Scrivi, piuttosto
Non sono un nativo digitale.
Eppure anch’io – come i protagonisti dell’approfondimento di Mariella
Dal Farra – ho grossi problemi con le telefonate, soprattutto sul lavoro: non so mai cosa dire, farfuglio, fatico a capire lo stato d’animo di chi sta dall’altra parte.
Lo squillo mi mette ansia: «Cosa sarà successo?». Ma soprattutto non sopporto la prepotenza della telefonata, che a differenza di e-mail emessaggini mi costringe a rispondere immediatamente. Il galateo telefonico, poi, mi indispettisce ancora di più:
«Ciao, come stai?» (cosa te ne frega, dai, mica mi hai chiamato per informarti sul mio colesterolo);
«Ti disturbo?» (sì, ma se te lo dico passo per maleducato);
«A risentirci!» (è una minaccia?). Nella transizione alla comunicazione digitale, poi, si sono creati ibridi mostruosi. Come quelli che ti costringono a riascoltare nel Combox i loro «richiamami, grazie». Peggio ancora, alcuni mandano un’e-mail e poi dopo un minuto telefonano: «Hai visto quello che ti ho mandato?».
Ma il capolavoro assoluto del sadismo è il messaggio vocale, che ci mette davanti a un annoso dilemma: ascoltarlo in presenza altrui – rischiando di rivelare i dettagli della propria miseranda esistenza – oppure trovare al più presto un luogo appartato, allontanandosi da riunioni e cene con l’aria colpevole di chi sta nascondendo qualcosa di indicibile? Poi i problemi veri sono altri, per carità. Casomai, scriviamoceli.