambientale», sono professionisti della sicurezza con una lunga esperienza nelle zone di guerra: ex militari o ex «addetti alle operazioni speciali», qualunque cosa ciò significhi... Political Tours punta invece su un taglio più «giornalistico», promettendo un’esperienza ben diversa rispetto a quanto ci si limita a leggere sui giornali. Le sue destinazioni comprendono Israele e la Palestina, la Turchia e l’Ucraina, ma anche l’Islanda, dove è possibile osservare da vicino gli effetti del riscaldamento globale, a partire dal rapido ritrarsi dei ghiacciai. Tutti
spettacoli discretamente terrificanti, dunque, che come tali fanno sorgere la domanda: perché sempre più persone scelgono questo tipo di «vacanza»?
COMPRENDERE IL FENOMENO
L’Università del Lancashire (Inghilterra) ha istituito un dipartimento per la ricerca sul «turismo nero» ( Dark Tourism), espressione che racchiude in sé turismo di guerra ma anche quello «nucleare» (dal 2011 Chernobyl accoglie 15mila visitatori all’anno), «catastrofico» (Tohoku, scenario del terremoto-tsunami del 2011; New Orleans dopo il passaggio dell’uraganoKatrina) e «commemorativo», con riferimento ai genocidi consumati in epocamoderna (il campo di Auschwitz-Birkenau, i «killing fields» cambogiani, la chiesa di Nyamata in Rwanda).
Secondo Philip Stone, direttore del dipartimento, le motivazioni che spingono a visitare questi luoghi sono complesse e vanno oltre la semplice ricerca di emozioni forti o, peggio, del gusto del macabro. «Nelle società occidentali, laiche e secolari, dove la morte “comune” è confinata negli ambiti medici e professionali, mentre la morte “straordinaria” viene spettacolarizzata per il consumo di massa, il turismo nero è un filtro sociale che mette in comunicazione la vita con la morte. Un’istituzione mediatica moderna che non solo fornisce un luogo fisico per collegare i viventi ai defunti, ma anche uno spazio per pensare e cercare un senso al nostro essere mortali», come di legge in Dark Tourism and Significant Other Death (2012). In altre parole, il turismo nero è uno strumento per relazionarsi con la morte, laddove la crisi delle fedi religiose e dei rituali sociali che un tempo «organizzavano» tale relazione all’interno della collettività lascia l’individuo smarrito di fronte all’inevitabilità della fine. Questotipoditurismoriconcettualizza lamorte in terminidi intrattenimento, educazione o memoria storica, permettendo all’individuo di confrontarvisi attraverso l’intermediazione di un’agenzia (quella turistica) socialmente accettabile. Il contatto ravvicinato, ma protetto, con la morte «vera» sortirebbe dunque un effetto psicologico positivo, perché consente di misurarsi con ciò che fa più paura e di attribuirvi un significato. Magari tenendo presente che il confine fra commemorazione e commercializzazione, di questi tempi, è sempremoltosottile.