Sul filo del limite
Piedi sanguinanti, sovraccarichi di allenamento, assunzione di «integratori» ( più omeno legali), decine di chilometri in sella, tutti i giorni, trascurando magari anche gli affetti familiari. Oltrepassare quella sottile linea che trasforma una normale attività fisica in una vera ossessione è più facile di quanto si creda. E quando la cultura della prestazione assoluta, dei risultati e della «professionalizzazione» anche del nostro tempo libero vince sul rilassamento, sull’elaborazione di stati d’animo negativi e sulla ricerca di un equilibrio (almeno interiore), ecco che la dipendenza da forma fisica è servita. Sia chiaro, meglio muoversi troppo che passare la vita su un divano; molto meglio sudare che dedicarsi ad attività alcoliche o riempirsi di ansiolitici. Ma trovare sollievomentale solamente se si praticano sforzi fisici intensi è il segno che qualcosa non funziona più, come ci spiega bene Mariella Dal Farra nel suo articolo di apertura. In compenso, attorno al fitness
compulsivo si è creato un enorme mercato fatto di indumenti ipertecnologici, aggeggi elettronici e applicazioni da far invidia a qualsiasi atleta professionista.
Per non parlare dei materiali (dalle biciclette agli sci a costose scarpe per runner da sostituire ogni 200 km), che pare non si discostino per qualità da quelli forniti ai campioni del mondo delle varie discipline. E così, il turbine delle prestazioni per molti si traduce in una spirale di ricerca della perfezione: per essere bravo devo avere ilmeglio e dunque spendere. Il solito vecchio trucco del marketing, in questo caso applicato alla cultura dei belli e vincenti a tutti i costi.