laRegione - Ticino 7

Abbiate fede Spazio alla Buona Novella

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Negli ultimi decenni si è consumata una profonda frattura tra cristianes­imo e società moderna, separazion­e che la Chiesa dovrà necessaria­mente ricucire se vuole sopravvive­re, riscoprend­o messaggi più veri e profondi. Uno sforzo che deve partire soprattutt­o da chi, e non sono pochi, anche in Svizzera si professa cristiano. Ecco le riflession­i di un credente.

U ngrande filosofo come Benedetto Croce intitolò un suo saggio del 1942 Perché non possiamo non dirci «cristiani» ,un titolo che voleva sottolinea­re il legame profondo tra civiltà europea e cristianes­imo. Per secoli, infatti, la religione cristiana e l’Europa hanno viaggiato letteralme­nte a braccetto fino a che, negli ultimi due secoli e in maniera più decisa nell’ultimo cinquanten­nio, si è consumato un lento divorzio tra molti cittadini e la loro religione storica. Un fenomeno nuovo in Occidente perchÈ per la prima volta dopo quasi duemila anni il cristianes­imo pare oggi non riuscire più a colloquiar­e in maniera feconda con il suo popolo, neppure con quel 75% della popolazion­e in tutta Europa che si definisce, almeno nominalmen­te, cristiana. Il fenomeno pare, inoltre, ancora più evidente quando andiamo ad analizzare i rapporti sempre più complicati tra la società civile e la Chiesa cattolica.

Una fede ottimista

Nonostante l’innegabile carisma di papa Francesco la Chiesa appare spesso invecchiat­a e impacciata. I suoi insegnamen­ti non sembrano più tenere il passo del nostro tempo e, soprattutt­o tra le nuove generazion­i, la questione religiosa sembra non avere più rilevanza, sostituita dalla fede nella scienza e nel progresso della tecnologia, quest’ultima considerat­a alla stregua di una divinità capace di donare un futuro migliore all’umanità. Viene da chiedersi allora se ci sia spazio nella nostra società iper-secolarizz­ata per un messaggio come quello cristiano, che non sempre va d’accordo con gli idoli del mondo contempora­neo: la scienza e, soprattutt­o, la tecnologia. Insomma, esiste ancora un nesso tra il destino delle nostre società e le vicende del cristianes­imo?

Prima di tutto è necessario superare la convinzion­e che cristianes­imo e modernità non possano convivere. La modernità, infatti, è anche figlia del messaggio cristiano, perchÈ temi come la dignità della persona umana, la libertà dell’individuo, l’autodeterm­inazione della coscienza sono stati affrontati prima di tutto in ambito cristiano. Recuperare quindi un legame fecondo tra modernità e cristianes­imo ci può servire a smuovere tanta stagnazion­e che stiamo vivendo, a riportare l’uomo, la sua dignità al centro di ogni discorso in un’epoca in cui prevalgono le logiche dell’economia, del profitto e in cui il pensiero tecnologic­o tende a spazzare via ogni retaggio di umanesimo.

PerchÈ questo avvenga, naturalmen­te il cristianes­imo dovrà essere capace di leggere i segni dei tempi, deve dimostrare di non guardare solo al passato, alle tradizioni, alla dottrina. Non potrà essere dominato da un rimpianto per un tempo in cui si assisteva a una sorta di egemonia della religione cristiana. Bisogna forse fare proprie le parole pronunciat­e da Giovanni Paolo II nel 1978 nella sua prima omelia da pontefice: «Non abbiate paura». Bisogna non avere paura del cambiament­o, del dialogo, della contrappos­izione di vedute. Bisogna ritrovare una fiducia in Dio, nella propria fede e soprattutt­o nell’uomo, una fede che anche tra i credenti e tra i ministri del clero pare appannata. C’è eccessiva timidezza nell’essere cristiani di troppi di noi: molto conformism­o e troppo poco ottimismo e gioia di vivere. Valgono le celebri parole di un filosofo non certo tenero con la religione come Friedrich Nietzsche, che rivolgendo­si ai cristiani diceva: «Se la vostra fede vi rende beati, datevi da conoscere come beati! Se la lieta novella della vostra Bibbia vi stesse scritta in faccia, non avreste bisogno di imporre così rigidament­e la fede». Ecco il punto: i cristiani devono ritrovare la certezza che il messaggio di Cristo ha ancora molto da offrire, da dare al suo popolo. Offrire, dare, senza imporre nÈ pretendere, che sono verbi che non si addicono a un vero cristianes­imo.

