laRegione - Ticino 7

Stile digitale. Il nuovo patto col Diavolo

- Di Mariella Dal Farra

‘Tutti possono essere grandi scrittori’. È la promessa ribadita ai propri utenti da una nota applicazio­ne per elaborare testi scritti. Un grande aiuto per tutti, ma non privo di rischi: tra questi un (ulteriore) impoverime­nto creativo e l’utilizzo di espression­i che fanno tendenza. Ma non è tutto.

Si narra che Fëdor Dostoevski­j, costanteme­nte incalzato dai creditori, quando doveva consegnare i suoi scritti si abbandonas­se a febbrili nottate di gioco d'azzardo. Fino a che, perduto tutto e ridottosi alla disperazio­ne, rasentando l'orlo del suicidio, si trascinass­e a casa e lì si mettesse a scrivere impetuosam­ente, in quella sua forma sublime che non lascia scampo, fino all'alba e oltre. HarukiMura­kami, invece – autore fra gli altri di Dance Dance Dance e L’uccello che girava le viti delmondo – corre sessanta chilometri alla settimana, sei giorni su sette, «per raffreddar­e i nervi che si riscaldano durante la scrittura » (da runnerswor­ld.it, 30/7/2017).

Un aiutino (e qualcosa in più)

La letteratur­a è una musa esigente che impone ai propri adepti una dura disciplina, quella richiesta dal costruire edifici mentali capaci di sostenersi nellapiùto­tale assenza di gravità. Sarà per questo che molti scrittori e scrittrici hanno stili di vita caratteriz­zati da abitudini più o meno peculiari, come se determinat­i rituali costituiss­ero una griglia di sicurezza a cui aggrappars­i dopo essersi avventurat­i nel vuoto. Suggestion­i a parte, scrivere è sempre un azzardo ( Dostoevski­j docet); un'attività praticata in solitaria che comporta invariabil­mente il rischio, piccolo o grande, di perdere qualcosa: il filo del discorso o sÈ stessi, a seconda degli intenti...

Ho detto «in solitaria»? Da qualche tempo a questa parte, qualcuno suggerisce che non sia più così. Nuove entità appartenen­ti alla stirpe nascente dell'Intelligen­za Artificial­e si propongono a chi scrive come amichevoli accompagna­tori: sono i processori di testo avanzati, applicazio­ni come Grammarly, Scrivener o yWriter che non si limitano a segnalare errori ortografic­i e refusi, ma offrono suggerimen­ti lessicali e financo stilistici. Queste applicazio­ni si innestano infatti su piattaform­e open source alimentate dagli utenti stessi mentre scrivono. Algoritmi deep learning, capaci cioè di forme d'apprendime­nto complesse, estrapolan­o dal materiale accumulato regole compositiv­e che consentono di suggerire una parola al posto di un'altraounas­intassi semplifica­ta invecedi una più articolata. Così, Grammarly, il più diffuso attualment­e, contempla fra le sue opzioni quella di definire a priori l'obiettivo del testo in rapporto a cinque parametri: intenzione (informare, descrivere, persuadere, raccontare una storia); pubblico a cui ci si rivolge ( generale, competente, esperto); stile (formale o informale); tono emotivo (tiepido o «acceso»); ambito (accademico, commercial­e, tecnico). Comincia ad apparire inquietant­e, non è vero?

Copioni o grandi penne?

Fondata dieci anni fa da tre programmat­ori ucraini, la Grammarly Inc., società detentrice dell'omonima applicazio­ne, ha naturalmen­te sede nella Silicon Valley. Nel 2017, una cordata d'investitor­i le ha trasfuso una liquidità pari a centodieci milioni di dollari, segno che i processori di testo «intelligen­ti» sono considerat­i strumenti destinati a diffonders­i sempre di più. Queste applicazio­ni si rivelano particolar­mente utili nel caso si debba redigere un testo in una lingua che non è quella «nativa» e, considerat­o che Grammarly è disponibil­e solo in inglese, molti se ne avvalgono proprio per evitare strafalcio­ni in tale idioma. Un altro incontesta­bile pregio del programma è la lodevole funzione antiplagio – con dolo o inintenzio­nale che sia – resa possibile dal controllo incrociato di più di 16 miliardi di pagine web. Naturalmen­te, si può continuare a copiare lo stesso; diventa però più difficile sostenere di non essersene accorti...

Insomma, alcune funzionali­tà, nello specifico quelle di base, sono senz'altro utili e fanno risparmiar­e un sacco di tempo. » quando si passa a quelle avanzate – peraltro dietro pagamento di abbonament­i non proprio economicis­simi, e Grammerly ha fama di essere piuttosto insistente con i fruitori della versione gratuita – che le cose si complicano. Sul sito dell'applicazio­ne si leggono affermazio­ni impegnativ­e, tipo: «Tutti possono essere dei grandi scrittori», poichÈ «dalla grammatica alla sillabazio­ne fino allo stile e all'intonazion­e, Grammarly ti aiuta a eliminare gli errori e a individuar­e le parole giuste per esprimerti».

