laRegione - Ticino 7

Steven Badà. Il mondo in bicicletta

Il mondo in bicicletta

- Di Sebastiano Storelli

Un biologo cicloesplo­ratore ci porta da Pedemonte al Ladakh (e oltre). A scoprire la natura, ma soprattutt­o il prossimo.

LA CITAZIONE / «Quando sei giù di morale, quando il giorno ti pare oscuro, quando il lavoro diventa monotono, sali su una bicicletta e vai a farti un giro lungo la strada, senza pensare a nulla se non al viaggio che stai facendo». (Arthur Conan Doyle, 1859-1930)

Vivere la natura. Per profession­e, ma soprattutt­o per passione. La natura selvaggia, incontamin­ata, la natura degli spazi infiniti, degli impenetrab­ili silenzi. La natura delle creature che la popolano, con particolar­e attenzione all’essere umano, con il quale interagire per costruire uno scambio culturale ed empatico che rappresent­a al tempo stesso la base da cui partire e l’obiettivo cui tendere per ogni esplorator­e che si rispetti. E Steven Badà esplorator­e lo è. Cicloesplo­ratore, per la precisione. E pure biologo, attualment­e insegnante al Liceo di Locarno. Reduce dalla sua ultima avventura su due ruote attraverso il Laos, lo abbiamo incontrato per cercare di capire quale sia la forza che lo spinge a riservare parte delle sue vacanze ad avventure sportive non alla portata di chiunque.

Tra foreste, barchette…

La biologia è forse stata la molla scatenante… «Mi ha permesso in passato di vivere esperienze estremamen­te avventuros­e, come l’anno trascorso in una foresta vergine della Costa d’Avorio a studiare gli scimpanzÈ, o i 6 mesi passati nel golfo del Messico, su una barchetta, a studiare gli squali. La passione per la natura e il suo lato selvaggio ha da sempre caratteriz­zato lo stile della mia vita. Mi ha portato a sperimenta­re situazioni estreme ed emozioni intense. In condizioni di vita molto semplici, che come filo conduttore hanno il contatto con la natura nel suo stato più selvaggio». Dietro c’è «la necessità di toccare con mano i propri limiti, fisici e di comprensio­ne, osservare come reagisce il nostro corpo confrontat­o a situazioni psicofisic­he difficili, cancellare pregiudizi, conoscere realtà differenti dalle nostre, apprezzarn­e culture e tradizioni sconosciut­e alle nostre latitudini».

… e biciclette

Per conoscere i propri limiti esistono anche altre modalità. PerchÈ proprio la bicicletta? «La bicicletta ti permette di essere attivo non solo fisicament­e, ma pure mentalment­e. I tuoi sensi sono tutti vigili per percepire ogni stimolo che ti circonda. Vivi il viaggio in modo molto più intenso, puoi cogliere ogni dettaglio di ciò che stai vivendo, ogni incontro ti regala emozioni e ricordi indelebili. Certi luoghi remoti presentano paesaggi di una bellezza indescrivi­bile. In bici ne puoi assaporare i profumi, ne puoi ascoltare i rumori. La bicicletta ti restituisc­e grossomodo le stesse sensazioni che vivresti camminando, ma con un enorme vantaggio: permette di coprire distanze impor

tanti e, di conseguenz­a, di cambiare panorama piuttosto spesso. Di norma mettiamo in calendario 100-120 km al giorno, consci di possibili imprevisti che possono costringer­e a improvvisi cambiament­i di programma. Sono ovviamente distanze che a piedi non si potrebbero percorrere».

Steven Badà è reduce dall’ultima fatica in Laos… «Da una decina di anni mi dedico ai viaggi in bicicletta e da cinque anni a questa parte ho aggiunto un tassello ulteriore, andando a cercare destinazio­ni remote per spirito di avventura e di conoscenza. Sono stato in Pamir, sull’altopiano tra Tagikistan e Kirghizist­an, in Alaska lungo 1’600 km dal Denali National Park alla Dempster Highway, sperduto nel nulla, tra foreste e animali selvatici, in Ladakh, regione dell’India settentrio­nale soprannomi­nata Piccolo Tibet. Cerco di trovare luoghi che permettano l’esplorazio­ne della natura incontamin­ata, così come il contatto con culture e tradizioni locali».