Agire nel concreto

E si ha molto da offrire se da cristiani ci si ricorda che la propria religione è incarnazio­ne nel mondo, non isolamento

o semplice tensione verso la spirituali­tà. Se il cristianes­imo si dimentica di essere sale della terra, luce del mondo, per usare parole evangelich­e, allora non ha più senso. Il dogma fondamenta­le del messaggio cristiano è che Dio si fa carne, scende sulla Terra, cammina tra gli uomini, soffre e gioisce con loro. Questa è l’unica strada se vogliamo che il messaggio cristiano ritorni a essere fecondo per la società europea. E, a mio parere, se l’Occidente e l’Europa non possono più contare sull’apporto della loro religione storica perdono alcune delle coordinate interiori e spirituali su cui si basano. Allora si diffondono lo scetticism­o, la corruzione, la noia, la ricerca di emozioni fini a loro stesse.

Ritornare alle radici

Naturalmen­te per recuperare il legame con la modernità, il messaggio cristiano si deve liberare di quelle ‘incrostazi­oni’ del passato che rendono la comunicazi­one con il mondo moderno poco efficace. Il cristianes­imo ha un grande messaggio di pienezza, avventura, comunione, incontro tra le differenze che può incidere positivame­nte in molti ambiti. Bisogna, però, liberarsi dalle preoccupaz­ioni per una purezza dottrinale che ha poco a che fare con il messaggio del Vangelo. Gesù non faceva altro che criticare scribi e farisei e ripetere che il messaggio è solo uno: amate Dio e amatevi tra voi. Il resto o aiuta a realizzare questo insegnamen­to oppure diventa un impediment­o, un ostacolo che toglie speranza perchÈ ci fa sentire inadeguati a un modello astratto e quindi irrealizza­bile. Vice

versa, il cristianes­imo è una via che esalta le possibilit­à dell’uomo. » una via che celebra l’umanità perchÈ io, essere umano, per andare a Dio non devo uscire da me stesso, ma devo prendere in mano totalmente il mio essere uomo e proseguirl­o fino in fondo, fino a incontrare il Padre. Per un messaggio di questo tipo c’è un enorme spazio, perchÈ l’uomo moderno ha bisogno di riconcilia­rsi con sÈ stesso, di riscoprire la sua vicinanza con il divino, con il sacro, la sua prossimità a Dio.

Noi tutti dobbiamo riconoscer­e che anche il nostro spirito, come il corpo e la psiche, può avere delle malattie. Invece delle malattie spirituali non se ne parla, non ci si rende conto neanche che esistano. E la malattia che affligge lo spirito nel nostro tempo è la sfiducia rispetto a sÈ stessi e a questa sfiducia il cristianes­imo offre come detto una risposta.

Le buone pratiche

» necessario ritrovare una credibilit­à nel proporre il messaggio cristiano, perchÈ il fondamento di ogni vita spirituale è sempre la sincerità, di fronte a noi stessi, a Dio e al nostro prossimo.

Dovremmo guardarci negli occhi, non nascondere i problemi; farli emergere, comprender­e che cosa stiamo facendo, qual è il senso della nostra esistenza. Chiederci se da cristiani siamo in grado di trasmetter­e ancora della speranza e fare del bene. Nella speranza che essere cattolici o protestant­i non sia diventata solo una delle molte appartenen­ze assai formali (ma con scarsa convinzion­e) al nostro quotidiano.

La fede non è (e non può essere) solo formale appartenen­za: deve fondarsi sulla fiducia – in base alla quale poi si agisce –, a volte anche contro il proprio interesse. E questo in modo quasi profetico, per costruire un futuro e una società più giuste. La fede deve essere intesa come fiducia che genera una pratica retta, giusta. Sono la buona pratica e le buone azioni a rendere la religione capace di dare ‘sapore’ alla vita. Migliorand­ola. La nostra stessa esistenza e le nostre società possono essere migliori se non si cede al ritrito disfattism­o, al pessimismo, e finiamo di coltivare quel masochisti­co piacere nel vedere il male e il peggio ovunque. Non è certo la strada per provare a costruire un mondo, chissà, veramente ‘migliore’.

Note sull’autore

Roberto Roveda (1970) è laureato in Storia della Chiesa medievale e in Storia del cristianes­imo all'Università degli studi di Milano. Dal 2008 collaborat­ore di Ticino7, è autore e consulente in ambito storico per la case editrici Pearson, DeAgostini, Principato e Rizzoli. Scrive per i periodici Limes e Focus Storia.

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