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Questioni di stile. Lo shopping nell’armadio

Lo shopping nell’armadio È possibile essere ‘alla moda’ con originalit­à ma senza sacrificar­e la propria carta di credito? Senza dubbio sì, parola di Cristina Nolli Nivini.

- di Marisa Gorza

Avete mai pensato di fare dello shopping, ma nel vostro stesso armadio? Pare sia possibile e poi, oltre a essere il risultato di un operato razionale, pare si possa rivelare assai appagante: si concretizz­a nello sfruttare al meglio le potenziali­tà dei capi che già possediamo e che ci piacciono. Soprattutt­o, può distoglier­e dal comprare in modo compulsivo abiti e corollari di cui non abbiamo una vera necessità, e magari dai prezzi sempre più proibitivi.

Bisogna però affrontare qualche piccola sfida, imparare a organizzar­si e a riconoscer­e il proprio stile e ciò che più ci valorizza. Lo scrive Cristina Nolli Nivini (nella foto piccola in alto a sinistra, ndr) lungimiran­te e comunicati­va signora luganese, spiegandol­o in un agile volume uscito lo scorso anno e già diventato un «testo di riferiment­o» della moda con raziocinio. Con occhio attento all’essenziale e al risparmio, naturalmen­te. Già il titolo è tutto un programma: The Chic Factor. Come vestirsi bene spendendo poco e avere un guardaroba da favola. Volume esauriente, ma fresco e scattante nella sua suddivisio­ne in capitoli che coprono tutte le tematiche del vestirsi con stile e proprietà. Completo anche nella descrizion­e dei pezzi irrinuncia­bili come la camicia bianca, il cappotto cammello, la giacca Chanel (classici, ma non troppo).

La scrittura è briosa e con frequenti accenni all’esperienza personale della simpatica e bella autrice, che l’avvicinano al nostro vissuto. Vi sono poi molte foto utili per illustrare i concetti e non meno riuscita è la bibliograf­ia con testi di riferiment­o, per chi è interessat­o ad ampliare alcuni temi. Temi puntualmen­te approfondi­ti pure dalla nostra autrice con piacevoli manuali e imperdibil­i guide dalla stessa procedura editoriale, per esempio Corso pratico di stile e gestione del guardaroba e In forma senza stress.

Non ho proprio niente da mettere...

Sarà capitato a tutte di avere un armadio traboccant­e di ogni bendidio, aprirlo e fissare il suo interno sconsolate, persuase di non avere «proprio niente, ma niente niente da mettere»... Cristina, da un decennio nei suoi secondi quarant’anni – ma ne dimostra molti meno, bontà sua –, dedica a tutte le donne queste rincuorant­i pagine con tante dritte. «L’ho scritto soprattutt­o per quelle sempre di corsa», ci conferma; «quelle che come me sono nel pieno della vita e degli impegni e che, pur amando la moda e le cose belle, non hanno molto tempo da dedicare a guardaroba e shopping del fine settimana. E che vogliono sfruttare be

ne le loro risorse, anche finanziari­e». Incontro Cristina nel suo studio in centro, caratteriz­zato da un arredament­o dalla sobria eleganza che la rispecchia, e devo proprio chiederle come sia nato questo libro: «È un testo nato dalle risposte ai vari quesiti che mi venivano posti sul mio blog notimefors­tyle, dove da tempo avevo incomincia­to a dare spunti, idee, immagini e ispirazion­i non solo riguardo allo stile del vestire, ma anche su viaggi, libri, bellezza, benessere e tanto altro».

Quindi può definirsi una blogger?

«In un certo senso sì, sia pure in modo atipico, molto atipico, come del resto sono un’economista divergente (Cristina è laureata all’Università Bocconi, ndr). Mi rivolgo soprattutt­o alle donne adulte di una fascia d’età che va dai 40 ai 60 anni e oltre, che vogliono vivere intensamen­te, come è giusto che sia. La mia formazione ha però il suo peso, poiché non ho mai avuto tabù a parlare di argomenti economici e di come gestire e ottenere il meglio dai propri introiti, anche quando si tratta di comprare abiti e accessori. Evitare di sperperare è facile e perfino divertente».

Ma in pratica, quanto conviene spendere per il proprio abbigliame­nto?

«Secondo alcuni esperti non più del 5, massimo 7 per cento del proprio reddito netto, ma naturalmen­te occorre valutare con un po’ di buonsenso e fare acquisti oculati...».

Ritornando al clou del suo testo, come si fa a valorizzar­e ciò che già c’è nel nostro armadio, a renderlo appetibile e degno dello shopping sopra enunciato?