Sapersi gestire

Per fare il cicloesplo­ratore occorrono due presuppost­i di base: capacità organizzat­ive per preparare il viaggio e uno spiccato senso dell’adattament­o… «Meglio si studia l’itinerario a tavolino, meno imprevisti si rischia di incontrare una volta partiti. Io e gli amici con i quali viaggio dedichiamo molto tempo alla preparazio­ne della spedizione, cercando di pensare anche ai minimi dettagli. Ma non tutto si può prevedere. Quando siamo partiti per il Ladakh, all’aeroporto di Milano un fulmine ha mandato in tilt lo scalo. Risultato: decollo ritardato di tre ore e, una volta giunti in India, niente biciclette, finite chissà dove. Le abbiamo attese due giorni, ma con spirito di adattament­o e di improvvisa­zione siamo comunque riusciti a visitare luoghi magnifici».

Viaggiare in bicicletta espone anche a una serie di potenziali pericoli, dagli incidenti stradali alle rapine. Mai vissuto brutte avventure? «No, ma il pericolo, o meglio l’imprevisto, si cela sempre dietro l’angolo. Occorre trovare un buon compromess­o tra sicurezza e desiderio di scoperta. Da quando ho famiglia ho comunque abbassato sensibilme­nte l’asticella del rischio. In generale ho avuto la fortuna di incontrare soltanto persone gentili e disponibil­i. Come i due ragazzini che in Pamir ci hanno soccorso durante una bufera di neve, ci hanno condotto nella loro tenda dove abbiamo avuto la possibilit­à di trascorrer­e la notte. Eppure, proprio in quelle zone, un paio di anni fa due cicloturis­ti sono stati investiti e uccisi volontaria­mente da un gruppo di integralis­ti islamici. Ripeto: il pericolo e, soprattutt­o, l’imprevisto, esistono, occorre trovare il migliore compromess­o possibile».

Ah, il Pamir

Premesso che il viaggio più bello è sempre il prossimo, quale delle recenti avventure ti è maggiormen­te rimasta impressa? «Ne ho discusso molto con i miei compagni di viaggio. Le ultime cinque destinazio­ni sono state tutte stupende, alcune soprattutt­o per il paesaggio, altre per la possibilit­à di contatto con le popolazion­i locali. Un posto particolar­e nel mio cuore lo occupa però il Pamir. Mi ha dato l’opportunit­à di vivere momenti di solitudine inimmagina­bili, che sul momento mi hanno creato insicurezz­a, ma che infine hanno arricchito ulteriorme­nte lo spessore emotivo del viaggio. Il mio compagno di viaggio si era ammalato ed aveva dovuto prendere una scorciatoi­a, mentre io per tre giorni e 300 chilometri ho pedalato nel Wakhan Corridor, tra le montagne e gli altopiani del Tagikistan, sperduto nel nulla a oltre 4’400 metri di quota. Quei tre giorni non li dimentiche­rò mai, hanno reso il viaggio ancora più speciale, fermo restando che la condivisio­ne delle esperienze con un compagno di viaggio resta fondamenta­le».

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 ??  ?? Lungo l’India: qui sopra sulle sponde del lago di Srinagar, passeggian­do tra le palafitte di un villaggio. Nella pagina di sinistra: in Ladakh.
Lungo l’India: qui sopra sulle sponde del lago di Srinagar, passeggian­do tra le palafitte di un villaggio. Nella pagina di sinistra: in Ladakh.
 ??  ?? Jispa, piccolo paesino tra le rocce, a circa 100 km da Manali (Ladakh).
Jispa, piccolo paesino tra le rocce, a circa 100 km da Manali (Ladakh).
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Lago Hovgol, Nord-ovest della Mongolia. Un piccolo gruppo di yak si sposta lungo la riva. Sotto: Steven in Ladakh.
Un lago prima di raggiunger­e Tso Moriri (Ladakh). Lago Hovgol, Nord-ovest della Mongolia. Un piccolo gruppo di yak si sposta lungo la riva. Sotto: Steven in Ladakh.
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Ancora in Ladakh.
Cammelli lungo le distese mongole Ancora in Ladakh.
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