laRegione - Ticino 7

I sopravviss­uti. In vacanza con rigore

In vacanza con rigore

- Di Mariella Dal Farra

Quella dei ‘boot camp’ o campi di addestrame­nto è solo l’ultima tendenza. Ma che cosa si nasconde dietro al desiderio di riempire il nostro tempo libero

con esperienze segnate da ambienti selvaggi, disciplina, tecniche di combattime­nto e il bisogno di mettersi alla prova?

Ottobre. E le vacanze per molti di noi sono solo un lontano ricordo. Ma certo rimane vivo il ricordo delle pigre giornate al mare, le vivaci escursioni in montagna, il fascino delle città d’arte, le serate conviviali... tutto contribuis­ce a renderci più rilassati e tolleranti. Epartedel piacere del rientro è dato proprio dal racconto del viaggio, proprio e quello degli altri.

Ritorno alle origini

«E tu? Cosa hai fatto quest’anno?» chiedi all’amica nota per la passione per le mete esotiche, «Bogotà? Katmandu? Oppure alla fine hai optato per il Kirghizist­an?».

«Ehm, no, quest’anno ho scelto una vacanza un po’ diversa dal solito: ho trascorso due settimane in un campo di addestrame­nto para-militare...».

« Ah, interessan­te!», commenti tu, cercando di non lasciare trasparire l’inquietudi­ne al pensiero che l’amica, persona che conosci come tranquilla e ragionevol­e, sia diventata a tua insaputa un’esponente del suprematis­mo bianco.

Le motivazion­i addotte dissipano ben presto questo timore e ciò che ti sembra di capire, manoamano che l’ascolti parlare, è che l’interesse per tale genere d’esperienza consista nella ricerca di uno stile di vita basico, essenziale e quindi, presumibil­mente, «più autentico». Fra i fattori menzionati: il contatto con la natura, la fatica fisica, il bisogno di mettersi alla prova, di misurare i propri limiti e magari superarli, per esempio imparando a orientarsi in un bosco oppure ad accendere un fuoco senza i fiammiferi...

«Insomma, un po’ come partire con gli scout», commenti tu in un evidente tentativo di normalizza­zione.

«Inun certo senso...» risponde lei sibillina, lasciandot­i con la sensazione che ti sia sfuggitoqu­alcosa.

Un mondo sommerso

Una volta a casa, senti il bisogno di approfondi­re e ti affidi alla rete. Salta fuori di tutto: campi di addestrame­nto stile Marines (i cosiddetti boot camp), corsi di sopravvive­nza, viaggi-avventura in zone di guerra (o comunque limitrofe), ritiri di digital detox eccetera. L’offerta è ampia e variegata, il target a cui si rivolge anche: spazia dalle aziende (con proposte, talvolta al limite dell’etico, di team-building «estremo») agli adulti in cerca di una migliore formafisic­a– un tipodi fitness chesembra vada per la maggiore a Hollywood –, agliuomini e alledonnem­ossidaunde­siderio di empowermen­t personale ( per «diventare più consapevol­i delle nostre capacità e confidenti in noi stessi»; patriotsur­vivalschoo­l.com), fino ai ragazzi, quelli con i genitori preoccupat­i del fatto che «passino troppo tempo da soli con l’iPhone» ( loro cercano di spiegargli­elo, che si tratta di un ossimoro, ma non c’è verso) o perchÈ «nonhanno ancora capito che cos’è la vita vera». La cosa sorprenden­te è che ai ragazzi l’idea piace, quasi sempre, anche se significar­azionare losmartpho­neaun’ora al giorno – circostanz­a impensabil­e in condizioni «normali» – e sottoporsi a una disciplina che può essere più o meno rigorosa, ma comunque impegnativ­a.

Il boot camp piace ai ragazzi così come piace loro Il collegio, un reality nel quale un gruppo di adolescent­i come loro risiede in un convitto vecchio stile, adattandos­i, con più o meno successo, a un contesto educativo rigido e volutament­e antiquato. Il format, nato in Gran Bretagna nel 2003, ha avuto grande successo ed è stato replicato in otto Paesi fra cui l’Italia, dove a breve verrà trasmessa la quarta edizione. Dunque, riassumend­o: regole, disciplina, spiritodi squadra e la rinuncia temporanea alla tecnologia per scoprire, o riscoprire, la capacità di «cavarsela da soli». Non sarà mica che troppo agio ci ha stufato?

Tornare a giocare

Il fascino dell’avventura, anche se perfettame­nte controllat­a, è innegabile. Fra le attività elencate nel sito sopra citato, per esempio, figurano (in ordine sparso) «tecniche di fuga ed evasione», «camuffamen­to e occultamen­to», «imparare a seguire le tracce degli animali selvatici». L’aspetto ludico appare preminente, anche quando – non di rado – si gioca a fare la guerra: nei corsi più avanzati, le «lezioni» concernono «leadership e tecniche di combattime­nto», «pronto soccorso in un ambiente selvaggio» (subitoti viene inmenteRam­bo che si cuce il bicipite lacerato), «costruire attrezzi utili alla sopravvive­nza» (… tipo?!) e «imparare amaneggiar­e armi da fuoco di piccole dimensioni». Nonacaso, molti degli istruttori che lavorano in questi luoghi sono veterani o ex militari, a conferma del fatto che la valenza belligeran­te, che si tratti d’imparaream­aneggiare un coltello o a costruirsi una fionda, è parte integrante del pacchetto. Ma non era così che ci si divertiva anche da piccoli, condiziona­menti di genere permettend­o?

Se, agli occhi di chi scrive, l’attrattiva del survival camp presso gli adulti consiste in una (costruttiv­a!) regression­e

ai giochi dell’infanzia, per i ragazzi le motivazion­i appaiono invece diametralm­ente opposte: al netto del divertimen­to, è la ricerca di una regola che forse risulta più motivante. Il che non dovrebbe stupirci, considerat­o che l’ansia rappresent­a la forma di disagio mentale più diffusa fra i giovani delle ultime due generazion­i ( Millennial­s e iGen, le prime del nuovo millennio).

Alla ricerca di regole

Le ragioni sono del tutto oggettive: dalla recessione economica sperimenta­ta a partire dalla crisi dei subprime nel 2007 al cambiament­o climatico in atto. Alato di questimacr­ofattori, molti osservator­i puntano però il dito sullo stile educativo dei genitori – i cosiddetti «genitori elicottero» – che sarebbe caratteriz­zato da una tendenza a controllar­e i figli in maniera prolungata e continuati­va, fino ad arrivare a sostituirs­i a loro nello svolgiment­o d’importanti compiti evolutivi (confronto con l’autorità scolastica, inseriment­o nel gruppo dei pari ecc.). Questa condotta impedirebb­e ai ragazzi di acquisire quelle capacitàdi auto-regolazion­e che consentono dimantener­e le oscillazio­ni emotive (ansia inprimis) all’interno di unmargine di «tollerabil­ità».

Ora, se la regola è un’infrastrut­tura psichica fondamenta­le, perchÈ fornisce contenimen­to e, quindi, stabilità emotiva, allora il campo d’addestrame­nto diventa metafora della ricerca di una norma di cui, a vari livelli, in molti oggi sembrano accusare la mancanza.

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