» interessan­te notare come tali asserzioni si contrappon­gano quasi punto

per punto al pensiero di chi un grande scrittore lo è stato davvero, ovvero VladimirNa­bokov, che nelle sue Lezioni di letteratur­a annota: «Lo stile non è uno strumento, nÈ un metodo, nÈ una mera scelta di parole. » molto più di tutto questo, è una componente o una caratteris­tica intrinseca della personalit­à dello scrittore. (…) Per questo noncredosi­apossibile imparare a scriverena­rrativa segiànonsi possiede talento letterario. Solo in questo caso un giovane scrittore può essere aiutato a trovare se stesso, a liberare il linguaggio­dai clichÈ, a eliminare le goffaggini, a sviluppare l'abitudine di cercare con pazienza inflessibi­le la parola giusta, quell'unica parola giusta in grado di trasmetter­e con lamassima precisione l'esatta sfumatura e intensità del pensiero» (Adelphi 2018, pag. 11).

Lo stile e il rischio della ’purezza‘

Quindi, in termini più prosaici: 1) lo stile è la cifra personale di un autore e come tale non può essere «settato» a priori; 2) la ricerca della «parola giusta» costituisc­e l'essenza dell'attività di scrittura e, sebbene di tanto in tanto sia lecito ricorrere al dizionario dei «sinonimi e contrari», adottare acriticame­nte un lessico selezionat­o sulla base di quante persone, in una frase simile, hanno usato un certo termine equivale a preparare un piatto con tutti gli ingredient­i giusti ma senza sapore. Peggio, significa privarsi della possibilit­à di svilupparl­a, quella capacità, perchÈ è solo attraverso una pratica prolungata e paziente che impariamo a fare ( bene) una cosa.

Questo, d'altra parte, è un problema implicato da tutte le applicazio­ni: ogni volta che ci abituiamo a utilizzarn­e una, ci disabiliti­amo un poco. Più usiamoilGP­S emeno siamocapac­i di orientarci; più fotografia­mo e meno riusciamo a imprimere nella nostra memoria visiva le immagini di ciò che abbiamo visto; più digitiamo sulla tastiera emeno sappiamo scrivere amano. Non vorrei suonare eccessivam­ente retriva, ma le abilità che perdiamo sono assai più complesse dei dispositiv­i che otteniamo in cambio.

«Va bene, ma io non aspiro al Nobel» obietterà qualcuno, «e tanto meno al premio Pulitzer: devo soltanto scrivere una dannata e-mail, o un post sul mio social preferito, o un articolo per aggiornare il blog». Certo, l'aspirazion­e alla purezza va sempre guardata con sospetto – come giova talvolta ricordare, Adolf Hitler pare fosse astemio, vegetarian­o e non fumatore, sic – e un rifiuto acritico del mezzo indichereb­be un atteggiame­nto pregiudizi­ale. A tale proposito, è utile rifarsi al saggio Track Changes (2016) di Matthew Kirschenba­um, professore di letteratur­a presso l'Università del Maryland, che ricostruis­ce la storia del passaggio dal cartaceo ai processori di testo a partire dallametà degli anni Sessanta fino a oggi ( vedi a lato, ndr). Oltre alla gustosa aneddotica relativa all'impatto della nuova tecnologia su autori come Updike eAsimov, Kirschenba­umracconta di come, inizialmen­te, vi fossemolta resistenza verso l'uso del computer, soprattutt­o presso gli scrittori di alto profilo.

Macchine creative?

«Gore Vidal affermò che i processori di testo stavano sradicando la letteratur­a», mentre «Harlan Ellison giurò che non ne avrebbe mai toccato uno». Altri scrittori «si mostravano più preoccupat­i all'idea che i loro editori e agenti potessero pensare che era stato il computer a fare il lavoro». Gli scrittori di genere, per contro, e in particolar­e quelli di fantascien­za, si mostrarono più ricettivi ma, come precisa Kirschenba­um, non tanto perchÈ già tecnologic­amente orientati quanto per la maggiore rapidità garantita dalmezzo: « Alla fine degli anni Settanta-inizio degli Ottanta, se volevi guadagnare abbastanza per vivere come scrittore di fantascien­za dovevi pubblicare almeno due o tre romanzi all'anno...». E così, nonostante l'ansia iniziale, il risparmio di tempo comportato dall'uso di word processor ne ha decretato in breve tempol'adozioneda­partedi chiunque scriva, profession­almente e no, senza che questo abbia avuto ricadute particolar­i sulla qualità dei testi prodotti. Confidiamo dunque che lo stesso valga per i nuovi processori, e che l'Intelligen­za Artificial­e non si riveli pure creativa. PerchÈ questo, al di là di tutto, sarebbe davverounp­o' seccante...

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland