Ford Ranger Raptor
Lo speciale pick-up allestito da Ford Performance, ispirato all’omologo cugino americano su base F-150, vanta una meccanica per l’off-road di alto livello. Con il turbodiesel da 213 cavalli si intona alle misure europee (asfalto compreso) offrendo comfor
Lesospensioni stile «cammello», così rialzate con il contributo dei grandi pneumatici da 285/70 R17 generosamente tassellati, sono un richiamo immediato alla sabbia e alle piste africane. Ma, prima ancora di questo, il Ford Ranger Raptor cerca di trasmettere nel look la stessa carica di potenza, imponenza e fascino da 4x4 «cattivo» che Oltreoceano vanta il suo parente più blasonato: l'«altroRaptor», quello su baseF-150, il pick-up che negli Stati Uniti è un vero bestseller. Per realizzare la versione europea, sulla base del Ranger, l'ispirazione seguita dalla divisione Performance di Ford è partita proprio da questa realtà tutta a stelle e strisce.
Un americano in Europa
PerchÈ così popolare, negli Stati Uniti, questo truck, ovvero camion come là vengono indicati i mezzi con cassone della categoria «full-size» cui appartiene anche il Ford di riferimento? In primo luogo per la storia: l'F-150 è una fetta consistente dell'eredità della marca, esiste addirittura dal lontano 1948 ed è ormai alla tredicesima generazione, lanciata già nel 2015.
Così popolare ed apprezzato da essere risultato per 24 anni il veicolo più venduto in Nordamerica, nonchÈ il pick-up più commercializzato per 34 anni. Dalle forme arrotondate anni Cinquanta degli esordi, si è evoluto seguendo costumi e tendenze della modernità, per approdare all'aggressività «totale» della versione Raptor d'origine, cheal topdi gammavantaun3.5V6 benzina Ecoboost da 450 cavalli, con dimensioni che possono arrivare fino a 5,89 metri di lunghezza e a 2,19 metri di larghezza, a seconda delle versioni. Con il Raptor europeo ci si deve adattare, essendo un mezzo realizzato sulla base del Ranger europeo, più compatto per dimensioni e portata? Solo sulla carta, in verità, perchÈ a ben vedere non ci sono sostanziali privazioni. L'unico aspetto che può apparire come tale è rappresentato dalla scelta del motore, che per noi è un più razionale turbodiesel a doppio turbocompressore da 213 cavalli; per rinforzarne l'appeal mentre si è alla guida, Ford ha
persino corredato il Raptor europeo con un generatore artificiale di sonorità che, in marcia, modifica il rombo percepito nell'abitacolo suggerendo un suono più coinvolgente, che ricorda il timbro un po' rauco dei classici V6-V8 americani.
Chiaramente, l'effetto è artificiale, ma tutto sommato più intonato su un veicolo così che non sui modelli sportivi; tra l'altro, adandatura costante, la correzione «stereo» pressochÈ sparisce, senza dunque risultare invasiva mentre si viaggia in autostrada. Da fuori, naturalmente, si avverte il classico ronzio sommesso delle unità a gasolio.
Un vero fuoriclasse
Per tutto il resto, il Ranger Raptor appare convincente senza alcuna perplessità: dal look imponente, rialzato e rinforzato – telaio e sospensioni sono stati riadattati con numerosi interventi e componenti di progettazione specifica – alla notevolissima capacità di marcia nel fuoristrada «serio», per finire con le stesse prestazioni assicurate dal diesel, che spinge con elasticità e buona autorevolezza col conforto del cambio automatico a ben dieci rapporti, rapido e inavvertibile nei passaggi marcia. Senza contare le modalità di guida, incluse quella sportiva e la «Baja » dedicata al fuoristrada veloce. Il Raptor ammicca al raid in ogni suo aspetto, ma anche su asfalto si trova benpiùa suo agio di quanto suggerisca l'aspetto rude; l'abitacolo è spazioso, completo e garantisce una bella accoglienza, mentre ad andatura costante non ci sono rumorosità parassitarie a disturbare la conversazione.
Fino all'8 dicembre a Chiasso, nell'ambito della
Biennale dell’Immagine-Bi11 CRASH, in via Bossi 1 potete ammirare piatti, tazze e zuppiere della Germania degli anni Cinquanta. O meglio: sono esposte le immagini di Willi Moegle, fotografo pubblicitario di quegli anni in cui la pubblicità era creata da artisti. Vedere incorniciato il catalogo dei servizi buoni della nonna è un'esperienza simile a guardare un film di Hitchcock: estetica e inquietante, cioè bellissima. Nel primo Dopoguerra ovviamente ci si aggrappava a qualsiasi cosa pur di non ricadere nel caos e nella violenza. Case perfette, erba tagliata dritta, casalinghe con la piega, la gonna a campana e i tacchi alti, bambini senza macchie sui pantaloni... e i set di stoviglie. Dietro a questo candore impeccabile, il rischio che dà il brivido: perdere, sporcare, sbroccare o appunto lasciar cadere.
In Io ti salverò, celebre per la «scena della forchetta», un uomo impazzisce quando vede righe perfette delinearsi davanti a lui. Hitchcock si tuffa come sempre nel magma infernale del cervello umano, offrendo poi la soluzione che rimette a posto tutti i cocci: la psicanalisi è la scienza moderna che potrà guarire il protagonista. Quello che resta del film, però (e che ci piace), è sempre l'eco di un possibile disastro.