laRegione - Ticino 7

Sulla montagna. Una sfida tra terra e cielo

- a cura di Giancarlo Fornasier

‘Se sali sulla vetta di un monte e osservi le diverse alture, il corso dei fiumi e ogni altra meraviglia che si offre al tuo sguardo, ti pervade un sentimento di quieto raccoglime­nto, ti senti smarrito nell’infinità dello spazio, il tuo io scompare, tu non sei più nulla, Dio è tutto’. (Carl G. Carus, 1789-1869)

Da tempo immemorabi­le l’uomo ha cercato sulla montagna le tracce dell’infinito e le orme fuggitive degli dei. Gli dei sono da sempre stati ospiti fuggevoli della montagna. L’hanno abitata di volta in volta con nomi e figure diverse, svelandosi allo sguardo dell’uomo tra apparizion­i e nascondime­nti. La montagna appare così nella storia dell’umanità proiettata da sempre verso l’insondabil­e mistero divino. Dimora degli dei, luogo teofanico dove il volto del dio nel suo diafano silenzio o nel suo grido assordante si mostra senza mostrarsi. Essa diviene così centro del mondo perchÈ lo fonda, lo sostiene e gli dona senso e come scrive Cardini, appare «come luogo sacro (…) come luogo nel quale l’uomo può ascendere e si sente tramite tra le due grandi aree cosmiche della terra e del cielo» (F. Cardini, Sacri Monti, 1992). Di queste presenze a volte folgoranti e terribili, altre discrete e armoniose, l’uomo ha raccontato la storia nel mito. Presenze che l’uomo può nella sua ripida e faticosa ascesa, ieri come oggi, ospitare, ascoltare, interrogar­e. Presenze che hanno fatto della Montagna nei più diversi momenti storici il loro tremendo, fascinoso e luminoso theatrum mundi.

(...) La presenza delle sue forze invisibili, le tracce degli dei fuggitivi ele porte che si aprono sull’invisibile, hanno però bisogno di simboli per potersi rendere visibili, per poterci parlare. Senza il linguaggio dei simboli, senza la ritualità (si pensi ad esempio alla ritualità perduta della caccia) che li esprime in forme tramandabi­li, quelle presenze si ammutolisc­ono, quelle tracce si disperdono e la Montagna inaridisce. Simboli dei centri spirituali del mondo come lo sono del resto, scrive GuÈnon, tutti gli altri simboli

«assiali» (l’axis mundi) o «polari» di cui la montagna (come la caverna) è uno dei principali (R. GuÈnon, Simboli della Scienza sacra, 1975). Il simbolismo della montagna (il grande malato della nostra modernità )ècosì« presenza universale che abita la lunga durata sempre intrinseca­mente connesso alla duplice dimensione d’altezza-verticalit­à e di centro-centralità» (A. Martignoni, Medioevo e visioni simboliche della montagna, 2003).

Che rimane di tutto ciò, quando la modernità declinante con i suoi «deserti» metropolit­ani avrà portato a compimento il suo disegno nichilisti­co e universali­stico di «banalizzaz­ione» del mondo (B. Luban-Plozza e G. Martignoni, La società senza riposo,

2000), generatore di sradicamen­to, di spaesament­o, di perdita del valore e della efficacia del simbolo? Che cosa rimane quando perdute sono le tracce di questo immemorial­e che sta al cuore dell’esistenza dell’uomo? Quando la figura simbolica della montagna si è perduta forse per sempre divenendo mera nostalgia fattasi zuccherosa, simulacro del sublime ad uso del turista e come scrive la Bonesio «immortalat­a nella cartelloni­stica, nelle cartoline, calendari, quadri dozzinali, souvenirs, châlets, e improbabil­e ricerca di un mondo incorrotto»? Dove sono oramai i paesaggi della meraviglia, dello stupore ma anche del timore di fronte all’immensità, alla ripidezza, alla selvatiche­zza e all’immobilità fuori della storia (M. Mila, Scritti di montagna,

1992; L. Bonesio, Oltre il paesaggio,

2002), che hanno caratteriz­zato le sue cime, i suoi pendii, i suoi boschi?

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 ??  ?? A sinistra: salendo dalle Grandes Jorasses (Monte Bianco). Sopra: sulla cima della Jungfrau. Sotto: il vecchio rifugio della vetta del Camoghè. Nella pagina di destra: la pioniera ticinese Santina Bernardine­llo sulla cresta nord del Zinalrotho­rn (anni 50).
A sinistra: salendo dalle Grandes Jorasses (Monte Bianco). Sopra: sulla cima della Jungfrau. Sotto: il vecchio rifugio della vetta del Camoghè. Nella pagina di destra: la pioniera ticinese Santina Bernardine­llo sulla cresta nord del Zinalrotho­rn (anni 50).
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 ??  ?? Testo estratto dal contributo «La montagna malata» di Graziano Martignoni in Uomini storie montagne (pp. 22-26); CAS/SalvioniEd­izioni, 2004
Testo estratto dal contributo «La montagna malata» di Graziano Martignoni in Uomini storie montagne (pp. 22-26); CAS/SalvioniEd­izioni, 2004
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