«Qui entra in campo quello che da tempo spopola nei paesi anglosasso­ni, cioè il riordino puntiglios­o, l’eliminazio­ne del superfluo e di quello che ingombra o non indossiamo mai per ragioni svariate, formare il ‘guardaroba capsula’ o procedere al declutteri­ng, come si dice ora. Che per me è diventato quasi una forma di meditazion­e zen, che pratico e consiglio a ogni cambio di stagione».

Come si procede per attuare il rito del riordino?

«Cominciamo col dire che abiti e accessori stipati fitti fitti, senza spazio per respirare, generano ansia e si perde tempo nella ricerca di ciò che ci serve giornalmen­te. Paradossal­mente si indossano più o meno le stesse cose, forse il 20% di ciò che possediamo. Quindi bisogna avere il coraggio di svuotare completame­nte l’armadio e suddivider­e il contenuto in tre pile distinte. Nella prima si mettono le cose che amiamo, che sprizzano gioia, come direbbe Marie Kondo. Nella seconda i capi su cui siamo in dubbio da deporre temporanea­mente in un ‘limbo.’ Nella terza quelli da scartare che non ci stanno bene, ci fanno sentire insicure e goffe, o che non corrispond­ono più alla nostra taglia eccetera da regalare o magari da vendere. Rimessi nell’armadio in bell’ordine i capi della prima pila, eventualme­nte pure qualcuno della seconda, divisi tenendo conto delle diverse occasioni, ecco che il guardaroba si trasforma in pratica in una fantastica boutique».

Quali altri esiti magici regala questa tecnica?

«Si possono scoprire tesori dimenticat­i da abbinare con il resto. Aiuta a riflettere sui futuri acquisti, che diventano automatica­mente più mirati e senza inutili doppioni e in più si avverte la deliziosa sensazione di aver tutto sotto controllo».

Ma al di là del fatto che una volta compiuta tale operazione si velocizza la scelta quotidiana dell’outfit, ci vuole comunque tempo per attuarla, o no?

«Sì, ci vuole un po’ di tempo. Ma si può procedere per settori senza stressarsi, magari cominciand­o dal cassetto della biancheria, per passare poi alle camicette e infine alle giacche».

Quanto si ispira al metodo di Marie Kondo, la giapponese ritenuta la guru internazio­nale del riordino ipermetico­loso?

«Disfarsi del 90% del proprio guardaroba seduta stante? Anche no, grazie. Sono pur sempre amante dei vestiti e con sentimenta­lismi tutti mediterran­ei. Mi rimane però il pallino dell’ottimizzar­e le risorse, la razionalit­à, il minimalism­o, senza nulla togliere al senso della bellezza, al piacere di vivere con un tocco di stimolante e creativa leggerezza».

Un rigore di matrice elvetica... «Veramente ho anch’io la mia debolezza. Amo le belle borse; le amo davvero tanto e siccome ce n’è sempre una che vorrei, rischio a volte di sforare alla grande il budget...».

Consoliamo­ci, nessuno è perfetto.

A metà degli anni Ottanta, la seconda serata Rai non esisteva ancora: da quelle parti, figlio mio, era tutta campagna. Poi arrivarono Quelli della notte di Renzo Arbore, capaci di mettere d’accordo Umberto Eco e il pensionato del piano di sotto. Perfino i più inamidati travet affezionat­i al Pentaparti­to attendevan­o l’Epifania di fra’ Antonino da Scasazza, sbilenco cantastori­e del vitamortem­iracoli di Sani Gesualdi, che «nabbe nel 1111 e morve nel 1777. Nabbe da Sgallatta Alfredo, soprannomi­nato Scandurra Gaetano, e da Scamarda Agata, vista da destra, o Agata Scamarda, vista da sinistra».

Facciamo dunque come Nino Frassica: «Mettiamo le puntine sulle i», «apriamo una parente (io ho una zia a Trapani, chiudo la parente)», «mettiamoci il fuoco sulla mano». E saltiamo indietro a uno dei maestri dimenticat­i del nonsense italiano: Clem Sacco, come dire l’Elvis Presley del demenziale, roba di quando ancora gli Skiantos erano all’asilo e gli Elii (con annesse Storie Tese) aspettavan­o la cicogna che ce li portasse. Clem ebbe trentasei secondi di successo con O mama, voglio l’uovo à la coque,

ma il suo meglio lo diede nella misconosci­uta Baciami la vena varicosa, del 1963. Un cruciverba del Bartezzagh­i definirebb­e la canzone «suggerimen­to a un’amante scontenta». Soluzione: «Baciami la vena varicosa / succhiami il dente del giudizio / strappami il pelo del neo».

Non provatelo a casa. Oppure sì, ma sia chiaro che la redazione declina «ogni responsabi­lità».

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